Pagine di Maura Del Serra
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MAURA DEL SERRA, Adagio con fuoco. Poesie. Versi per la danza
Il titolo inventivamente musicale di questa nuova raccolta poetica di Maura Del Serra evoca ed esprime, con una persuasione tanto meno dogmatica quanto più incisiva, l'universo di poliedriche compresenze ed interazioni - simboliche, esistenziali, vastamente umane e civili - che da sempre distingue la sua voce per la singolare assolutezza di una vocazione, riflessa in una profonda pietas creaturale. Qui la difficile quadratura del cerchio della maturità biografica, sentita come necessaria consumazione, è affidata alla prima delle tre sezioni, che coinvolge il lettore nell'ironia drammatica di un Autoscatto, e si confronta con l'autoidentificazione nel perenne "orizzonte nascente" della poarola; colluttando poi, nella sezione mediana Intendere, volere, con gli "indizi" di vittoria e sconfitta, salvezza e perdizione di cui la storia umana è disseminata, e additando il possibile approdo dinamico della mente e del cuore ad una medietas vigile, ricca di umori e di memorie comuni. Questa componente si identifica a sua volta, nell'ultima sezione L'oltre, con "l'arte povera di benedire", propria del poeta e di quella sua fluida incarnazione sapienziale che fu il pensiero di Eraclito, alla cui figura di crocevia fra Occidente ed Oriente l'autrice ha recentemente dedicato una pièce in versi, e nel cui nome trova suggello la prima parte del libro: che si riapre e culmina nell'epilogo dei Versi per la danza, un trittico teatrale di suggestiva originalità lirica e mimica, dove le voci - quella maschile, quella femminile, quella dei sensi personificati - danno vita ad una vera e propria drammaturgia della coscienza, ad un tempo classica e futuribile.
[dalla quarta di copertina]
La "Fabula mistica" di Maura Del Serra
In un saggio famoso sul tema della preghiera, opportunamente distinta nelle due specie anche etimologiche di "prece" (di petizione) e "orazione" (di lode), Giovanni Pozzi accennava a un percorso semantico conducente a identificare appunto nell'orazione (oratio), o preghiera privata, in assoluto la prima forma poetica. San Francesco, Jacopone, Dante, quindi il Manzoni degli Inni sacri e la Cristina Campo del ciclo 'bizantino' sono, nella tradizione italiana, i radi ma imperiosi esemplari che gli è possibile indicare a supporto della tesi: tutti casi in cui il riversarsi della grammatica in preghiera, o viceversa del rapimento in retorica, rende ragione di quell'area testuale che - come testimonia il Luzi di Vicissitudine e forma - "solo l'Occidente definisce mistica", ma che è invece "larga zona comune a cui attingono l'illuminazione poetica e quella religiosa", mediate da un linguaggio che vive della loro "mutua esaltazione".
La partizione fra preghiera e poesia, così facile per alcuni a trascendersi, appare come la prima, forse la più vistosa delle molte partizioni più o meno 'di regola' da cui l'opera di Maura Del Serra spontaneamente si ritrae, e ciò ben al di là dell'avvenuto collasso dell'ortodossia dell'interpretazione e del nostro esserci disfatti, in tempi recenti, di ogni piccolo o grande canone. Nella sua bibliografia di grande mole e di vaste coordinate, coinvolgente un massimo di discipline e di ordini conoscitivi (la musica, la danza, la riflessione filosofica e le arti figurative in primis), si impone infatti prima di tutto la sua vasta accezione del concetto di 'ospitalità intellettuale', che la conduce a violare ogni risaputo confine fra poesia e preghiera, si è detto; e così pure fra sacro e profano, letteralismo e simbologia, vocalità e visionarietà, intelletto e cuore -, ad attingere a una allargata, ecumenica biblioteca, a volgere le spalle a una tradizione strettamente poetica per orchestrare nuove reminiscenze, a versare infine in un ritmo profondamente unificato tutto quanto occorre alla sua funzione di appartata e attenta glossografa dell'essere, tesa a percepire con la sua armonia interiore l'armonia del mondo. È una questione di orecchio, un talento musicale, quello del sapiente, sosteneva María Zambrano: un'attività incessante che percepisce, un accordo continuo. E proprio la Zambrano, maestra di un sapere che sia frutto di simbiosi fra ragione e passione, immaginazione e conoscenza, filosofia e poesia, può indicare la strada per leggere quest'opera dominata dal demone della