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Rime
 

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Banca Dati "Nuovo Rinascimento"
http://www.nuovorinascimento.org
immesso in rete il 25 settembre 1995
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FRANCESCO BERNI

Rime


a cura di Danilo Romei






1

CANZON D'UN SAIO

  1    Messer Antonio, io son inamorato
  2 del saio che voi non m'avete dato.
  3    Io sono inamorato e vo'gli bene
  4 proprio come se fussi la signora;
  5 guàrdogli il petto e guàrdogli le rene:
  6 quanto lo guardo più, più m'inamora;
  7 piacemi drento e piacemi di fuora,
  8 da rovescio e da ritto;
  9 tanto che m'ha trafitto,
 10 e vo'gli bene e sonne inamorato.
 11    Quand'io mel veggio indosso la mattina,
 12 mi par dirittamente che 'l sia mio;
 13 veggio que' bastoncini a pescespina,
 14 che sono un ingegnoso lavorio.
 15 Ma io riniego finalmente Dio
 16 e nolla voglio intendere,
 17 che ve l'ho pur a rendere;
 18 e vo'gli bene e sonne inamorato.
 19    Messer Anton, se voi sapete fare,
 20 potete doventar capo di parte.
 21 Vedete questo saio, se non pare
 22 ch'io sia con esso indosso un mezzo Marte?
 23 Fate or conto di metterlo da parte:
 24 io sarò vostro bravo
 25 e servidore e schiavo,
 26 et anch'io portarò la spada allato.
 27    Canzon, se tu non l'hai,
 28 tu poi ben dir che sia
 29 fallito insino alla furfantaria.



2

CAPITOLO A SUO COMPARE

  1    Se voi andate drieto a questa vita,
  2 compar, voi mangierete poco pane
  3 e farete una trista riuscita.
  4    Seguitar dì e notte le puttane,
  5 giucar tre ore a' billi et alla palla,
  6 a dir il ver, son cose troppo strane.
  7    Voi dite poi che vi duol una spalla
  8 e che credete aver il mal franzese:
  9 almen venisse il cancaro alla falla.
 10    Ben mi disse già un che se ne intese
 11 che voi mandaste via quell'uom da bene
 12 per poter meglio scorrere il paese.
 13    O veramente matto da catene!
 14 Perdonatemi voi, per discrezione,
 15 s'io dico più che non mi si conviene:
 16    io ve lo dico per affezione,
 17 per... non so s'io più dica fame o sete
 18 ch'io tengo della vostra salvazione.
 19    Che fate voi de' paggi che tenete,
 20 voi altri gran maestri, e de' ragazzi,
 21 se ne' bisogni non ve ne valete?
 22    Riniego Dio se voi non siate pazzi,
 23 che lassate la vita per andare
 24 drieto ad una puttana che vi amazzi.
 25    Forsi che voi v'avete da guardare
 26 che la gente non sappia i fatti vostri
 27 e siavi drieto a l'uscio ad ascoltare?
 28    O che colei ad un tratto vi mostri
 29 in su 'l più bello un palmo di novella,
 30 da far ispaventar le furie e i mostri,
 31    e poi vi cavi di dito l'anella
 32 e chieggiavi la veste e la catena
 33 e vòtivi ad un tratto la scarsella?
 34    Forsi che non avete a dar la cena
 35 e profumar il letto e le lenzuola
 36 e dormir poi con lei per maggior pena?
 37    E perché la signora non sia sola,
 38 anzi si tenga bene intertenuta,
 39 star tre ore appiccato per la gola?
 40    O vergogna de gli uomini fottuta,
 41 dormir con una donna tutta notte,
 42 che non ha membro adosso che non puta!
 43    Poi pianga e dica le rene son rotte
 44 e che ha perduto il gusto e l'appetito
 45 e gran mercé a lui s'egli la fotte.
 46    Ringrazio Dio ch'i' ho preso partito
 47 che le non mi daranno troppo noia,
 48 insino a tanto ch'io ne sia pentito.
 49    Prima mi lassarò cascar di foia
 50 che già consenta che si dica mai
 51 che una puttana sia cagion ch'io moia.
 52    Io ne ho veduto sperienza assai
 53 e quanto vivo più tanto più imparo,
 54 facendomi dottor per gli altrui guai.
 55    Or per tornare a voi, compar mio caro,
 56 et a' disordinacci che voi fate,
 57 guardate pur che non vi costi caro.
 58    Io vi ricordo che gli è or di state
 59 e che non si può far delle pazzie
 60 che si faceano le stagion passate.
 61    Quando e' vi vengon quelle fantasie
 62 di cavalcar a casa Michelino,
 63 sianvi raccomandate le badie.
 64    Attenetevi al vostro ragazzino,
 65 che finalmente è men pericoloso
 66 e non domanda altrui né pan né vino.
 67    Il dì statevi in pace et in riposo;
 68 non giucate alla palla dopo pasto,
 69 che vi farà lo stomaco acetoso.
 70    Così, vivendo voi quieto e casto,
 71 andrete ritto ritto in paradiso
 72 e trovarete l'uscio andando al tasto.
 73    Abbiate sopra tutto per avviso,
 74 se voi avete voglia di star sano,
 75 di non guardar le donne troppo in viso;
 76    datevi inanzi a lavorar di mano.



3

SONETTO DELLE PUTTANE

  1     Un dirmi ch'io gli presti e ch'io gli dia
  2 or la veste, or l'anello, or la catena,
  3 e, per averla conosciuta a pena,
  4 volermi tutta tòr la robba mia;
  5    un voler ch'io gli facci compagnia,
  6 che nell'inferno non è maggior pena,
  7 un dargli desinar, albergo e cena,
  8 come se l'uom facesse l'osteria;
  9    un sospetto crudel del mal franzese,
 10 un tòr danari o drappi ad interesso,
 11 per darli, verbigrazia, un tanto al mese;
 12    un dirmi ch'io vi torno troppo spesso,
 13 un'eccellenza del signor marchese,
 14 eterno onor del puttanesco sesso;
 15              un morbo, un puzzo, un cesso,
 16 un toglier a pigion ogni palazzo
 17 son le cagioni ch'io mi meni il cazzo.



4

SONETTO CONTRA LA MOGLIE

  1     Cancheri e beccafichi magri arrosto,
  2 e magnar carne salsa senza bere;
  3 essere stracco e non poter sedere;
  4 aver il fuoco appresso e 'l vin discosto;
  5    riscuoter a bell'agio e pagar tosto,
  6 e dar ad altri per dover avere;
  7 esser ad una festa e non vedere,
  8 e de gennar sudar come di agosto;
  9    aver un sassolin nella scarpetta
 10 et una pulce drento ad una calza,
 11 che vadi in su in giù per istaffetta;
 12    una mano imbrattata ed una netta;
 13 una gamba calzata ed una scalza;
 14 esser fatto aspettar ed aver fretta:
 15              chi più n'ha più ne metta
 16 e conti tutti i dispetti e le doglie,
 17 ché la peggior di tutte è l'aver moglie.



