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GIOVAN PIETRO BELLORI
Vita di Carlo Maratti






GIOVAN PIETRO BELLORI, Vita di Carlo Maratti, in Le vite de' pittori, scultori e architetti moderni, a c. di Evelina Borea, Introduzione di Giovanni Previtali, Torino, Giulio Einaudi editore ("I millenni"), 1976, pp. 591-595

   [...] Succedendo il pontificato di Clemente nono [1] ed essendo Carlo ben noto a questo pontefice dal tempo ch'egli era cardinale, ebbe occasione d'essere ammesso piú volte a' suoi piedi. Avea Clemente qualità sante e degne insieme di gran prencipe, ed essendo erudito in ogni disciplina, amava sommamente anche gli studii della pittura, per la qual cosa Carlo ne ritrasse molto onore e segni di stima alla virtú sua; onde per lo pregio suo ne' ritratti fu chiamato a ritrarre un signorino de' Banchieri, figliuolo d'una nipote del papa, e lo figurò in un giardino con un mazzo di fiori in mano, mostrando volerne corre degli altri per vaghezza puerile; [2] questo ritratto per la sua bellezza fu cagione che di nuovo fosse chiamato all'altro del cardinal Giacomo Rospigliosi degnissimo e generosissimo nipote di sua santità, [3] il qual ritratto terminato volle il papa vederlo, ed ordinò che Carlo stesso lo portasse. Presentatosi egli ed accolto benignamente, dopo aver Clemente commendato il ritratto del nipote, si rivolse a Carlo e gli disse: "Quando vogliamo fare il nostro?" A tal proposta improvisa risposegli: "Quando piace alla Santità vostra". Era solito questo buon pontefice ne' giorni di carnevale ritirarsi in solitudine ed in riposo divoto nel palazzo di Santa Sabina sul monte Aventino, antico albergo pontificio, e trattenersi quivi per alquanti giorni fino alle Ceneri; onde Carlo soggiunse: "Beatissimo padre, mi parrebbono opportuni li prossimi giorni di carnevale, quando la Santità vostra è solita ritirarsi a Santa Sabina per trovarsi allora men occupata". Approvò Clemente l'opportunità del tempo, il qual giunto fu dato principio al ritratto. Non basta lodare la similitudine, essendo vivissimo e naturalissimo ma bisogna distendersi ancora alle altre parti, che lo rendono in pregio, spirando la maestà e la clemenza di quel prencipe. La figura è disposta quasi in faccia in una seggia di velluto cremesi col berettino e mozzetta rossa sopra il camice bianco sino le ginocchia; tiene una mano sopra un libro e rilassa l'altra sul bracciolo della seggia, appresso un tavolino sul quale è posato il campanello d'oro ed un memoriale col soprascritto: "Alla Santità di Nostro Signore Clemente IX per Carlo Maratti", che fu un ac- | corto motivo di esso per conciliarsi maggiormente la grazia del papa. Prende il ritratto un buonissimo lume e rilievo nel fondo d'una portiera oscura di lacca, ritenendo con la maestria un'esquisita diligenza, non solo nelle parti principali e piú importanti, ma in ogni minuzia nel contrafare le sottilissime pieghe del camice e sino il lustro de' chiodi d'oro e delle trine sfilate della sedia col velluto ne' braccioli alquanto logro e sperato dall'uso con altri accidenti che si lasciano alla vista. Ed essendo Carlo ne' ritratti, come in ogni altro studio della pittura ugualmente considerato ed eccellente, prima d'ogni altra cosa ha in costume ed è sua massima l'osservar col volto la disposizione naturale del corpo e l'atto proprio, in cui ciascuno è solito volgersi, e pronto e vivace o riposato e grave in modo che non si senta sforzo o molestia nel collocarsi le membra. Laonde il papa oltre le altre lodi gli aggiunse quest'una singolare, che ove altri ritraendolo l'aveano tenuto a disagio longamente, dipingendo Carlo non s'era accorto del tempo ch'era passato, parendogli di esser stato a trattenimento, la qual avvertenza ben può ravvisarsi dalla collocazione del ritratto stesso, che sta tutto in riposo ed esprime la stanchezza dell'età e l'aspetto languido del papa, serbando la maestà del volto, come si vede in casa Rospigliosi. Al qual proposito si fanno incontro due accidenti, seguiti a Carlo in tempo ch'egli terminava il ritratto: uno fu che ritraendolo un giorno lo vide a poco a poco venir meno e rilasciarsi sulla sedia in pericolo di cadere, e quasi preso d'accidente improviso, ond'egli trovandosi solo e confuso, né sapendo che risolversi, accorse subito a sovvenirlo con opporre le sue ginocchia alle ginocchia di Clemente per ritenerlo, ed acciò che tirato dal peso non precipitasse a terra. In tal angustia Carlo fermandosi alquanto voleva dar segno col campanello, e chiamare aiuto, quando il papa respirò e da se stesso si riebbe. Al qual motivo egli ritirossi in dietro alla seggiola ove dipingeva, senza darne indizio alcuno, ancorché preso da un certo terrore in sí gran periglio, se altro nella persona del papa fosse avvenuto. Tali moti e cangiamenti della rilassata complessione di Clemente cagionavano a Carlo