meditazione ma sempre di alta temperatura lirica, e fondata insieme sulla qualità del gusto, il corretto orientamento dei sensi e un sostenuto impegno intellettuale. Ciò che si conferma anche e più che mai in quest'ultima raccolta, Adagio con fuoco. Poesie. Versi per la danza. Dove fin dal titolo, ma non meno nelle "gighe", nei "gorgheggi", nei "canti" e "discanti" degli intertitoli e sottotitoli dei singoli testi - per non dire dell'ultima sezione interamente occupata da vere e proprie coreografie musicovocali, da versi scritti quasi con la voce - si evidenzia la simbiosi programmatica della poesia con la musica, l'arte scenica, la danza. Simbiosi dominante fra le molte che si compiono e che 'orchestra', è il caso di dire, la pluralità dei registri, delle forme, delle fonti e delle reminiscenze: dove accanto ai 'maggiori' del Novecento italiano (Ungaretti, per dirne uno, o Pascoli) risuonano i 'minori' (gli amati Rebora, Campana, Onofri, Cristina Campo...) nonché alcuni grandi del Novecento europeo (Paul Celan, Rilke, T. S. Eliot, Wislawa Szymborska e prima di tutti loro i metafisici inglesi), l'iconologia della tragedia classica o del più puro neoclassicismo modella i profondi rintocchi del Cantico dei cantici, la tradizione occidentale abdica di quando in quando all'Oriente, e la più lieve ironia taglia la strada al linguaggio sapienziale. Mentre ai versi scritti per l'orecchio (come si conviene nella musica ma anche nella preghiera, vivente in un regime orale-aurale) se ne alternano altri di pura visionarietà, attestanti l'irruzione del vedere nel pensare" (ancora la Zambrano), e ispirati dalla luce che, alla stregua dello spazio e del tempo, vi funziona come un a priori del pensiero. E mentre, ancora, la passione allegorica, o del parlare per apologhi, fiabe, proverbi, moralités, contende il campo alla preghiera e all'inno, alla recitazione del De profundis, alla parola intesa come 'arte di benedire".
La poesia come "preghiera in incognito e conoscenza per favole antiche", per metà "preghiera", appunto, e per metà figura, "menzogna", "lusinga", è del resto espressamente la poetica di Maura Del Serra, che almeno a datare dalle pagine di Meridiana non può più esemplarmente "sì dà potere a un assente" (così l'autore di Fabula mistica, Michel de Certau), e come tali particolarmente idonee a rappresentare, sul piano del linguaggio e della scrittura, le forme leggendariamente "assolute" del desiderio femminile, ovvero il grado di persuasione e di profusione con cui anche il sapere in vene femminili scorre. Desiderio indirizzato verso le sue forme estreme, orientato alla contemplazione, alla devozione, alla gratuità e all'assenza, quello femminile troverebbe dunque nell'endiadi di fiaba e preghiera il suo duplice e privilegiato medium, strada maestra per giungere a quel luogo in cui solo si ricompone il dittico, tradizionalmente non conciliato, di femminilità e sapienza. incorrere in equivoco alcuno. Preghiera e favola, narrazione mistica e racconto di fate sono inoltre le due for
zione misti i i ime di discorso in cui
"Seppe molto - dicono - benché fosse donna" recitava suor Juana Inés de la Cruz (figura non per nulla assai cara alla Del Serra, che le dedicò nel '90 l'opera teatrale La Fenice) nel suo celebre autoritratto in versi alla terza persona. E su quel benché, formula concessiva risonante di straordinaria generosità non meno oggi che nel secolo barocco della monaca messicana, si incentra tutto un possibile versante di lettura dell'opera di Maura Del Serra, dalla prima raccolta a quest'ultima: lettura tesa a mietere, nella sua ricca intertestualità, tutte le presenze femminili con cui ella mostra costantemente di colloquiare. Che siano figure storiche, di artiste, poetesse e filosofe (Emily Dickinson e Simone Weil, Margherita Guidacci, Agnodice, Else Lasker-Schüler e Virginia Woolf, Katherine Mansfield, Caroline von Gúnderode e Camille Claudel, le citate Szymborska, Campo, Inés de la Cruz...) oppure mitologiche (Arianna, Euridice, Persefone, Clorinda, Clizia...), allegorie (la Fama, Fortuna, Beatrice) o altre eccelse virtù (Fede, Speranza, Carità...), ipostasi (Natura, Anima) o, al limite, solo dei puri aggettivi e participi in figura di donna, personificazioni di una grammatica intima e nobilmente sentimentale (la Mite, la Supplice, l'Intatta, la Rinascente, la Giocatrice, l'Effimera, l'Ammallata, la Minima, la Pazza, la Mietitrice, la