5

CAPITOLO DEL DILUVIO

  1     Nel mille cinquecento anni vent'uno,
  2 del mese di settembre a' ventidue,
  3 una mattina a buon'otta, a digiuno,
  4    venne nel mondo un diluvio che fue
  5 sì ruinoso che da Noè in là
  6 a un bisogno non ne furon due.
  7    Fu, come disse il Pesca, qui e qua;
  8 io, che lo viddi, dirò del Mugello:
  9 dell'altre parti dica chi lo sa.
 10    Vulcano, Ischia, Vesuvio e Mongibello
 11 non fecion a' lor dì tanto fracasso:
 12 disson le donne che gli era il fragello,
 13    e che gli era il demonio e 'l satanasso
 14 e 'l diavolo e 'l nemico e la versiera
 15 ch'andavon quella volta tutti a spasso.
 16    Egli era terza e parea più che sera;
 17 l'aria non si potea ben ben sapere
 18 s'ell'era persa o monachina o nera;
 19    tonava e balenava a più potere,
 20 cadevon le saette a centinaia:
 21 chi le sentì non le volea vedere.
 22    Non campò campanile o colombaia;
 23 in modo tal che si potea cantare
 24 quella canzona che dice: "O ve' baia".
 25    La Sieve fece quel che l'avea a fare:
 26 cacciossi inanzi ogni cosa a bottino,
 27 menonne tal che non ne volea andare.
 28    Non rimase pei fiumi un sol molino,
 29 e maladetto quel gambo di biada
 30 che non n'andasse al nemico del vino.
 31    Chi stette punto per camparla a bada
 32 arebbe poi voluto esser altrove,
 33 ché non rinvenne a sua posta la strada.
 34    Potria cantar cose alte e cose nove,
 35 miracoli crudeli e sterminati,
 36 dico più di otto e anco più di nove:
 37    come dir bestie e uomini affogati,
 38 quercie sbarbate, salci, alberi e cerri,
 39 case spianate e ponti ruinati.
 40    Di questi dica chi trovossi a i ferri;
 41 io ne vo' solamente un riferire,
 42 et anco Dio m'aiuti ch'io non erri.
 43    O buona gente che state a udire,
 44 sturatevi li orecchi della testa,
 45 ch'io dirò cosa da farvi stupire.
 46    Mentre che gli era in ciel questa tempesta,
 47 si trovorno in un fiume due persone:
 48 or udirete cosa che fu questa.
 49    Un fossatel che si chiama il Muccione,
 50 per l'ordinario sì secco e sì smunto
 51 che non immolla altrui quasi il tallone,
 52    venne quel dì sì grosso e sì raggiunto
 53 che costor duo, credendo esser da lato,
 54 si trovorno nel mezzo a punto a punto.
 55    Ivi ciascun di loro spaventato
 56 e non vedendo modo di fuggire,
 57 come sa ch'in tal casi s'è trovato,
 58    vollono in sur un albero salire
 59 e non dovette darne loro il core.
 60 Io non so ben quel che volesse dire:
 61    eron frategli e l'un, ch'era il maggiore,
 62 abbracciò ben quel legno e 'n su le spalle
 63 si fé salir il suo fratel minore.
 64    Quivi il Muccion e tutta quella valle
 65 correvon ceppi e sassi aspri e taglienti:
 66 tutta mattina dàlle, dàlle, dàlle.
 67    Furno coperti delle volte venti,
 68 e quel di sotto, per non affogare,
 69 all'albero appoggiava il viso e' denti.
 70    Attendeva quell'altro a confortare,
 71 ch'era per la paura quasi perso;
 72 ma l'uno e l'altro aveva poco a stare,
 73    ché bisognava lor far altro verso.
 74 Se non che Cristo mandò lor un legno
 75 che si pose a quell'albero attraverso:
 76    quel dette loro alquanto di sostegno,
 77 e non bisogna che nessun s'inganni,
 78 ché 'n altro modo non v'era disegno.
 79    A quel di sotto non rimase panni:
 80 uscinne pesto, livido e percosso,
 81 et era in ordin come un san Giovanni.
 82    Quell'altro anche devea aver poco indosso;
 83 pur li parve aver tratto diciannove,
 84 quand'egli fu dalla furia riscosso.
 85    Questa è una di quelle cose nuove
 86 ch'io m'arricordi aver mai più sentita,
 87 né credo tal ne sia mai stata altrove.
 88    Buone persone che l'avete udita
 89 e pur avete fatto questo bene,
 90 pregate Dio che vi dia lunga vita
 91    e guardivi dal foco e dalle piene.



6

CAPITOLO DEL CORNACCHINO O LAMENTO DI NARDINO
CANATTIERE, STROZZIERE E PESCATORE ECCELLENTISSIMO

  1    O buona gente che vi dilettate
  2 e piaccionvi i piacer del Magnolino,
  3 pregovi in cortesia che m'ascoltiate.
  4    Io vi dirò el Lamento di Nardino,
  5 che fa ogn'or con pianti orrendi e fieri
  6 sopr'al suo sventurato Cornacchino.
  7    Quest'era un bello e gentil sparavieri
  8 ch'e' s'avea preso e acconcio a sua mano
  9 et avutone già mille piaceri;
 10    egli era bel, grazioso e umano,
 11 sicuro quant'ogn'altro uccel che voli,
 12 da tenersel per festa a ignuda mano.
 13    Avea fatto a' suoi dì mille bei voli;
 14 avea fra l'altre parti ogni buon segno,
 15 e prese già quarant'otto assiuoli.
 16    Non avea forza, ma gli aveva ingegno,
 17 o, come dicon certi, avea destrezza,
 18 e 'n tutte le sue cose assai disegno;
 19    tornava al pugno, ch'era una bellezza;
 20 aspettava il cappell com'una forma:
 21 in fine, gli era tutto gentilezza.
 22    O Dio, cosa crudel fuor d'ogni norma,
 23 che quando e' venne il tempo delle starne
 14 e che n'apparse fuora alcuna torma,
 25    appena ebb'ei comminciato a pigliarne,
 26 che gli venne un enfiato sott'il piede,
 27 appunto ov'è più tenera la carne,
 28    sì come tutto dì venir si vede
 29 a gli uccei così vecchi come nuovi,
 30 che per troppa caldezza esser si crede.
 31    Quel che si sia, comunque tu gli provi,
 32 e' vien subitamente loro un male,
 33 che questi uccellator chiamano i chiovi.
 34    O umana speranza ingorda e frale,
 35 quant'è verace il precetto divino
 36 che non si debba amar cosa mortale!
 37    Comminciò indi a sospirar Nardino
 38 e star pensoso e pallido nel volto,
 39 dicendo dì e notte: "O Cornacchino,
 40    o Cornacchin mio buon, chi mi t'ha tolto?
 41 Tu m'hai privato d'ogni mio sollazzo,
 42 tu sarai la cagion ch'io verrò stolto.
 43    Impiccato sia io s'io non m'amazzo,
 44 s'io non mi metto al tutto a disperare".
 45 Così gridava che pareva pazzo.
 46    E come spesso avvien nell'uccellare,
 47 che qualche uccel fantastico e restio
 48 così 'n un tratto non volea volare,
 49    e' s'adirava e bestemmiava Dio
 50 e mordeasi per rabbia ambo le mani,
 51 gridando: "Ove sei tu, Cornacchin mio?".
 52    Di poi ha preso adirarsi co' cani,
 53 e gli chiama e gli sgrida e gli minaccia
 54 e dà lor bastonate da cristiani.
 55    Ond'un ch'è suo (né vo' che vi dispiaccia),
 56 c'ha nome Fagianin, ch'è un buon cane,
 57 èssi adirato e non ne vuol più caccia,
 58    e spesso spesso a drieto si rimane;
 59 dicono alcuni che 'l fa per dolore:
 60 un tratto e' va più volentieri al pane.
 61    Vedete or voi quanta forza ha l'amore,
 62 che insino a gli animali irrazionali
 63 hanno compassion del lor signore:
 64    queste son cose pur fiere e bestiali,
 65 chi le discorre e chi le pensa bene,
 66 che 'ntervengon nel mondo a gli animali.
 67    Però, s'alcuna volta c'interviene
 68 cosa ch'al gusto non ci vadi troppo,
 69 bisogna tòrne al fin quel che ne viene;
 70    ché si dà spesso in un peggiore intoppo
 71 et è con danno altrui spesso insegnato
 72 che gli è meglio ir trotton che di galoppo.
 73    O buona gente ch'avete ascoltato
 74 con sì divota e pura attenzione
 75 questo lamento ch'io v'ho raccontato,
 76    abbiate di Nardin compassione,
 77 sì ch'e' non s'abbi al tutto a disperarne:
 78 Dio lo cavi di questa tentazione.
 79    Io voglio in cortesia tutti pregarne
 80 che voi preghiate Dio pel Cornacchino;
 81 dico a chi piace uccellare alle starne,
 82    ch'è proprio un de' piacer del Magnolino.



