Pagine di Maura Del Serra
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SIMONE WEIL, Le poesie, Pistoia, C.R.T., 2000
Le poesie di Simone Weil (1909-1943), quantitativamente rarefatte quanto intense nel dettato, sono per lo più incastonate nelle capitali meditazioni dei Quaderni, ed accompagnano fedelmente la parabola del suo originale pensiero filosofico e creativo, dalla prima giovinezza all'estrema, precoce stagione sacrificale.
Offerta ora al lettore italiano nella congeniale traduzione di Maura Del Serra, questa poesia cosmica, intima ed etica ad un tempo, secondo la più nobile tradizione europea, appare tesa nello slancio periglioso e trasparente che unisce il bello al bene, il sociale al metafisico, la necessità alla libertà, la pesanteur alla grâce, la geometria cartesiana alla metrica della passione romantica ed "impegnata" del cuore di questa grande, attiva testimone dell'assoluto, che come pochi in Occidente incarnò fino alle estreme conseguenze "il patto originario tra lo spirito e il mondo".
[dalla quarta di copertina]
La filosofia nei versi di Simone Weil
A cura di Maura Del Serra, l'editrice C.R.T. di Pistoia (tel. 0573/976124) pubblica "Le poesie di Simone Weil", pagine 52, lire 10.000. Maura Del Serra insegna letteratura italiana a Firenze ed è lei stessa poeta. Nel saggio introduttivo, i testi - delle 9 poesie - sono letti all'interno del pensiero della filosofia e si dice che per Simone Weil "la poesia come genere - e per prima la sua stessa poesia - è minoritaria, ma non esornativa, anzi coessenziale rispetto alle opere filosofico-sociali maggiori". Una poesia "priva di eccessive preoccupazioni letterarie, ligia però alle forme e alla 'morale' ritmico-metrica tradizionale, da Simone Weil considerata metodo di autodisciplina artistica".
"Avvenire"
martedì 25 aprile 2000
Simone Weil, l'impegno civile fino all'estremo sacrificio
Fu anche poetessa: sono appena usciti in volume i versi di Simone Weil, tradotti da Maura Del Serra e pubblicati dalla casa editrice pistoiese C.R.T. Si tratta di un esile volume dal costo accessibile, 52 pagine a 10 mila lire, imperdibile per l'ottima traduzione e per l'intensità del volto poetico di una che resta fra le più grandi e scomode pensatrici del secolo che si è chiuso. Simone Weil è al di sopra di ogni bipolarità, inclusa quella maschile-femminile.
Lo spiega bene la Del Serra nell'introduzione, sottolineando come la poesia per la Weil significhi diventare grazia all'interno della propria stessa gravità. [...]
(d.f.)
"Il Tirreno" (Tempo libero e cultura)
martedì 9 maggio 2000
Il rigore della poesia
Scoperta negli scaffali di una libreria, questa piccola recente edizione delle poesie di Simone Weil, nella traduzione di Maura Del Serra, può costituire una significativa opportunità. Maura Del serra insegna Letteratura Italiana Moderna e Contemporanea all'Università di Firenze, oltre a essere autrice in proprio, ha tradotto dalle letterature europee numerosi testi anche eccentrici o acutamente sintomatici. [...] Nell'opera complessiva di Simone Weil (i quattro volumi dei Quaderni per le edizioni Adelphi) le poesie appartengono a qualcosa di marginale, di imprevito, quasi di sfasatura: ma proprio qui si può trovare un tratto quasi disarmato della sua personalità. Simone Weil è mancata ad appena 34 anni, ed è un po' impensabile quello che ha fatto sul piano esistensiale ed operativo, nell'esercizio del pensiero, nell'impegno estenuante della scrittura. In poesia ha un rigore a oltranza (che per paradosso è un limite). Con una lettera scrupolosa e rimeditata, invia i suoi versi in lettura a Paul Valéry, un interlocutore distante da quel punto di radicalità a cui tendeva la vita di Simone e che tuttavia non sbagliò nel vedere in questi versi, accanto alla forza d'insieme, un connotato un po' "didattico", una "volontà" compositiva.
Con un'etica metrico-formale, si avverte il grafico del pensiero, a volte una sorta di sovrapposizione. L'analisi di Maura Del Serra finisce per accentuare forse questo aspetto ("Nelle sere rombanti della città") ma è molto illuminante, nel testo introduttivo, la sottolineatura per Simone Weil del "maschile" e del "femminile", scrittura e voce, delicatezza e razionalità.
C'è in queste poesie, nel tono alto della parola e della tradizione francese, lo struggimento oscuro della femminilità: uno struggimento quasi per viam negationis (con il suggerimento di una lettrice d'eccezione come Cristina Campo) [...].