Transitiva...), si tratta, in ogni caso, della schiera delle amiche e sorelle di tempestose interrogazioni, creature segnate da un'eccellenza di cuore e di stile che con lei profondamente interagiscono nel continuum del processo di identificazione di sé. Il loro corteo si snoda attraverso tutti i titoli - fra poesia, saggistica, teatro, traduzioni - della bibliografia di Maura Del Serra, e vi traccia una sorta di genealogia fondata sul privilegio di possedere delle antenate. E mentre le vediamo scorrere, nella loro diacronia, dal primo fino a quest'ultimo libro. vediamo scorrere su di esse, limpida e copiosa, l'acqua che le irrora e nella quale esse, divenute sincrone, si danno convegno, ammalianti come tante Ondine, Melusine o Morgane. Un'acqua che, mentre si impone fra le più collaudate metafore della poetessa (apparentemente a dispetto del fuoco eponimo: ma si rammenti, a smentire l'alternativa fra i due elementi, l'ossimorica "fonte ardente" che intitola il dramma del 1991 dedicato a Simone Well), si organizza in un complesso sistema idrologico di fonti, dighe, cascate, fontane, estuari, foci e delta fino all'approdo al grande oceano-mare. Quel mare che, proverbialmente, separa "il dire e il fare", parole e fatti, letteratura, insomma, e vita: salvo nel casi in cui, come qui, anche questa ennesima frontiera viene trascesa, e la scrittura, lungi dal rifuggire la vita e le sue passioni, le assume in sé e se ne sostanzia. Magari per riscattarle, codificandole in un più puro segno.
Monica Farnetti
Introduzione al volume
E passione sia, ma senza retorica
[...] Maura Del Serra (1948), già vincitrice del premio "Montale per la poesia", sta per pubblicare il suo ultimo volume di versi Adagio con fuoco: instancabile studiosa e ottima traduttrice (Woolf, Mansfield, Proust), scrive per il teatro (ha vinto il "Flaiano") e conforma la sua poesia alla sacralità della Natura, terrena messaggera colma di speranza che non toglie consapevolezza [...].
d.f.
"Il Tirreno""
14 febbraio 1999
Il senso della vita indagato con l'intelletto e il cuore. Le poesie di Maura Del Serra
L'ultima ricerca poetica di Maura Del Serra, Adagio con fuoco. Poesie. Versi per la danza, editrice Le Lettere, Firenze 1999, ripropone l'eterno rapporto del poeta fra sé e il mondo.
Giunta da tempo alla piena maturità artistica la poetessa ripercorre liricamente la sua personale esistenza fermandosi ad ascoltare il fluire dell'io nel gran concerto dell'umanità che le sta attorno e di cui si sente parte integrante.
In Poesie, la Del Serra incarna [?] dunque l'intelletto, e con esso il cuore, di indagare il senso della vita che fugge lasciando tuttavia esperienze con storia documentata e come simboli e archetipi di un futuro da inventare, di modo che l'uomo si possa inserire, coscientemente, nella vasta armonia di un universo poetico e vitale in cui tutto è compresente: lo spirito e il corpo, la preghiera e la consapevolezza dei valori umani, l'amore e il dubbio.
Il volume prende forma per fasi intimamente consequenziali. Si apre con Autoscatto: prima di tutto la coscienza-conoscenza del propio ruolo anche e soprattutto in rapporto agli altri. Da cui il secondo momento Intendere, volere, ossia capire la dimensione di sé e quindi agire in un rinnovamento mai interrotto: "I punti di domanda / s'incatenano ancora, si distendono in rami". La poesia indaga cosa ci attende.
L'oltre è il titolo del terzo momento, per trovare la verità, al di là delle apparenze: "Sa e non sa come la terra in cieli si matura". "Preghiera e favola, narrazione mistica e racconto di fate - ha scritto in margine ai testi Monica Farnetti - sono le due forme del suo discorso".
La seconda parte si intitola Versi per la danza, in cui l'autrice sviluppa un trittico teatrale, lirico e mimico, cui danno vita una voce maschile, una femminile e quella dei sensi personificati. Attraverso sette stanze, l'uomo incontra svariati tipi e condizioni umane, dalla prostituta all'angelo; si imbatte anche nella presenza dei simboli là dove regna la musica.
Ma anche la donna è liricamente protagonista in Trasparenze, la pièce che segue, interamente tessuta sul flusso della coscienza femminile. "Tutti i miei sogni gemono di sete". La donna è fiore e sensualità, presenza eterea e intimamente umana. Cosicché i sensi, le mani, gli occhi, la bocca chiudono l'esperienza poeticamente narrata. La potremmo definire "trascendenza terrena".