7

CAPITOLO DE' GHIOZZI

  1    O sacri, eccelsi e gloriosi ghiozzi,
  2 o sopra gli altri pesci egregi tanto
  3 quanto de gli altri più goffi e più rozzi,
  4    datemi grazia ch'io vi lodi alquanto,
  5 alzando al ciel la vostra leggiadria,
  6 di cui per tutto il mondo avete il vanto.
  7    Voi sète il mio piacer, la vita mia;
  8 per voi, quand'io vi veggio, ogni mia pena
  9 cessa et ogni fastidio passa via.
 10    Benedetto sia il fiume che vi mena:
 11 o chiaro, ameno e piacevol Vergigno,
 12 in te non venga mai tòsco né piena,
 13    poi che tu se' sì grato e sì benigno
 14 e te ci mostri assai meglior vicino
 15 che quel che mena sol erba e macigno.
 16    Sia benedetto appresso anco Nardino,
 17 Dio lo mantenga e dìali ciò ch'e' vuole,
 18 cacio, gran, carnesecca et olio e vino,
 19    e facciagli le doti alle figliuole,
 20 acciò ch'altro non facci che pigliarvi
 21 col bucinetto e colle vangaiuole.
 22    Io vorrei pur cominciare a lodarvi,
 23 ma non so s'io haverò tanto cervello
 24 ch'io possa degnamente satisfarvi.
 25    Quando io veggio Nardin con quel piattello
 26 venir a casa e con la sua balestra
 27 io grido come un pazzo: "Vèllo, vèllo";
 28    e alzando verso lui la mano destra,
 29 tanta allegrezza mi s'avventa al core
 30 ch'io mi son per gittar dalla finestra.
 31    Poi mi vo verso lui con gran furore,
 32 correndo sempre e sempre mai gridando,
 33 come si fa d'intorno a chi si more.
 34    Poi ch'io v'ho visti, io vo considerando
 35 vostre fattezze tutte, a parte a parte,
 36 come chi va le stelle astrolagando.
 37    Certo Natura in voi mise grand'arte
 38 per far un animal cotanto degno
 39 da esser scritto in cento millia carte.
 40    La prima loda vostra, il primo segno
 41 ch'io trovo, è quel ch'avendo voi gran testa
 42 è forza che voi abbiate un grande ingegno;
 43    la cagion per l'effetto è manifesta:
 44 un gran coltel vuol una gran guaina
 45 et un grand'orinale una gran vesta.
 46    Segue da questa un'altra disciplina,
 47 ch'avendo ingegno e del cervello a iosa,
 48 è forza voi abbiate gran dottrina.
 49    A me pare un miracolo, una cosa
 50 che 'n tutti gli animal mai non trovossi
 51 così stupenda né maravigliosa:
 52    questa per un miracol contar possi,
 53 e pur si vede e tutto il giorno avviene,
 54 che voi sète meglior quanto più grossi.
 55    Se così fussin fatte le balene
 56 o' ceti o' lucci o' buovi o' lionfanti,
 57 so che le cose passarebbon bene.
 58    O pesci senza lische, o pesci santi,
 59 agevoli, gentil, piacevoloni,
 60 da comperarvi a vista et a contanti!
 61    Ma per non far più lunghi i mei sermoni,
 62 provar vi possa chi non v'ha provati,
 63 come voi sète in ogni modo buoni:
 64    caldi, freddi, in tocchetto e marinati.



8

CAPITOLO DELL'ANGUILLE

  1    S'io avessi le lingue a mille a mille
  2 e fussi tutto bocca, labra e denti,
  3 io non direi le laudi dell'anguille;
  4    non le direbbon tutti i miei parenti,
  5 che son, che sono stati e che saranno,
  6 dico i futuri, i passati e' presenti;
  7    quei che son oggi vivi non le sanno,
  8 quei che son morti non l'hanno sapute,
  9 quei c'hanno a esser non le saperanno.
 10    L'anguille non son troppo conosciute
 11 e sarebbon chiamate un nuovo pesce
 12 da un che più non l'avesse vedute.
 13    Vivace bestia che nell'acqua cresce
 14 e vive in terra e in acqua, e in acqua e in terra,
 15 entra a sua posta ove la vòle et esce,
 16    potrebbesi chiamarla Vinciguerra,
 17 ch'ella sguizza per forza e passa via
 18 quant'un più con la man la stringe e serra.
 19    Chi s'intendesse di geometria
 20 vedrebbe ch'all'anguilla corrisponde
 21 la più capace figura che sia.
 22    Tutte le cose che son lunghe e tonde
 23 hanno in se stesse più perfezione,
 24 che quelle ove altra forma si nasconde.
 25    E`ccene in pronto la dimostrazione,
 26 ché ' buchi tondi e le cerchia e l'anella
 27 son per le cose di questa ragione.
 28    L'anguilla è tutta buona e tutta bella,
 29 e se non dispiacesse alla brigata,
 30 potria chiamarsi buona robba anch'ella,
 31    ché l'è morbida e bianca e delicata,
 32 et anche non è punto dispettosa:
 33 sentesi al tasto quando l'è trovata.
 34    Sta nella mota il più del tempo ascosa,
 35 onde credon alcun ch'ella si pasca
 36 e non esca così per ogni cosa,
 37    com'esce il barbo e com'esce la lasca
 38 et escon bene spesso anch'i ranocchi
 39 e gli altri pesci c'hanno della frasca.
 40    Questo è perché l'è savia et apre gli occhi,
 41 ha gravità di capo e di cervello,
 42 sa far i fatti suoi me' che gli sciocchi.
 43    Credo che se l'anguilla fusse uccello
 44 e mantenesse questa condizione,
 45 sarebbe proprio una fatica avéllo,
 46    perché la fugge la conversazione
 47 e pur con gli altri pesci non s'impaccia,
 48 sta solitaria e tien riputazione.
 49    Pur poi che 'l capo a qualch'una si stiaccia
 50 fra tanti affanni, Dio le benedica
 51 et a loro et a noi bon pro ci faccia.
 52    Sia benedetto ciò che le nutrica:
 53 fiumi, fossati, fonti, pozzi e laghi,
 54 e chiunque dura a pigliarle fatica.
 55    E tutti quei che son del pescar vaghi
 56 Dio gli mantenga sempre mai gagliardi
 57 e per me del lor merito gli paghi.
 58    Benedetto sia tu, Matteo Lombardi,
 59 che pigli queste anguille e da'le a noi;
 60 Cristo ti leghi e sant'Anton ti guardi,
 61    che guarda i porci e le pecore e' buoi;
 62 dìeti senza principio e senza fine
 63 ch'abbi da lavorar quanto tu vuoi;
 64    e tiri a sé tre delle tue bambine,
 65 o veramente faccia lor la dota,
 66 et or l'allievi che le son piccine;
 67    i pegni dalla corte ti riscuota,
 68 disoblighiti i tuoi mallevadori
 69 e caviti del fango e della mota,
 70    acciò che tu attenda a' tuoi lavori
 71 e non senta mai più doglie né pene;
 72 paghiti i birri, accordi i creditori
 73    e facciati in effetto un uom da bene.



9

CAPITOLO DEI CARDI

  1    Poi ch'io ho detto di Matteo Lombardi,
  2 de' ghiozzi, dell'anguille e di Nardino,
  3 voglio dir qualche cosa anco de' cardi,
  4    che son quasi meglior che 'l pane e 'l vino;
  5 e s'io avessi a dirlo daddovero,
  6 direi di sì per manco d'un quattrino.
  7    Et anche mi parrebbe dire il vero,
  8 ma la brigata poi non me lo crede
  9 e fammi anch'ella rinegar san Piero;
 10    ben che pur alla fin, quando ella vede
 11 che i cardi son sì bene adoperati,
 12 le torna la speranza nella fede.
 13    E dice: "O terque quaterque beati
 14 quei che credono altrui senza vedere!",
 15 come dicon le prediche de i frati.
 16    Non ti faccia, villano, Iddio sapere,
 17 ciò è che tu non possa mai gustare
 18 cardi, carciofi, pesche, anguille e pere.
 19    Io non dico de' cardi da cardare,
 20 che voi non intendessi qualche baia;
 21 dico di quei che son buon da mangiare,
 22    che se ne pianta l'anno le migliaia
 23 ed attendonvi a punto i contadini
 24 quando non hanno più facende all'aia;
 25    fannogli anche a lor mano i cittadini
 26 e sono oggi venuti in tanto prezzo
 27 che se ne cava di molti fiorini.
 28    Dispiacciono a qualch'un che non ci è avezzo,
 29 come suol dispiacere il caviale,
 30 che pare schifa cosa per un pezzo:
 31    pur non di manco io ho veduto tale
 32 che, come vi s'avezza punto punto,
 33 gli mangia senza pepe e senza sale;
 34    senza che sien così trinciati a punto,
 35 vi dà né più né men drento di morso,
 36 come se fusse un pezzo di pane unto.
 37    A chi piaccion le foglie et a chi 'l torso;
 38 ma questo è poi secondo gli appetiti:
 39 ogniuno ha 'l suo giudizio e 'l suo discorso.
 40    Costoro usan de dargli ne' conviti,
 41 dietro, fra le castagne e fra le mele,
 42 da poi che gli altri cibi son forniti.
 43    Mangiansi sempre al lume di candele;
 44 ciò è, volevo dir, mangiansi il verno,
 45 e si comincia fatto san Michele.
 46    Bisogna aver con essi un buon falerno
 47 o un qualch'altro vin di condizione,
 48 come sa proveder chi ha governo.
 49    Chi vuol cavar i cardi di stagione,
 50 sarebbe proprio come se volesse
 51 metter un legno su per un bastone,
 52    e se fusse qualch'un che li cocesse
 53 e volesse mangiarli in varii modi,
 54 diria ch'egli non sa mezze le messe.
 55    I cardi vogliono esser grossi e sodi,
 56 ma non però sì sodi che sien duri,
 57 a voler che la gente se ne lodi;
 58    non voglion esser troppo ben maturi,
 59 anzi più presto alquanto giovanetti,
 60 altrimenti non son troppo sicuri;
 61    sopra tutto bisogna che sien netti;
 62 e se son messi per la buona via,
 63 causano infiniti buoni effetti:
 64    fanno svegliare altrui la fantasia,
 65 alzan la mente a gli uomini ingegnosi
 66 dietro a' secreti dell'astrologia.
 67    Quanto più stanno sotto terra ascosi,
 68 dove gli altri cotal diventan vecchi,
 69 questi diventan belli e rigogliosi.
 70    Non so quel che mi dir di quelli stecchi
 71 ch'essi hanno; ma, secondo il parer mio,
 72 si posson comportar così parecchi,
 73    perché, poi che gli ha fatti loro Iddio,
 74 che fa le corna e l'unghie a gli animali,
 75 convien ch'io m'abbia pazienza anch'io;
 76    pur che non sien però di quei bestiali,
 77 che come li spuntoni stanno intieri,
 78 tanto che passarebbon gli stivali.
 79    O Anton Calzavacca dispensieri,
 80 che sei or diventato spenditore,
 81 compraci questi cardi volentieri;
 82    non ti pigliar le cose così a core,
 83 ma attendi a spender, se tu hai denari;
 84 del resto poi provederà il Signore.