gran difficoltà nel ritrarlo; poiché mancando in un subito il vigore, languivano gl'occhi e '1 volto, e si perdeva la similitudine, la quale per ogni minima alterazione, sino ad un punto diminuisce e si perde. Nella | qual difficoltà giovò a questo pittore la sua buona idea, poiché avanti di cominciare il ritratto, com'egli avea per uso, l'osservò in attenzione, e se lo formò al vivo nella mente, onde in quelle mancanze egli si sovveniva della propria idea, finché ravvivati gli spiriti, ripigliava il papa la medesima sembianza ed abitudine sua naturale. Si è detto avanti che Carlo dipingendo questo ritratto sedeva avanti il papa, il che parrà incredibile ad alcuno per esser cosa non piú usata in altri pittori e scultori, ancorché insigni, ammessi a far ritratti de' sommi pontefici e de' monarchi; ma tale fu invero la bontà e l'umanità di Clemente dal principio alla fine del ritratto, dicendo queste precise parole che "quando si ha da operare bisogna star commodo", intendendo dell'operazione dell'ingegno e della pittura, che opera con la mano serva ubbidiente all'operazione della mente. Questo onore singolarissimo non fu solo di Carlo, ma di tutta l'arte del pennello, essendo giusto che ne passi la memoria a' posteri fra gli altri meriti di essa. Dopo questo racconto dobiamo ora riferire l'altro avvenimento accaduto nell'occasione del medesimo ritratto, che fu maggiore del primo, anzi maravigliosa alla vista. Avendo Carlo terminata la testa del papa, voleva adattargli il camauro; chiesta però licenza e fatta la solita genuflessione nell'appressarsi a Clemente, ecco all'improvviso e con stupore vide risplender di vicino la venerabil faccia di quell'ottimo pastore, irradiata d'insolita luce. Dubitando Carlo di travedere, s'avvicinò di nuovo per assicurarsi della vista, e di nuovo vide la faccia luminosa la seconda e cosí la terza volta, continuando il lume. Non fu questa vana illusione di timore o d'altra perturbazione improvisa che l'occupasse, essendo egli solito di praticare col pontefice e di esser ammesso famigliarmente a' suoi piedi, e ciò gli è solito d'affermare con tanta sicurezza che ne farebbe fede con giuramento. Dopo che egli ebbe terminato la rassomiglianza del volto, diede compimento al resto in casa, ed avendo ben finito il ritratto, lo portò a Clemente, che ne manifestò il compiacimento e la stima con l'applauso della corte e de' personaggi che venivano lodando con l'arte la facilità usata nell'averlo esseguito, come si è detto, senza suo disagio alcuno, anzi con averlo posto in sedia a riposo e trattenimento. [4] |
   Meditava questo pontefice memorie magnifiche e ne elesse una ben degna della sua pietà in rinovare ed ampliare la vecchia tribuna della basilica di Santa Maria Maggiore, da ornarsi dentro di finissimi marmi, statue e pitture, e fuori la facciata di portici per renderla piú cospicua a quei che concorrono divotamente alla medesima basilica.
   Chiamato il cavalier Bernino co' disegni, ne aveva gettato i fondamenti, e disposti i lavori d'intaglio di travertino per cominciarne di fuori l'alzata, sollecitato dal desiderio del papa, che vecchio e mal sano bramava veder terminata l'opera in sua vita. [5] Nella qual congiontura non si dimenticando dell'opera di Carlo, l'elesse alle nuove pitture della medesima tribuna, che doveano corrispondere a sí nobili apparati. Ma non valse premura e diligenza alcuna, poiché la morte troppo frettolosa del pontefice s'oppose ai disegni e ne' fondamenti arrestò l'opera, [6] la quale veramente ad esso ed a Carlo sarebbe riuscita gloriosa per la nobiltà del luogo. Con tutto ciò non manca della sua bellezza essendo stata ristabilita la tribuna antica co' vecchi musaici dal successore papa Clemente X non senza splendidezza della nuova facciata magnificamente compita. [7] Qui non tralasciamo un altro contrasegno dell'inclinazione e paterno affetto di Clemente verso Carlo nella santificazione del beato Filippo Benizio, poiché in quella solennità dovendosi fare, com'è l'uso, un quadro per donare al papa con rappresentarvisi un miracolo del Santo, Clemente impose al generale dell'ordine che lo facesse dipingere a Carlo. Interogatolo dopo del premio solito pagarsi ed inteso esser 300 scudi tra '1 quadro e l'ornamento della cornice, parendogli poco, soggiunse al generale: "Questo danaro darete a Carlo nostro per la sola pittura, del resto sarà nostra cura". Il papa stesso scelse il soggetto di que' malandrini che giuocando e bestemmiando sotto un albero con donne impure senza apprezzare le ammonizioni del Santo, restarono con quell'albero fulminati ed arsi.
   Ma succeduta la morte di questo pontefice avanti la santifica- | zione, il quadro fu donato al successore Clemente X, restando in casa Altieri appresso l'eminentissimo cardinal Paluzzo, che insieme con altre nobili pitture lo conserva. [...]