Stefano Crespi
"Il Sole 24 ore" / Domenica
domenica 16 luglio 2000
Una raccolta di liriche della pensatrice Weil.
La poesia che guarda oltre
Letta e amata per il potere delle parole, la poesia nasconde sempre avvincenti sorprese. Anche se è impegnativa. Simone Weil, nota per la forza del suo pensiero, suscita emozioni già nei suoi scritti giovanili, tra i quali spuntano alcune poesie. Ricche di bagliori, di ricerca di senso, di spostamenti. Le poesia di Simone Weil si intitola la breve raccolta pubblicata dall'editrice CRT di Pistoia, a cura di Maura Del Serra. Anche lei poeta, insegnante di letteratura italiana nell'Università di Firenze, che introduce queste poche poesie, riconducendole all'interno della filosofia di Simone Weil. In quanto "minoritarie, ma non esornative, anzi coessenziali rispetto alle opere filosofico-sociali maggiori". Conta, infatti, per la giovane studiosa, il rapporto di relazione, di reinvenzione, di dialettica, per natura insito nell'idea che lei ha dell'uomo. E avanza tra "debolezza e forza", tra "maschile e femminile", rimuovendo intoppi e ragnatele, finché scorge, tutta assorta nel suo lavoro, quella verità a cui ha votato la sua vita. "La poesia - scrive Simone Weil nei Cahiers - insegna a contemplare i pensieri invece di mutarli". È un momento di àncora, di approdo per ritrovare "il patto originario fra lo spirito e il mondo attraverso la civiltà stessa in cui viviamo". Ed ecco La Mer, Il mare: da lontano si intravede una barca, immagine mobile, quasi rinascente di continuo. "Sii propizio, ampio mare, agli infelici mortali, / Stretti ai tuoi bordi, persi nel tuo grande deserto". E l'enigmatico Pro-méthée, Prometeo, simbolo di antitesi tra natura e cultura, tra caos e civiltà, tra disobbedienza e affascinante dismisura: "Un solitario stravolto animale, / Col ventre sempre roso da un rovello incessante... / È così che saresti senza Prometeo, uomo". E La Porte, La porta, che, "malati d'attesa" vorremmo aperta a tutti i costi sul nostro cammino: "La romperemo a colpi, se sarà necessario...". E così via da un verso all'altro si può continuare a registrare la costellazione drammatica, stratificata di cielo e terra, di etere e corpo, nell'inesausto giuoco modulare della riemergente luce, da lei percepita come un "Lampo", da cui "nasceranno per me le città umane". Siamo, come è evidente, sul terreno folgorato di una poesia in cui Simone Weil, giovanissima, cerca di abbeverarsi alle fonti prime dell'essere, per mettere in gioco tutta se stessa, su quel confine che è lo stesso che l'ha spinta ai lavori duri dei campi e ai turni in officina. Ed è proprio qui che ha origine la fondazione del suo pensiero, la quale non avviene una volta per tutte, ma è un perenne ricominciamento. Senza nulla togliere alla forza dei sogni che continuano a germogliare fra le crepe e le rovine dell'edificio storico e sociale in cui vive. La sua storia personale è senza cedimenti: dal liceo alle battaglie politiche, dalla passione per la filosofia, seguendo gli insegnamenti del maestro Alain, alla ricerca della verità, dall'insegnamento al lavoro in fabbrica. Fino alla scelta mistica. Sempre disperata di sapere, assetata di esperienze, costantemente lucida e implacabile, a dispetto di una salute malferma. Solo guardando dentro di lei si possono avvertire gli schianti e i lamenti. E se da ragazza aveva scritto "Dio è meglio non conoscerlo", poi, maturata anche nella fatica del lavoro, è stata affascinata dal mistero di una avventura radicale. Tanto da sostenere "La croce del Cristo è l'unica porta della conoscenza". Di lei si è scritto molto, si è parlato molto. Forse perché la sua vita è lettura profetica e inquietante del nostro oggi: non ha mai voluto mediare né essere assente, ha visto con chiarezza i mali del suo tempo e fino all'ultimo respiro, (è morta il 24 agosto del 1943, a trentaquattro anni) ha voluto portare sulle proprie spalle il peso del mondo. Spinta fin dalla prima giovinezza dall'"inguaribile bisogno di capire" e da geniali intuizioni, ha aperto lo spirito a slanci di ispirazione poetica intima e cosmica. E sempre tesa alla ricerca del bello e del bene, si è sradicata con la disciplina e la preghiera. Scrive Maura Del Serra: "Con la poesia ha insegnato all'anima a diventare come l'acqua e la luce... diventare grazia all'interno delle propria stessa gravità, contemplandone i ritmi, i rapporti e le figure di trasmutazione con purezza di intenti e fermezza di sguardo".