10

CAPITOLO DELLE PESCHE

  1    Tutte le frutte, in tutte le stagioni,
  2 come dir mele rose, appie e francesche,
  3 pere, susine, ciriegie e poponi,
  4    son bone, a chi le piacen, secche e fresche;
  5 ma, s'i' avessi ad esser giudice io,
  6 le non hanno a far nulla con le pesche.
  7    Queste son proprio secondo il cor mio:
  8 sàsselo ogniun ch'io ho sempre mai detto
  9 che l'ha fatte messer Domenedio.
 10    O frutto sopra gli altri benedetto,
 11 buono inanzi, nel mezzo e dietro pasto;
 12 ma inanzi buono e di dietro perfetto!
 13    Dioscoride, Plinio e Teofrasto
 14 non hanno scritto delle pesche bene,
 15 perché non ne facevan troppo guasto;
 16    ma chi ha gusto fermamente tiene
 17 che le sien le reine delle frutte,
 18 come de' pesci i ragni e le murene.
 19    Se non ne fece menzion Margutte,
 20 fu perché egli era veramente matto
 21 e le malizie non sapeva tutte.
 22    Chi assaggia le pesche solo un tratto
 23 e non ne vòle a cena e a desinare,
 24 si può dir che sia pazzo affatto affatto
 25    e che alla scuola gli bisogni andare
 26 come bisogna a gli altri smemorati
 27 che non san delle cose ragionare.
 28    Le pesche eran già cibo da prelati,
 29 ma, perché ad ogniun piace i buon bocconi,
 30 voglion oggi le pesche insino a i frati,
 31    che fanno l'astinenzie e l'orazioni;
 32 così è intravenuto ancor de' cardi,
 33 che chi ne dice mal Dio gliel perdoni;
 34    questi alle genti son piaciuti tardi,
 35 pur s'è mutata poi l'oppinione
 36 e non è più nessun che se ne guardi.
 37    Chi vuol saper se le pesche son buone
 38 et al giudizio mio non acconsente,
 39 stiasene al detto dell'altre persone,
 40    c'hanno più tempo e tengon meglio a mente,
 41 e vedrà ben che queste pesche tali
 42 piacciono a' vecchi più che all'altra gente.
 43    Son le pesche apritive e cordiali,
 44 saporite, gentil, restorative,
 45 come le cose c'hanno gli speziali;
 46    e s'alcun dice che le son cattive,
 47 io gli farò veder con esse in mano
 48 ch'e' non sa se sia morto o se si vive.
 49    Le pesche fanno un ammalato sano,
 50 tengono altrui del corpo ben disposto,
 51 son fatte proprio a beneficio umano.
 52    Hanno sotto di sé misterio ascosto,
 53 come hanno i beccafichi e gli ortolani
 54 e gli altri uccei che comincian d'agosto,
 55    ma non s'insegna a tutti i grossolani;
 56 pur chi volesse uscir di questo affanno
 57 trovi qualche dottor che glielo spiani,
 57 trovi qualche dottor che glielo spiani,
 58    ché ce n'è pur assai che insegneranno
 59 questo secreto et un'altra ricetta
 60 per aver delle pesche tutto l'anno.
 61    O frutta sopra l'altre egregia, eletta,
 62 utile dalla scorza infino all'osso,
 63 l'alma e la carne tua sia benedetta!
 64    Vorrei lodarti e veggio ch'io non posso,
 65 se non quanto è dalle stelle concesso
 66 ad un ch'abbia il cervel come me grosso.
 67    O beato colui che l'usa spesso
 68 e che l'usarle molto non gli costa,
 69 se non quanto bisogna averle appresso!
 70    E beato colui che da sua posta
 71 ha sempre mai qualch'un che gliele dia
 72 e trova la materia ben disposta!
 73    Ma io ho sempre avuto fantasia,
 74 per quanto possi un indovino apporre,
 75 che sopra gli altri avventurato sia
 76    colui che può le pesche dare e tòrre.



11

CAPITOLO DELL'ORINALE

  1    Chi non ha molto ben del naturale
  2 et un gran pezzo di conoscimento
  3 non può saper che cosa è l'orinale,
  4    né quante cose vi si faccin drento
  5 (dico senza il servigio dell'orina),
  6 che sono ad ogni modo presso a cento;
  7    e se fusse un dottor di medicina
  8 che le volesse tutte quante dire,
  9 arìa facende insino a domattina.
 10    Pur, chi qual cosa ne volesse udire,
 11 io son contento, per fargli piacere,
 12 tutto quel ch'io ne so di diffinire.
 13    E prima inanzi tratto è da sapere
 14 che l'orinale è a quel modo tondo
 15 acciò che possa più cose tenere:
 16    è fatto proprio come è fatto il mondo,
 17 che, per aver la forma circulare,
 18 voglion dir che non ha né fin né fondo;
 19    questo lo sa ogniun che sa murare
 20 e che s'intende dell'architettura
 21 che insegna altrui le cose misurare.
 22    Ha gran profondità la sua natura,
 23 ma più profonda considerazione
 24 la vesta e quel cotal con che si tura.
 25    Quella dà tutta la riputazione,
 26 diversamente, a tutti gli orinali,
 27 come danno anche e panni alle persone:
 28    la bianca è da brigate dozzinali;
 29 quella d'altro colore è da signori;
 30 quella ch'è rossa è sol da cardinali,
 31    che vi vogliono a torno que' lavori,
 32 ciò è frangie, fettuccie e reticelle,
 33 che gli fanno parer più bei di fuori.
 34    Vale altrui l'orinal per tre scarselle
 35 et ha più ripostigli e più secreti
 36 che le bisacce delle bagattelle.
 37    Adopranlo ordinariamente i preti
 38 e tengonlo la notte appresso al letto,
 39 drieto a' panni di razzo ed a' tappeti;
 40    e dicon che si fa per buon rispetto,
 41 che s'e' si avessin a levar la notte,
 42 verrebbe lor la punta o 'l mal di petto
 43    e forse ad un bisogno anche le gotte,
 44 ma sopra d'ogni cosa il mal franzese,
 45 c'ha già molte persone mal condotte.
 46    Io l'ho veduto già nel mio paese
 47 esser adoperato per lanterna
 48 e starvi sotto le candele accese;
 49    e chi l'ha adoperato per lucerna,
 50 e chi se n'è servito per bicchieri,
 51 ben che questa sia cosa da taverna.
 52    Io v'ho fatto già su mille pensieri,
 53 avutovi di strane fantasie
 54 e da non dirle così di leggieri.
 55    E s'io dicessi, non direi bugie,
 56 ch'io me ne son servito sempre mai
 57 in tutte quante l'occorrenzie mie;
 58    et ogni volta ch'io l'adoperai
 59 per mia necessità, sempre vi messi
 60 tutto quel ch'io aveva, o poco o assai;
 61    e non lo ruppi mai né mai lo fessi
 62 che si potesse dir per mio difetto,
 63 ciò è che poca cura vi mettessi.
 64    Bisogna l'orinal tenerlo netto
 65 e ch'egli abbia buon nerbo e buona schiena
 66 e darvi drento poi senza rispetto;
 67    che se 'l cristallo è di cattiva vena,
 68 chi crepa e chi si schianta e chi si fende,
 69 et è proprio un fastidio et una pena.
 70    E tutte queste prefate facende
 71 dell'orinale, e parecchie altre appresso,
 72 conosce molto ben chi se ne intende;
 73    e chi v'ha drento punto d'interesso
 74 giudicarà, com'io, che l'orinale
 75 è vaso da scherzar sempre con esso,
 76    come fanno i tedeschi col boccale.



