Lettera di Pietro Aretino a Giovanni de' Medici
da Reggio, [1524]

ASF: MAP.CXXII.296




 

 

[c. 299r]
 
Infinite adimande degli uomini e delle donne di Reggio circa il tornare di Vostra Signoria, Illustrissimo Patrone, mi sforza a scrivervi; ed il Messia non si espetta da Romanello con tanto desiderio e veramente è vedova questa terra per la lunga assenza di voi e la contessa vi brama, madonnna Girolema vi chiama e la infelice serva vostra vi piange e di così fatta maniera ch'io dubito che tosto non sentiate nuova di lei asprissima.
Signore, io vi giuro, per la sincera servitù colma di fede che tengo co le magnanime virtuti vostre, che non credo che donna sia al mondo più innamorata di lei; ed è a tal condotta che movería a pietà, non dico un uomo, ma la stessa crudeltade; e per Dio che le donne, già invidiose della buona fortuna sua che un Giovanni de' Medici invitto le aveva dato per amante, hanno più che compassione alla afflitta vita ch'ella mena, priva d'ogni conforto; e vi acquistate nome de ostinato e de quasi ingrato, massime avendo voi solo mosso ' amare quel freddo core, che mai persa dietro nissuno soldato aveva; e non di donna è più il suo angelico sembiante, ma di sepolta persona, e il suo cibo sono le lagrime, i sospiri ed il chiamare indarno il nome vostro; e s'ella fusse risoluta che 'l tornar vostro fossi lungo, non darei della sua vita niente. Sappiate, unico Signore mio, che non dico bugie, che, al corpo di Cristo, non me l'arei creduto, se mille volte il dì nol vedessi. Scrivetele almeno qualche volte, e abbiate compassione al suo nuovo ed inesperto amare e venitevi a vivere seco lieto, che son certissimo ch'ella niuno pericolo, niuno disagio e niuna cosa la trarría più del non contentarvi; e così, favole del vulgo, aranno insieme con le sue e vostre pene dolce fine; e son anco certo che 'l voler gettar via il tempo che in amarla speso avete vi dorrà in stranio modo; e più vi rincrescerà l'averlo senza frutto dispensato. E di nuovo vi replico che costei non solamente il corpo esporría ai vostri piaceri, ma l'anima. Sicché fate offizio di costante amante e di savio, concludendo le passioni sofferte con gratissimi affetti.
Parvi ch'io consigli bene? Al cul de Dio, ch'io sono in modo acconcio che il trarre i sassi è la minore, né fu mai omo che stessi peggio di me. Ma se io n'esco, s'io scappo farò dare uno trentone a quello sfasciato di Cupido. Non altro. Alla buona grazia di Vostra Signoria Illustrissima bascio vostre mane. De Reggio becco.

[Di Vostra Signoria Illustrissima]

[...]

 
[cc. 299v - 299-bisr: bianche]
 
[c. 299-bisv]
[sovrascritta]

Al Magnanimo ed Invitto Signore il Signore Giovanni de' Medici, mio unico Patrone, in Mantova


 

 
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