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(Venezia, primi del '500 - Padova, prima del 29 agosto 1531) |
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TESTI STUDI VIRGILI Nel 1531 divampò a Padova una disputa fra Pietro
Bembo e Antonio Brocardo, studente di legge della locale università,
amante della letteratura. L'imprudente Brocardo osò parlare con
disprezzo dell'autorevolissimo Bembo, notando perfino degli errori nelle
Rime,
alle quali ebbe il coraggio di contrapporre le sue. L'indignazione di quest'ultimo
fu immediata e violenta.
[N.B.: In realtà le lodi sono tutte per il Brocardo. L'obiezione del Virgili, per cui sarebbero esagerate e incomprensibili se rivolte a un giovane scrittore semi-sconosciuto, è poco credibile: lo stile della lode nel Cinquecento era quello e non si curava della proporzione tra lode e oggetto lodato; inoltre proprio la passione polemica (anti-bembesca) poteva indurre a strafare]Come spesso accadeva a quei tempi i letterati si schierarono da una delle due parti. Non mancò in questo neppure l'Aretino, che decise, forse per convenienza, di prendere le parti del Bembo, accanendosi, con forte violenza verbale, contro il malcapitato Brocardo. Poiché questi ebbe ad ammalarsi e morire giovanissimo poco dopo, l'Aretino si vantò addirittura di averlo ucciso con i suoi sonetti. Certo il Berni dovette sentire una forte indignazione per il tragico avvenimento; probabilmente ne sono una prova le prime ottave del canto XIV del rifacimento (pp. 229-238) [N.B.: Ciò che afferma il Virgili è impossibile: nei versi del Berni il Brocardo è vivo (proprio per questo sono un elemento di datazione, individuando un terminus ante quem nella morte del Brocardo)]I Cornaro si schierarono dalla parte del Brocardo, loro amico, contro il Bembo (con il quale, benché fosse loro parente, avevano in sospeso vecchi rancori, legati ad interessi economici e benefici ecclesiastici) e di conseguenza contro il suo sostenitore, Pietro Aretino. Costui molto probabilmente si dolse non poco di questa inimicizia. Infatti, i Cornaro, essendo ricchi patrizi veneziani, avrebbero in seguito avuto un posto nel Senato di Venezia e ciò poteva preoccupare l'Aretino, che, se disse male di tutti, non osò mai dir male dei veneziani e di Venezia (pp. 245-246).
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