12

CAPITOLO DELLA GELATINA

  1    E' non è mai né sera né mattina,
  2 né mezzo dì né notte ch'io non pensi
  3 a dir le laudi della gelatina,
  4    e mettervi entro tutti quanti e sensi
  5 e' nervi e le budella e 'l naturale
  6 per iscoprir li suoi misteri immensi.
  7    Ma veggo che l'ingegno non mi vale,
  8 ché la natura sua miracolosa
  9 è più profonda assai che l'orinale.
 10    Pur, perché nulla fa quel che nulla osa,
 11 s'io dovessi crepare, io son disposto
 12 di dirne ad ogni modo qualche cosa;
 13    e s'io non potrò gir così accosto,
 14 né entrar ne' suoi onor affatto drento,
 15 farò il me' che potrò così discosto.
 16    La gelatina è un quinto elemento
 17 e guai a noi se la non fusse l'anno
 18 di verno quando piove e tira il vento,
 19    ché la val più d'una veste di panno
 20 e presso ch'io non dissi anche del foco,
 21 che tal volta ci fa più tosto danno.
 22    Io non la so già far, che non son cuoco,
 23 e non mi curo di saper; ma basta
 24 ch'ancor io me ne intendo qualche poco.
 25    E s'io volessi metter mano in pasta,
 26 farei forse vedere alla brigata
 27 che ci è chi acconcia l'arte e chi la guasta.
 28    La gelatina scusa l'insalata
 29 e serve per finocchio e per formaggio
 30 da poi che la vivanda è sparecchiata.
 31    Et io che ci ho trovato un avantaggio,
 32 quando m'è messa gelatina inanzi,
 33 vo pur di lungo e mio danno s'i' caggio;
 34    e non pensi nessun che me ne avanzi,
 35 ché s'io ne dessi un boccone a persona,
 36 ti so dir ch'io farei di belli avanzi.
 37    Chi vuole aver la gelatina buona
 38 ingegnisi di darli buon colore;
 39 quest'è quel che ne porta la corona:
 40    dice un certo filosofo dottore
 41 che se la gelatina è colorita,
 42 è forza ch'ella n'abbia il buon sapore.
 43    Consiste in essa una virtude unita
 44 della forza del pepe e dell'aceto,
 45 che fa che l'uom se ne lecca le dita.
 46    Io vi voglio insegnare un mio secreto,
 47 che non mi curo ch'ei mi reste a dosso:
 48 io per me la vorrei sempre dirieto.
 49    Un altro ne vo' dire a chi è grosso:
 50 la gelatina vuol esser ben spessa
 51 e la sua carne vuol esser senza osso,
 52    ché qualche volta, per la troppa pressa
 53 che l'uomo ha di ficcarvi dentro i denti,
 54 un sen trae, poi dà la colpa ad essa.
 55    O gelatina, cibo delle genti
 56 che sono amiche della discrezione,
 57 sien benedetti tutti i tuoi parenti,
 58    come dir gelatina di cappone,
 59 di starna, di fagiano e di buon pesce
 60 e di mille altre cose che son buone!
 61    Io non ti potrei dir come m'incresce
 62 ch'io non posso dipingerti a pennello
 63 né dir quel che per te di sotto m'esce.
 64    Pur vo fantasticando col cervello
 65 che diavol voglia dir quel poco alloro,
 66 che ti si mette in cima del piattello;
 67    e trovo finalmente che costoro
 68 vanno alterando le sentenzie sue,
 69 tal che non è da creder punto loro.
 70    Ond'io, ch'intendo ben le cose tue,
 71 come colui che l'ho pur troppo a core,
 72 al fin concludo l'una delle due,
 73    che tu sei o poeta o imperatore.



13

CAPITOLO DELL'AGO

  1    Tra tutte le scienze e tutte l'arti,
  2 dico scienze et arti manuali,
  3 ha gran perfezion quella de' sarti;
  4    perché a chi ben la guarda senza occhiali,
  5 ell'è sol quella che ci fa diversi
  6 e differenti da gli altri animali,
  7    come i frati da messa da i conversi.
  8 Per lei noi ci mettiam sopra la pelle
  9 verdi panni, sanguigni, oscuri e persi,
 10    e facciam cappe, mantelli e gonnelle
 11 e più maniere d'abiti e di veste
 12 che non ha rena il mar né il cielo stelle,
 13    e mutiànci a vicenda or quelle or queste,
 14 come anche a noi si mutan le stagioni
 15 e i dì son di lavoro o dì di feste.
 16    Ci mangiarebbon la state i mosconi
 17 e le vespe e i tafan, se non fuss'ella;
 18 di verno aremo sempre i pedignoni.
 19    Essendo adunque l'arte buona e bella,
 20 convien che gl'instrumenti ch'ella adopra
 21 delle sue qualità prendin da quella;
 22    e perché fra lor tutti sotto sopra
 23 quel ch'ella ha sempre in man par che sia l'ago,
 24 di lui ragionarà tutta quest'opra.
 25    Di lui stato son io sempre sì vago
 26 e sì m'è ito per la fantasia,
 27 che sol del ricordarmene m'appago.
 28    Dissi già in una certa opera mia
 29 che le figure che son lunghe e tonde
 30 governan tutta la geometria.
 31    Chi vòl sapere il come, il quando e il donde,
 32 vada a legger l'istoria dell'Anguille,
 33 ché quivi a chi domanda si risponde.
 34    Queste due qualità fra l'altre mille
 35 nell'ago son così perfettamente,
 36 che sarebbe perduto il tempo a dille.
 37 ....................................
 38    Questa dell'ago è sua peggior fortuna:
 39 si posson tòr tutte l'altre in motteggio,
 40 a questo mal non è speranza alcuna.
 41    Le donne dicon ben c'hanno per peggio
 42 quando si torce nel mezzo o si piega;
 43 ma io quella con questa non pareggio,
 44    perché quando egli è guasta la bottega,
 45 rotta la toppa e spezzati i serrami,
 46 si può dire al maestro: "Vatti annega".
 47    Sono alcuni aghi c'hanno due forami,
 48 et io n'ho visti in molti luoghi assai,
 49 e servon tutti quanti per farne ami.
 50    Non gli opran né i bastier né i calzolai,
 51 né simili altri, perché e' son sottili
 52 quanto può l'ago assottigliarsi mai;
 53    son cose da man bianche e da gentili,
 54 però le donne se gli hanno usurpati,
 55 né voglion ch'altri mai che lor gl'infili.
 56    E non gli tengon punto scioperati,
 57 anzi la notte e 'l dì sempre mai pieni,
 58 e fan con essi lavori sfoggiati:
 59    sopra quei lor telai fitte co i seni
 60 sopra quei lor cuccin tutt'el dì stanno,
 61 ch'io non so com'ell'han la sera reni.
 62    Quando l'ago si spunta, è grande affanno;
 63 pur perché al male è qualche medicina
 64 si ricompensa in qualche parte il danno:
 65    tanto sopra una pietra si strofina
 66 e tanto si rimena inanzi e 'n dreto,
 67 ch'aconciarne qualch'un pur s'indovina.
 68    Quando si torce ha ben dell'indiscreto;
 69 e se poi ch'egli è torto un lo dirizza,
 70 vorrei che m'insegnasse quel secreto.
 71    Questo alle donne fa venire stizza;
 72 e ciò intervien perch'egli è un ferraccio
 73 vecchio d'una miniera marcia e vizza.
 74    Però quei da Damasco han grande spaccio
 75 in ciascun luoco e quei da San Germano:
 76 il resto si può dir carta di straccio.
 77    Questi tai non si piegano altrui in mano,
 78 temperati alla grotta di Vulcano.
 79 .......................................
 80    Chi la vista non ha sottile e pronta
 81 questo mestier non faccia mai la sera,
 82 ch'a manco delle quattro ella gli monta,
 84    ché spesso avvien che v'entra dentro cera
 85 o terra o simil altra sporcheria,
 86 che inanzi ch'ella n'esca un si dispera.
 87 .......................................
 88    E così l'ago fa le sue vendette:
 89 s'altri lo infilza et egli infilza altrui
 90 e rende ad altri quel ch'altri gli dette.
 91 .......................................
 92    Opra è d'amor tener le cose unite:
 93 questo fa l'ago più perfettamente,
 94 che per unirle ben le tien cucite.
 95 .......................................
 96    Caminando tal volta pel podere,
 97 entra uno stecco al villano nel piede,
 98 che le stelle di dì gli fa vedere;
 99    ond'ei si ferma e ponsi in terra e siede,
100 e poi che in su 'l ginocchio il pie' s'ha posto,
101 cerca coll'ago ove la piaga vede;
102    e tanto guarda or d'appresso or discosto,
103 ch'al fin lo cava, e s'egli indugia un pezzo,
104 pare aver fatto a lui pur troppo tosto.
105    Infilzasi coll'ago qualche vezzo...
106 ......................................
107    Godete con amor, felici amanti;
108 state dell'ago voi, sarti, contenti;
109 ché, per dargli gli estremi ultimi vanti,
110    è l'instrumento de gli altri instrumenti.



