Pagine di Maura Del Serra
 





        L'opera di George Herbert (1593-1633), intimo e potente poeta "metafisico" dell'aurea età elisabettiana, brillante ingegno di corte votatosi con umiltà alla missione sacerdotale, possiede in alto grado la qualità peculiare della poesia mistica di ogni tradizione: lo slancio visionario totale, eppure espressivamente sorvegliatissimo e riccamente inventivo, verso il polo unitivo di una passione ascetica che è ad un tempo intellettuale, emotiva e sensuale, e insieme semplice e toccante nella sua sete di verità interiore al di là dei dogmi ecclesiastici. Uno slancio che congiunge la tradizione agostiniano-patristica e la grande stagione della spiritualità barocca con l'introspezione soggettiva dei grandi romantici di lingua inglese (Coleridge, Emily Dickinson, Hopkins, Thompson), che dalla sobria ebrietas di Herbert trarranno linfa poetica ed immaginativa.
        Questa antologia è la prima offerta al lettore italiano dalle meditate versioni di Maura Del Serra, poetessa, drammaturga e traduttrice elettivamente legata alla linea della poesia religiosa europea, e in particolare alla limpida profondità musicale propria di questa voce.

Dalla quarta di copertina


 

George Herbert e la poesia metafisica
 
Per la prima volta in Italia, Maura Del Serra ci presenta un consistente florilegio dall'opera poetica The Temple ('Il Tempio').
        Un poeta della medietas, in cui l'intelligenza tende a stigmatizzare l'arabesco manieristico della poesia del suo tempo e ad affinare una sua mistica sensività fino a raggiungere una limpida forma di sacred wit (di spirito religioso), senza tuttavia smarrire il senso della quotidianità, della concretezza delle cose; ed " appunto alla certificazione di una tale medietas che " improntato il ritratto critico-storico che la Del Serra ci fornisce di Herbert.
        Con ciò la Del Serra, coniugandosi con le tesi di G. Melchiori, che inserisce a buon diritto il poeta nella triade dei "metafisici" maggiori con Donne e Crashaw riconoscendone esplicitamente senza pregiudizi ideologici o polemici la "grandezza", confuta "l'indifferenza riduttiva" con cui M. Praz ha guardato all'opera poetica di Herbert riducendone il complesso emblematismo religioso a "parrocchiale devozione".
        Ma non basta. Spingendo la sua appassionata analisi su un plausibile piano comparatistico, la Del Serra stabilisce infine, se non proprio delle affinità, almeno delle dipendenze ideali tra la poesia herbertiana (con le sue intermittenze, i suoi mutevoli passaggi interiori, l'attrazione verso ciò che Hopkins definirà la bellezza cangiante del creato, l'elaborata anarchia della stessa ribellione) e lo spiritualismo che ha animato la poesia italiana del Novecento, in ordine ad una "reintegrazione dell'io purificato nella grande catena cosmica" dove si radicano sia l'angoscia esistenziale del Pascoli che la "ribellante pena" di Rebora. Tuttavia, conclude la Del Serra "non c'" in Herbert - come ci sarà invece in Smart o in Hölderlin, e da noi appunto in Onofri e in Rebora - il graduale annegamento dell'anelante parola poetica di partenza in profluvio devozionale, o il suo incenerimento in petrosa sillabazione: il rapporto dinamico fra Io e Sé, circonferenza e centro, potenza e atto in Herbert resta fino all'ultimo gerarchicamente ancorato, ma creativamente aperto: un poiein che nel suo monologo-dialogo contempla le "bolle di vento" e i "fuochi fatui" della propria "mente turbata" formarsi e disfarsi incessantemente nell'"all Love" divino, ovvero assorbirsi nello specchio barocco santificato, che rovescia, deforma e brucia le immagini solo per reintegrarle nell'immagine solare [...] del divino incarnato.

PIETRO CIVITAREALE
"Il Lettore di Provincia"
XXV, aprile 1994