Licia Gorlani Gardoni
"Giornale di Brescia"
23 agosto 2000
Le poesie di Simone Weil, a cura di Maura Del Serra, Pistoia, C.R.T., 2000, pp. 51
Intercalando le riflessioni dei Cahiers (i quali raccolgono, nell'arco breve della sua vita, le esperienze interiori della scrittrice), le poesie di S. Weil sembrano costituire all'interno di quella prosa come un riscatto, una salvifica reimmersione attraverso una forma data in cui, cristallizzandosi, si nobiliti il dolore. Il tono alto, fiero, limpido costituisce senz'altro un contraltare, per così dire, militante-belligerante al pathos avvolgente del male. E, come ben nota Maura Del Serra in prefazione, una voce maschile, epica, emerge dall'indistinzione vociferante degli umili cui si assimila la scrittrice per toccare il fondo della ferita umana. Dalle annotazioni in prosa, inevitabilmente legate a fatti biografici, si slanciano dunque forme di vita riscattata, che aspira ad una humanitas pura, sub specie aeternitatis, in nome della quale si sigla "il patto originario fra lo spirito e il mondo", come scrive ancora M. Del Serra citando dai Cahiers. Di qui il "pancalisme" di S. Weil (secondo la definizione di Bachelard) in cui il bello epurato sia il segno del bene senz'ombra finalmente riconquistato. Vi è infatti, in questi testi, un filo sotterraneo che li unisce tematicamente: l'agogé, ovvero la poetica dell'"effort"; un atto sacrificale, eminentemente poetico, di perequazione tra forma e informe, tra peccato e riscatto dell'anima che tanto ce la fa somigliare a Baudelaire pur nella diversità del tono. Così, da una viscosità oscura del peccato inglobante emerge, di tanto in tanto, il segno della 'vigilanza'; la barca, per esempio, come ben fa notare M. Del Serra, con riferimento a La mer. Richiamando il pensiero indiano ancestrale (la barca del sacrificio: Simone Weil si è a lungo nutrita di filosofia orientale) la poesia, rispetto alla prosa, ci appare proprio come un "navire" che, alla stregua del "beau navire" baudelairiano, beccheggia su un mare non indomito ma "docile aux freins": arrestato, pensato, plastico, e come faticosamente raccolto in un punto di osservazione nitido qual è il limpido dettato di questi testi. La traduzione di M. Del Serra risponde felicemente allo "slancio empatico" che, come la stessa curatrice scrive in nota, la unisce alla poetessa francese; una splendida resa dello stile e del ritmo ce la consegna fedele nel tono e nel senso.
Michela Landi
"Semicerchio", Rivista di Poesia Comparata
XXIV-XXV (2001), pp. 116-117
Tre comandamenti
Non essere complici, non mentire, non restare ciechi.
Non importi, non sottoporti, non sovrapporti.
È Maura Del Serra, che insegna Letteratura Moderna all'Università di Firenze, a suggerire queste due "trilogie" folgoranti nella sua bella introduzione alle Poesie (ed. C.R.T. di Pistoia) di quella grande scrittrice "mistica" che è stata l'ebrea francese Simone Weil (1909-1943), una figura tanto coinvolta anche dal cristianesimo. Fermiamoci pacatamente per qualche minuto su queste due frasi, per altro nitidissime. La prima è appunto della Weil e ci riporta al cuore intimo della coscienza. Essa è violata quando si diventa complici del male per interesse, egoismo o quieto vivere. È umiliata quando si ferisce coscientemente la verità, incamminandosi sulla strada comoda della menzogna. La coscienza, infine, è ottenebrata e incatenata quando si tengono gli occhi chiusi, eppure si dichiara di vedere, come diceva Gesù: "Se foste ciechi, non avreste alcun peccato: ma siccome dite: 'Noi vediamo!' il vostro peccato rimane" (Giovanni 9, 41).
L'altra trilogia di comandamenti è, invece, di un nostro poeta, il romano Arturo Onori (1885-1928), ed è altrettanto significativa per le scelte della coscienza morale. Si tratta di tre verbi assonanti che sono spesso la "divisa" indossata in politica, nella società, nella stesa vita familiare e talora persino in quella religiosa. L'ansia di "imporsi" fa prevaricare sugli altri. Si giunge, così, al "sovrapporsi", non solo a livello verbale con le sguaiataggini dei confronti-scontri ma anche nelle relazioni personali. O, al contrario, ci si sottopone fino all'umiliazione pur di ottenere vantaggi, sconfessando ogni dignità e rispetto di sé. Oggi è la festa di S. Giovanni Battista, un emblema della coscienza coerente e libera, fedele a entrambe le trilogie che abbiamo proposto.
Gianfranco Ravasi
"Avvenire" (Mattutino)
24 giugno 2004
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