14

CAPITOLO DELLA PRIMIERA

  1    Tutta l'età d'un uomo intera intera,
  2 se la fusse ben quella di Titone,
  3 non basterebbe a dir della primiera;
  4    non ne direbbe affatto Cicerone,
  5 né colui ch'ebbe, come dice Omero,
  6 voce per ben nove millia persone:
  7    un che volesse dirne daddovero,
  8 bisognere' ch'avesse più cervello
  9 che chi trovò gli scacchi e 'l tavoliero.
 10    La primiera è un gioco tanto bello
 11 e tanto travagliato, tanto vario,
 12 che l'età nostra non basta a sapello;
 13    non lo ritroverebbe il calendario
 14 né 'l messal ch'è sì lungo, né la messa,
 15 né tutto quanto insieme il breviario.
 16    Dica le lode sue dunque ella stessa,
 17 però ch'un ignorante nostro pari
 18 oggi fa ben assai se vi s'appressa;
 19    e chi non ne sa altro, almanco impari
 20 che colui ha la via vera e perfetta
 21 che gioca a questo gioco i suoi danari.
 22    Chi dice egli è più bella la bassetta
 23 per esser presto e spacciativo gioco,
 24 fa un gran male a giocar se gli ha fretta.
 25    Questa fa le sue cose a poco a poco;
 26 quell'altra, perché ell'è troppo bestiale,
 27 pone ad un tratto troppo carne a foco,
 28    come fanno color c'han poco sale
 29 e que' che son disperati e falliti
 30 e fanno conto di capitar male.
 31    Nella primiera è mille buon partiti,
 32 mille speranze da tenere a bada,
 33 come dire "carte a monte" e "carte e 'nviti",
 34    "chi l'ha" e "chi non l'ha", "vada" e "non vada",
 35 star a flusso, a primiera e dire: "A voi",
 36 e non venir al primo a mezza spada:
 37    ché, se tu vòi tener l'invito, puoi;
 38 se tu no 'l vuoi tener, lasciarlo andare,
 39 metter forte e pian pian, come tu vuoi;
 40    puoi far con un compagno anche a salvare,
 41 se tu avessi paura del resto,
 42 et a tua posta fuggire e cacciare.
 43    Puossi far a primiera in quinto e 'n sesto,
 44 che non avvien così ne gli altri giochi,
 45 che son tutte novelle a petto a questo;
 46    anzi son proprio cose da dapochi,
 47 uomini da niente, uomini sciocchi,
 48 come dir messi e birri et osti e cuochi.
 49    S'io perdessi a primiera il sangue e gli occhi
 50 non me ne curo; dove a sbaraglino
 51 rinnego Dio s'io perdo tre baiocchi.
 52    Non è uom sì fallito e sì meschino,
 53 che s'egli ha voglia di fare a primiera,
 54 non truovi d'accattar sempre un fiorino.
 55    Ha la primiera sì allegra cera
 56 che la si fa per forza ben volere
 57 per la sua grazia e per la sua maniera.
 58    Et io per me non truovo altro piacere
 59 che, quando non ho il modo da giocare,
 60 star dirieto ad un altro per vedere;
 61    e stare'vi tre dì senza mangiare,
 62 dico bene a disagio, ritto ritto,
 63 come s'io non avessi altro che fare;
 64    e per suo amore andrei fin in Egitto
 65 et anche credo ch'io combatterei,
 66 defendendola a torto et a diritto.
 67    Ma s'io facessi e dicessi per lei
 68 tutto quel ch'io potessi fare e dire,
 69 non arei fatto quel ch'io doverei;
 70    però, s'a questo non si può venire,
 71 io per me non vo' innanzi per sì poco
 72 durar fatica per impoverire:
 73    basta che la primiera è un bel gioco.



15

SONETTO CONTRA LA PRIMIERA

  1    Può far la Nostra Donna ch'ogni sera
  2 i' abbia a star a mio marcio dispetto
  3 in fin all'undeci ore andarne al letto,
  4 a petizion de chi gioca a primiera?
  5    Dirà forse qualch'un: "Ei si dispera,
  6 et a' maggior di sé non ha rispetto".
  7 Potta di Jesu Cristo (io l'ho pur detto!),
  8 hassi a giocar la notte intera intera?
  9    Viemmene questo per la mia fatica
 10 ch'io ho durato a dir de' fatti tuoi,
 11 che tu mi se', Primiera, sì nemica?
 12    Ben che bisognaria voltarsi a voi,
 13 signor; che se volete pur ch'io 'l dica,
 14 volete poco ben a voi et a noi.
 15              Et inanzi cena e poi
 16 giocate e giorno e notte tuttavia,
 17 senza sapere che restar si sia.
 18              Questa è la pena mia:
 19 ch'io veggio e sento, e non posso far io;
 20 e non volete ch'i' rineghi Dio?