NOTE



[1] [...] Sui rapporti del Rospigliosi [...] con gli artisti del tempo, vedi F. HASKELL, Patrons and Painters, London 1963, trad. it. Firenze 1966, pp. 102-6. [torna al testo]

[2] Opera non identificata. [torna al testo]

[3] I ritratti marattiani di questo personaggio (1628-1684, eletto cardinale nel 1667) sono, a quel che si sa, tre: uno, inciso da P. Simon, nel 1669, in collezione privata (Catalogo della mostra Il Seicento Europeo, Roma 1956, p. 178), l'altro a Roma, nella Galleria Pallavicini (F. ZERI, La Galleria Pallavicini in Roma, Firenze 1956, pp. 173-174), il terzo in Palazzo Rospigliosi a Roma (MEZZETTI, Contributi cit., pp. 296-97, 343). Secondo lo Zeri l'esemplare citato dal B[ellori] è da identificarsi con il quadro esposto alla Mostra del Seicento Europeo. [torna al testo]

[4] Il celebre ritratto è nella Pinacoteca Vaticana. La scritta sul manoscritto posto sul tavolo si legge oggi cosí: "1669 Carlo Maratti". Se ne conoscono due repliche, una a Manchester, Collezione Duca di Devonshire, l'altra a Leningrado, Ermitage (MEZZETTI, Contributi cit., pp. 328-29, 345). [torna al testo]

[5] Per il progetto non realizzato del Bernini per la tribuna di Santa Maria Maggiore, vedi H. BRAUER - R. WITTKOVER, Die Zeichungen des Bernini, Berlin 1931, p. 163. [torna al testo]

[6] Nel 1669. Suo successore fu Clemente X Altieri (1670-75). [torna al testo]

[7] Intende la facciata dalla parte dell'abside, compiuta da Carlo Rainaldi nel 1673 (cfr. F. FASOLO, L'opera di Hieronimo e Carlo Rainaldi, Roma 1964, pp. 238-42). I "vecchi musaici" sono di Jacopo Torriti, datati 1295 (G. MATTHIAE, Pittura romana del Medioevo, Roma 1966, pp. 217-28). [torna al testo]

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