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GIOVANNI CANEVAZZI
Di tre melodrammi del secolo XVII

ESTRATTI


 

 

GIOVANNI CANEVAZZI, Di tre melodrammi del secolo XVII, Modena, Unione Tipo-Litografica Modenese, 1904, 46 pp.

      [G. Rospigliosi è un] poeta che [...] non aveva veramente grandi risorse d'invenzioni, né alte genialità di forma, ma aborrente tuttavia da quegli adattamenti grotteschi, da quelle compiacenze volgari che esigevano i musici, i macchinisti, i virtuosi, allestendo un melodramma nel '600. Certo anche il Rospigliosi non poté, né seppe forse opporsi del tutto al gusto del pubblico, e ai mezzucci di moda, che qualora l'avesse potuto e saputo dovrebbe ritenersi uninnovatore.
      Siamo ben lontani dal ritenerlo tale, ma il Rospigliosi in alcuni dei suoi lavori, e in questa Erminia dove pure sono tanti difetti, ci appare poeta semplice, | alle volte spontaneo, sempre castigato; poeta [...] dalla lingua elegante, dai pensieri spesso elevati, dal senso drammatico mediocre, ma tale però, si potrebbe aggiungere, che egli riesce a distinguersi per una certa temperanza fra le centinaia di poeti melodrammatici, che si sbizzarriscono nella prima metà del secolo a portar sulle scene la più complessa fantasmagoria del capriccio e dell'anacronismo, e per una certa maggiore coscienza nei riguardi letterari, nell'espressione dei sentimenti e ancora della tecnica teatrale.

      [...]

      Se noi pensiamo poi che l'Erminia [...] potrebbe essere il primo lavoro del Rospigliosi, certamente uno dei primi, davvero che noi non sapremo trovare chi superi il poeta pistoiese fra i melodrammatici che lo precedettero. [pp. 23-24]

      [...]

      [Il Rospigliosi] per speditezza e per padronanza di concezione scenica, e per vaghezza e per effetti di svolgimento poetico si rivelò [in Chi soffre speri] più abile, più efficace e più felice che in qualsiasi altro suo dramma. [...] Chi soffre speri [...] ci ha fatto l'impressione che possa considerarsi teatralmente il capolavoro del papa pistoiese, | dando, ben s'intende, un'estensione relativa al nostro giudizio. [pp. 38-39]

      [...]

      Giova all'effetto scenico del lavoro, e merita di essere considerato dallo studioso di storia del teatro italiano, la rappresentazione [...] di una fiera sulla scena, di cui ci aveva dato esempio prima il Buonarroti in una commedia, mentre il Rospigliosi ce ne dà forse il primo esempio in un melodramma, e con tanta buona riuscita da consigliare il Vittori a ripeterne il tentativo. La fiera di Farfa nel dramma del Rospigliosi è caratteristica e curiosa per la storia del costume, non meno che per la introduzione sulla scena di un aspetto più umano [...]. [p. 39]

      [...]

      [...] È notevole ancora l'uso che fa il poeta delle maschere [...] io ritengo che la frequenza con cui dette maschere parlano ed agiscono fanno del Chi soffre speri uno degli esempî più meritevoli di considerazione per la vita della maschera italiana, nata nel secolo precedente ed entrata nel teatro come indispensabile per dare colore, compimento e gusto all'azione. E questa davvero doveva gran che avvantaggiarsi nel Chi soffre speri, dove la motivazione del riso nasceva oltre che dalle facezie delle varie maschere, anche dal ridicolo, che ha origine dalla diversità dei dialetti da loro parlati, e dalle differenze delle loro nature bizzarre, non mai però dalle sboccate e volgari espressioni, che il Rospigliosi con merito non piccolo seppe come sempre evitare. [p. 40]
 

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