16

CAPITOLO DI PAPA ADRIANO

  1    O poveri, infelici cortegiani,
  2 usciti dalle man de' fiorentini
  3 e dati in preda a tedeschi e marrani,
  4    che credete che importin quelli uncini
  5 che porta per insegna questo arlotto,
  6 figliuol d'un cimator de panni lini?
  7    Andate a domandarne un po' Ceccotto,
  8 che fa profession d'imperiale,
  9 e diravvi il misterio che v'è sotto.
 10    Onde diavol cavò questo animale
 11 quella bestiaccia di papa Leone?
 12 Che li mancò da far un cardinale?
 13    E voi, reverendissime persone,
 14 che vi faceste così bello onore,
 15 andate adesso a farvi far ragione;
 16    o Volterra, o Minerva traditore,
 17 o canaglia, diserti, asin, furfanti,
 18 avete voi da farci altro favore?
 19    Se costui non v'impicca tutti quanti
 20 e non vi squarta, vo' ben dir che sia
 21 veramente la schiuma de' pedanti.
 22    Italia poverella, Italia mia,
 23 che ti par di questi almi allievi tuoi
 24 che t'han cacciato un porro dietro via?
 25    Almanco si voltasse costà a voi
 26 e fessevi patir la penitenza
 27 del vostro error. Che colpa n'abbiàn noi,
 28    che ci ha ad esser negata l'audienza
 29 e dato su 'l mostaccio delle porte,
 30 che Cristo non ci arebbe pazienza?
 31    Ecco che personaggi, ecco che corte,
 32 che brigate galanti, cortegiane:
 33 Copis, Vincl, Corizio e Trincaforte!
 34    Nomi da far isbigottir un cane,
 35 da far ispiritar un cimitero,
 36 al suon delle parole orrende e strane.
 37    O pescator deserto di san Piero,
 38 questa è ben quella volta che tu vai
 39 in chiasso et alla stufa daddovero.
 40    Comincia pur avviarti a Tornai
 41 e canta per la strada quel versetto
 42 che dice: "Andai in Fiandra e non tornai".
 43    Oltre, canaglia brutta, oltre al Traghetto!
 44 Ladri cardinalacci schericati,
 45 date loco alla fe' di Macometto,
 46    che vi gastighi de' vostri peccati
 47 e levivi la forma del cappello,
 48 al qual senza ragion foste chiamati.
 49    Oltre, canaglia brutta, oltre al bordello!
 50 Ché Cristo mostrò ben d'avervi a noia,
 51 quando in conclavi vi tolse il cervello.
 52    S'io non dic'or da buon senno, ch'i' moia,
 53 che mi parrebbe far un sacrifizio
 54 ad esser per un tratto vostro boia.
 55    O ignoranti, privi di giudizio,
 56 voi potrete pur darvi almeno il vanto
 57 d'aver messa la chiesa in precipizio.
 58    Basta che gli hanno fatto un papa santo,
 59 che dice ogni mattina la sua messa
 60 e non se 'l tocca mai se non col guanto.
 61    Ma state saldi, non gli fate pressa,
 62 dategli tempo un anno e poi vedrete
 63 che piacerà anco a lui l'àrista lessa.
 64    O Cristo, o santi, sì che voi vedete
 65 dove ci han messi quaranta poltroni,
 66 e state in cielo e sì ve ne ridete!
 67    Che maledette sien quante orazioni
 68 e quante letanie vi fur mai dette
 69 da' frati in quelle tante processioni!
 70    Ecco per quel che stavan le staffette
 71 apparecchiate ad ir annunziare
 72 la venuta di Cristo in Nazarette.
 73    Io per me fui vicino a spiritare
 74 quando sentii gridar quella Tortosa
 75 e volsi cominciar a scongiurare.
 76    Ma il bell'era ad odir un'altra cosa:
 77 e' dubitavan che non accettasse,
 78 come persona troppo scrupulosa;
 79    per questo non volevan levar l'asse
 80 di quel conclavi ladro scelerato,
 81 se forse un'altra volta ei bisognasse.
 82    Dopo che sepper ch'egli ebbe accettato,
 83 incominciorno a dir che non verrìa
 84 et aspettava ogniun d'esser chiamato.
 85    Allora il Cesarin volse andar via
 86 per parer diligente; e menò seco
 87 Serapica in iscambio di Tubbia.
 88    O sciocchi, a Ripa è sì tristo vin greco,
 89 che non avesse dovuto volare,
 90 se fusse stato zoppo, attratto e cieco?
 91    Dubbitavate voi dell'accettare?
 92 Non sapevate voi ch'egli avea letto
 93 che un vescovato è buon desiderare?
 94    Or su, che questo papa benedetto
 95 venne (così non fusse mai venuto,
 96 per far a gli occhi mei questo dispetto):
 97    Roma è rinata, il mondo è riavuto,
 98 la peste spenta, allegri gli uffiziali:
 99 oh, che ventura che noi abbiamo avuto!
100    Non si dice più mal de' cardinali;
101 anzi son tutti persone da bene,
102 tanto franzesi quanto imperiali.
103    O mente umana, come spesso avviene
104 che un loda e danna una cosa e la piglia
105 in pro, in contra, come ben gli viene!
106    Così adesso non è maraviglia
107 se la brigata divien inconstante
108 e mal contenta di costui bisbiglia.
109    Or credevate voi, gente ignorante,
110 ch'altrimenti dovesse riuscire
111 un sciagurato, ipocrito, pedante?
112    Un nato solamente per far dire
113 quanto pazzescamente la fortuna
114 abbia sopra di noi forza et ardire?
115    Un che, s'avesse in sé bontate alcuna,
116 doverrebbe squartar chi l'ha condotto
117 alla sede papal ch'al mondo è una?
118    Dice 'l suo Teodorico ch'egli è dotto
119 e ch'egli ha una buona conscienza,
120 come colui che gliel'ha vista sotto.
121    L'una e l'altra gli ammetto e credo senza
122 che giuri; e credo ch'egli abbi ordinato
123 di non dar via beneficŒ in credenza:
124    più presto ne farà miglior mercato
125 e perderanne inanzi qualche cosa,
126 pur che denar contanti gli sia dato.
127    Questo perché la chiesa è bisognosa
128 e Rodi ha gran mestier d'esser soccorsa
129 nella fortuna sua pericolosa;
130    per questo si riempie quella borsa
131 che gli fu data vota; onde più volte
132 la man per rabbia si debbe aver morsa.
133    Ma di cui vi dolete, o genti stolte,
134 se per difetto de' vostri giudizŒ
135 vostre speranze tenete sepolte?
136    Lasciate andar l'impresa de gli uffizŒ
137 et si habetis auro et argento
138 spendetel tutto quanto in benefizŒ,
139    che vi staranno a sessanta per cento;
140 e non arete più sospizione
141 ch'e denar vostri se gli porti il vento.
142    Non dubbitate di messer Simone,
143 ché maestro Giovan da Macerata
144 ve ne farà plenaria assoluzione.
145    A tutte l'altre cose sta serrata
146 e dicesi: "Videbimus"; a questa
147 si dà un'audienza troppo grata.
148    Ogni dimanda è lecita et onesta:
149 e che sia il ver, benché fusse difeso,
150 pur al lucchese si tagliò la testa.
151    Io non so se sia 'l vero quel c'ho inteso,
152 ch'e' tasta ad un ad un tutti i denari
153 e guarda se' ducati son di peso;
154    or quei che non lo sa studii et impari,
155 ché la regola vera di giustizia
156 è far che la bilancia stia di pari.
157    Così si tiene a Roma la dovizia
158 e fannosi venir l'espedizioni
159 di Francia, di Polonia e di Gallizia;
160    queste son l'astinenze e l'orazioni
161 e le sette virtù cardinalesche
162 che mette san Gregorio ne' Sermoni.
163    Dice Franciscus che quelle fantesche
164 che tien a Belveder servon per mostra,
165 ma con effetto a lui piaccion le pesche;
166    e certo la sua cera lo dimostra,
167 ché gli è pur vecchio et in parte ha provato
168 la santa cortigiana vita nostra.
169    Di questo quasi l'ho per iscusato,
170 ché non è vizio proprio della mente,
171 ma difetto che gli anni gli han portato;
172    e credo in conscienza finalmente
173 che non sarebbe se non buon cristiano,
174 se non assassinasse sì la gente.
175    Pur quand'io sento dir oltramontano,
176 vi fo una chiosa sopra col verzino:
177 id est nemico al sangue italiano.
178    O furfante, ubbriaco, contadino,
179 nato alla stufa, or ecco chi presume
180 signoreggiar il bel nome latino!
181    E quando un segue il libero costume
182 di sfogarsi scrivendo e di cantare,
183 lo minaccia di far gettar in fiume:
184    cosa d'andarsi proprio ad annegare,
185 poi che l'antica libertà natia
186 per più dispetto non si puote usare.
187    San Pier, s'i' dico pur qualche pazzia,
188 qualche parola ch'abbia del bestiale,
189 fa con Domenedio la scusa mia:
190    l'usanza mia non fu mai di dir male;
191 e che sia 'l ver, leggi le cose mie,
192 leggi l'Anguille, leggi l'Orinale,
193    le Pesche, i Cardi e l'altre fantasie:
194 tutte sono inni, laude, salmi et ode;
195 guàrdati or tu dalle palinodie.
196    I' ho drento un sdegno che tutto mi rode
197 e sforza contra l'ordinario mio,
198 mentre costui di noi trionfa e gode,
199    a dir di Cristo e di Domenedio.



17

CAPITOLO D'UN RAGAZZO

  1    I' ho sentito dir che Mecenate
  2 dette un fanciullo a Vergilio Marone,
  3 che per martel voleva farsi frate;
  4    e questo fece per compassione
  5 ch'egli ebbe di quel povero cristiano,
  6 che non si dessi alla disperazione.
  7    Fu atto veramente da romano,
  8 come fu quel di Scipion maggiore,
  9 quand'egli era in Ispagna capitano.
 10    Io non son né poeta né dottore,
 11 ma chi mi dessi a quel modo un fanciullo,
 12 credo ch'io gli daria l'anima e 'l cuore.
 13    Oh state cheti, egli è pur un trastullo
 14 aver un garzonetto che sia bello,
 15 da insegnarli dottrina e da condullo!
 16    Io per me credo ch'i' fare' il bordello
 17 e ch'io gl'insegnarei ciò ch'io sapessi,
 18 s'egli avesse niente di cervello.
 19    E così ancora, quand'io m'avvedessi
 20 che mi facessi rinegare Iddio,
 21 non è dispetto ch'io non gli facessi.
 22    Oh Dio, s'io n'avesse un che vo' dir io,
 23 poss'io morir come uno sciagurato,
 24 s'io non gli dividesse mezzo il mio;
 25    ma io ho a far con un certo ostinato,
 26 o, per dir meglio, con quelli ostinati
 27 c'han tolto a farmi viver disperato.
 28    Per Dio, noi altri siam pur sgraziati,
 29 nati ad un tempo dove non si trova
 30 di questi così fatti Mecenati.
 31    Sarà ben un che farà una pruova
 32 di dar via una somma di denari;
 33 da quello in su non è uom che si muova.
 34    Or che diavol ha a far qui un mio pari?
 35 Hass'egli a disperar o a gittar via,
 36 se non v'è Mecenati o Tucchi o Vari?
 37    Sia maladetto la disgrazia mia,
 38 poi ch'io non nacqui a quel buon secol d'oro,
 39 quando non era ancor la carestia!
 40    Sappi, che diavol sarebbe a costoro
 41 d'accomodar un pover uom da bene
 42 e di far un bel tratto in vita loro?
 43    Ma so ben io donde la cosa viene:
 44 perché la gente se lo trova sano,
 45 ogniun va drieto al caldo delle rene
 46    et ogniun cerca di tenere in mano;
 47 così avviene; e chi non ha, suo danno:
 48 non val né santo Anton né san Bastiano.
 49    Cristo, cavami tu di questo affanno;
 50 o tu m'insegna com'io abbi a fare
 51 aver la mala pasqua col mal anno;
 52    e s'egli è dato ch'io abbi a stentare,
 53 fa' almen che qualch'un altro stenti meco,
 54 acciò ch'io non sia solo a ruinare.
 55    Cupìdo traditor, bastardo, cieco,
 56 che sei cagion di tutto questo male,
 57 riniego Iddio s'io non m'amazzo teco,
 39 quando non era ancor la carestia!
 40    Sappi, che diavol sarebbe a costoro
 41 d'accomodar un pover uom da bene
 42 e di far un bel tratto in vita loro?
 43    Ma so ben io donde la cosa viene:
 44 perché la gente se lo trova sano,
 45 ogniun va drieto al caldo delle rene
 46    et ogniun cerca di tenere in mano;
 47 così avviene; e chi non ha, suo danno:
 48 non val né santo Anton né san Bastiano.
 49    Cristo, cavami tu di questo affanno;
 50 o tu m'insegna com'io abbi a fare
 51 aver la mala pasqua col mal anno;
 52    e s'egli è dato ch'io abbi a stentare,
 53 fa' almen che qualch'un altro stenti meco,
 54 acciò ch'io non sia solo a ruinare.
 55    Cupìdo traditor, bastardo, cieco,
 56 che sei cagion di tutto questo male,
 57 riniego Iddio s'io non m'amazzo teco,
 58    poi che il gridar con altri non mi vale.