Maura Del Serra, pistoiese, insegna letteratura italiana moderna e contemporanea nell'università di Firenze.
È autrice affermata di numerosi e pregiati testi teatrali, in versi e in prosa.
Paolo Gestri
"Il Tirreno"
21 novembre 1999
Maura Del Serra. Fuochi d'amore
Di Maura Del Serra è uscito il libro di poesie Adagio con fuoco, Le Lettere, pagg. 115 [...]. Si apre, questa nuova prova poetica, con due piccole perle: "L'autoritratto in di-versi" e "Possibilità", glossa semiseria alla poesia omonima di Wislawa Szymborska. La Del Serra mette finalmente da parte l'eccesso della metafora e regala una poesia densa di ricchezza naturale e sapienza formale [...].
da. fi.
"Il Tirreno"
19 dicembre 1999
MAURA DEL SERRA, Adagio con fuoco. Poesie. Versi per la danza
[...] Di altra musica è Adagio con fuoco che Maura Del Serra accende nelle edizioni Le Lettere. Siamo al fianco di una scrittura ad alta tessitura allegorica, di suadente forma, in felice volontà di relazione con altri codici. È quanto avviene nella simbiosi tra verbo poetico, musica, arte scenica, danza. È quanto accade nel laccio tra silenzio e sillaba, tra preghiera e linguaggio creativo. Si origina un teatro ove primeggiano pensiero ed emozione tra ammalianti evocazioni.
Alberto Cappi
"La voce di Mantova"
24 febbraio 2000
MAURA DEL SERRA, Adagio con fuoco
Il libro ha un sottotitolo che recita così: Poesie. Versi per la danza, che sta subito a dimostrare la natura espansiva della poesia di questa scrittrice toscana, il cui lavoro creativo (e i cui interessi scientifici) spaziano dalla critica letteraria, alla traduttologia, alla musica, al teatro (dire anzi che la sua sostanziosa produzione drammaturgica, sia in versi che in prosa, proceda ormai parallelamente con quella poetica: si veda in questo stesso libro, nella sezione Versi per la danza, Stanze, Trasparenze e Sensi, il primo anticipato, in traduzione inglese, nella nostra rivista, n. 15, 1997). Il risultato è una poesia elegante, avvolgente, neo-orfica, fra "preghiera" e "menzogna" (ne accenna Monica Farnetti nella nota critica d'accompagnamento), insomma ricca di riferimenti intertestuali culti, ma che sa rendersi più duttile ed "autentica" quando questi vengono accantonati. Si veda Transitiva, a mio avviso tra le poesie più libere e convincenti dell'intero volume. [...]
Luigi Fontanella
"Gradiva", International Journal of Italian Poetry
n° 19, Spring 2001, p. 150
[MAURA DEL SERRA, Adagio con fuoco. Poesie. Versi per la danza]
Nell'ultima raccolta di Maura Del Serra si legge un movimento in ascesa, e non solo della consistenza lirica, ma anche dell'aspetto del proprio interno che scava incontenibili infinite nostalgie di significato.
La raccolta è divisa in quattro parti: L'autoscatto, Intendere volere, L'oltre, Versi per la danza.
Nell'Autoscatto si fanno palesi l'orgoglio, il potere legittimo della vocazione e l'ironia bruciante che dai loro gangli vitali sollecitano il poeta a usare il verso per palesare schegge di vita. Anche il periodo mi sembra più sviluppato, gestito da una ferrea locazione dei versi.
È la maturità del poeta che arriva non flagellando, forse mascherando, sicuramente registrando i segnali dei giorni perduti in un puzzle esistenziale con regia meticolosa e perfetta. Credo sia questa la constatazione del tempo, per la Del Serra, di ammorbidire il suo canto molto avaro spesso di confessioni attraverso il velo della metafora, o dell'allusione, rendendo oggi così caldo l'eco delle parole che penetrano, si fanno capire ed aprono il sipario chiuso.
Per Intendere volere riappare l'antica esigenza del ragionamento, ma anch'esso più passionale di sempre ("[...] La zuffa ci rapisce, / c'innamora e ci strazia" [Indizi]); ("[...] Lascio passare i giorni perché mi lascino passare il fiume" [Barca]).
In L'oltre si ritorna al calore di Autoritratto, con maggiore attenzione al destino dell'uomo ("[...] dall'attimo immutabile che siamo" [Samsara]). Un diverso dinamismo fa ardere l'anima del verso, lo fa sfuggente e ghermito, lo incastona.
In Versi per la danza, infine, circola un erotismo ora sottile e violento, ora sfida aperta della poetessa a se stessa. Forse sarà che il legame col contenuto è parossistico ("Il pensiero / segno / della poesia") e meno posto viene occupato dal logos imperante nella Del Serra, ma il canto fila comprensibile, liscio come l'acqua da una sorgente boscosa.
Credo che l'aspetto migliore della poetessa sia proprio quello nato per il palcoscenico. Da esso nasce una drammaticità non solo teatrale. L'autrice trova in questo spazio espressivo la libertà dello spirito, vi esorcizza le inibizioni, accetta il crollo delle censure come un flatus voci entro il quale viene a instituirsi un campo sonoro talmente esteso da divenire, in senso freudiano, "conturbante".
Giovanna Vizzari
Sistema Letterario Italiano
"Punto di Vista", 27/2001
Le mani e il cuore di Maura Del Serra
"Vieni, artista, nasci alla tua sorte:
cresci nella stagione dell'ascolto,
intreccia mani e cuore col destino di tutti,
e dai forma alla chiave della stanza segreta
dove sarai perfetto, in armonia luminosa
con la musica della conoscenza"
Maura Del Serra, Versi per la danza
Maura Del Serra è una poetessa colta ma, a differenza di molti poeti colti, non traduce semplicemente in versi ciò che può essere detto, o che magari ha già detto, in altra forma di espressione [...]. Maura Del Serra opera, come sottintende il titolo del suo libro Adagio con fuoco [...], uno spostamento della lingua dalla denotazione alla connotazione sonora, connotazione che è anche semantica, con la coalizione tra messaggio concettuale ed accompagnamento musicale. E la poesia è proprio lì, in quella connotazione, in quell'accompagnamento, perché è lì che l'emozione trova sfogo come comple(ta)mento del concetto.
Ecco allora che una lettura colta di una poetessa colta pur essendo utile non rende ragione della poesia. La ricerca del concetto, e sotto altro aspetto del rapporto dialogico e stilistico tra la poetessa e i suoi modelli, rischia di oscurare il nucleo semantico più poetico, quello del non detto e del non storicamente condivisibile, che è la causa più urgente della scrittura poetica. Ed è probabilmente per evitare questo che Maura Del Serra indica senza mezzi termini i suoi sconfinamenti nella metapoesia [...]. E anche riguardo i temi Maura Del Serra non civetta: lo scorrere del tempo, l'autunno della vita, il mondo doloroso [...], perché l'autrice di Adagio con fuoco ha altro da dirci, altro di più profondo, e non cerca, credo, una lettura colta, ma piuttosto un coinvolgimento del "sentire". [...]
Pure la varietà stilistica della Del Serra tende, per contrasto [...], a richiamare l'attenzione sulla nota fondante della sua poesia che, sia ironica o ludica o pensosa [...], è sempre malinconica, sempre pervasa di caducità, di saggezza costruita sulla "memoria" e sulla coscienza dell'"oblio" [...]. Quindi poesia del silenzio che riverbera [...], ma poesia dell'"arido vero" senza illusioni [...].
Una poesia etica, quella di Maura Del Serra, perché tiene gli occhi aperti su verità ataviche leopardianamente [...]. Letto mediante questa chiave, il libro di Maura Del Serra evidenzia tutto il suo coraggio, il suo valore didascalico, ma in modo mai pedante, anzi a volte spigliato, a volte ombroso ma sempre piacevole e vario, soprattutto vario. È il libro di una persona lucida (e questo aggettivo è centrale nella raccolta) che però ha conservato la forza dell'incanto, forse perché sa che la verità è sì nella parola ma che la parola è il corpo [...], il corpo del poeta, il corpo della natura, una natura che ha una presenza, questa sì, consolante.
Dunque anche la verità, in quanto corpo, è caduca e con questa saggezza, con la coscienza che "non c'è via" e che "la mèta lucente" ci "brucia" [...], Maura Del Serra non abbandona la lotta contro l'inaccessibile e con coraggio "intreccia mani e cuore col destino di tutti" [...]. "Mani e cuore": ecco perché questo libro non chiede soltanto una lettura colta, perché la bellezza di cui anche l'arte è portatrice, sia essa la danza della "ballerina indiana" o la poesia, "fa dolere i sensi" [...] e spesso è "menzogna".
Roberto Bertoldo
"Hebenon. Rivista internazionale di letteratura"
anno VII, nn. 9-10 della seconda serie,
aprile-ottobre 2002, pp. 57-59
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