18

SONETTO DEL BACCILIERO

  1    Piangete, destri, il caso orrendo e fiero,
  2 piangete, cantarelli, e voi, pitali,
  3 né tenghin gli occhi asciutti gli orinali,
  4 ché rotto è 'l pentolin del bacciliero.
  5    Quanto dimostra apertamente il vero
  6 di giorno in giorno a gli occhi de' mortali
  7 che por nostra speranza in cose frali
  8 troppo n'asconde el diritto sentiero!
  9    Ecco, chi vide mai tal pentolino?
 10 Destro, galante, leggiadretto e snello:
 11 natura il sa, che n'ha perduta l'arte;
 12    sallo la sera ancor, sallo il mattino,
 13 che 'l vedevon tal or portar in parte
 14 ove usa ogni famoso cantarello.



19

A MONSIGNOR AGNOLO DIVIZI
GRIDANDO LA SUA INNOCENZA

  1    Poiché da voi, signor, m'è pur vietato
  2 che dir le vere mie ragion non possa,
  3 per consumarmi le midolle e l'ossa,
  4 con questo novo strazio e non usato,
  5    finché spirto avrò in corpo e alma e fiato,
  6 finché questa mia lingua averà possa,
  7 griderò sola, in qualche speco o fossa,
  8 la mia innocenzia e più l'altrui peccato.
  9    E forse ch'avverrà quello ch'avvenne
 10 della zampogna di chi vide Mida,
 11 che sonò poi quel ch'egli ascoso tenne.
 12    L'innocenzia, signor, troppo in sé fida,
 13 troppo è veloce a metter ale e penne,
 14 e quanto più la chiude altri più grida.



20

SONETTO AL DIVIZIO
MONSIGNOR ANGELO DIVIZI DA BIBBIENA

  1    Divizio mio, io son dove il mar bagna
  2 la riva a cui il Battista il nome mise
  3 e quella donna che fu già di Anchise
  4 non mica scaglia ma bona compagna.
  5    Qui non si sa che sia Francia né Spagna,
  6 né lor rapine ben o mal divise;
  7 se non che chi al lor giogo si summise
  8 grattisi 'l cul, s'adesso in van si lagna.
  9    Fra sterpi e sassi e villan rozzi e fieri,
 10 pulci, pidocchi e cimici a furore,
 11 men vo a sollazzo per aspri sentieri;
 12    ma pur Roma ho scolpita in mezzo il cuore
 13 e con gli antichi mei pochi pensieri
 14 Marte ho nella brachetta e in culo Amore.



21

MANDO FATTO IN ABRUZZI
CONTRO AMORE DISPETTOSO

  1    Amor, io te ne incaco,
  2 se tu non mi sai far altri favori,
  3 perch'io ti servo, che tenermi fuori.
  4    Può far Domenedio che tu consenti
  5 che una tua cosa sia
  6 mandata nell'Abruzzo a far quitanze
  7 e diventar fattor d'una badia
  8 in mezzo a certe genti
  9 che son nemiche delle buone usanze?
 10 Or s'a queste speranze
 11 sta tutto il resto de' tuoi servitori,
 12 per nostra Donna, Amor, tu me snamori.



22

SONETTO SOPRA LA BARBA DI DOMENICO D'ANCONA

  1    Qual fia già mai così crudel persona
  2 che non pianghi a caldi occhi e spron battuti,
  3 impiendo il ciel di pianti e di sternuti,
  4 la barba di Domenico d'Ancona?
  5    Qual cosa fia già mai sì bella e buona
  6 che invidia o tempo o morte in mal non muti,
  7 o chi contra di lor fia che l'aiuti,
  8 poi che la man d'un uom non li perdona?
  9    Or hai dato, barbier, l'ultimo crollo
 10 ad una barba la più singulare
 11 che mai fusse descritta o in verso o in prosa;
 12    almen gli avessi tu tagliato il collo,
 13 più tosto che guastar sì bella cosa,
 14 che si saria potuta imbalsimare
 15              e fra le cose rare
 16 poner sopra ad un uscio in prospettiva,
 17 per mantener l'imagine sua diva.
 18              Ma pur almen si scriva
 19 questa disgrazia di color oscuro,
 20 ad uso d'epitafio, in qualche muro:
 21              "Ahi, caso orrendo e duro!
 22 Ghiace qui delle barbe la corona,
 23 che fu già di Domenico d'Ancona".



23

SONETTO DI SER CECCO

  1    Ser Cecco non può star senza la corte
  2 e la corte non può senza ser Cecco;
  3 e ser Cecco ha bisogno della corte
  4 e la corte ha bisogno de ser Cecco.
  5    Chi vol saper che cosa sia ser Cecco
  6 pensi e contempli che cosa è la corte:
  7 questo ser Cecco somiglia la corte
  8 e questa corte somiglia ser Cecco.
  9    E tanto tempo viverà la corte
 10 quanto sarà la vita di ser Cecco,
 11 perché è tutt'uno ser Cecco e la corte.
 12    Quando un riscontra per la via ser Cecco
 13 pensi di riscontrar anco la corte,
 14 perché ambi dui son la corte e ser Cecco.
 15              Dio ci guardi ser Cecco,
 16 che se mor per disgrazia della corte,
 17 è ruvinato ser Cecco e la corte.
 18              Ma da poi la sua morte,
 19 arassi almen questa consolazione,
 20 che nel suo loco rimarrà Trifone.



24

PER CLEMENTE VII

  1    Un papato composto di rispetti,
  2 di considerazioni e di discorsi,
  3 di pur, di poi, di ma, di se, di forsi,
  4 de pur assai parole senza effetti;
  5    di pensier, di consigli, di concetti,
  6 di conietture magre per apporsi,
  7 d'intrattenerti, pur che non si sborsi,
  8 con audienze, risposte e bei detti;
  9    di pie' di piombo e di neutralità,
 10 di pazienza, di dimostrazione
 11 di fede, di speranza e carità;
 12    d'innocenzia, di buona intenzione,
 13 ch'è quasi come dir semplicità,
 14 per non li dar altra interpretazione.
 15              Sia con sopportazione,
 16 lo dirò pur, vedrete che pian piano
 17 farà canonizzar papa Adriano.



25

ALLA MARCHESA DI PESCARA
QUANDO PER LA MORTE DEL MARCHESE
DICEVA VOLER MORIRE

  1    Dunque, se 'l cielo invidioso ed empio
  2 il sol onde si fea 'l secol giocondo
  3 n'ha tolto e messo quel valore al fondo,
  4 a cui devea sacrarsi più d'un tempio,
  5    voi, che di lui rimasa un vivo esempio
  6 sète fra noi e quasi un sol secondo,
  7 volete in tutto tòr la luce al mondo,
  8 faccendo di voi stessa acerbo scempio?
  9    Deh, se punto vi cal de' danni nostri,
 10 donna gentil, stringete in mano il freno,
 11 ch'avete sì lasciato a i dolor vostri;
 12    tenete vivo quel lume sereno
 13 che n'è rimaso, e fate che si mostri
 14 al guasto mondo e di tenebre pieno.



26

SONETTO SOPRA LA MULA DELL'ALCIONIO

  1    Quella mula sbiadata, damaschina,
  2 vestita d'alto e basso ricamato,
  3 che l'Alcionio, poeta laureato,
  4 ebbe in commenda a vita masculina;
  5    che gli scusa cavallo e concubina,
  6 sì bene altrui la lingua dà per lato,
  7 e rifarebbe ogni letto sfoggiato,
  8 tanta lana si trova in su la schina;
  9    et ha un par di natiche sì strette
 10 e sì bene spianate che la pare
 11 stata nel torchio come le berrette;
 12    quella che per soperchio digiunare
 13 tra l'anime celesti benedette
 14 com'un corpo diafano traspare;
 15              per grazia singulare,
 16 al suo padron, il dì di Befanìa,
 17 annunziò il malan che Dio gli dia,
 18              e disse che saria
 19 vestito tutto quanto un dì da state,
 20 id est arebbe delle bastonate,
 21              da non so che brigate,
 22 che, per guarirlo del maligno bene,
 23 gli volean far un impiastro alle rene.
 24              Ma il matto da catene,
 25 pensando al paracimeno duale,
 26 non intese il pronostico fatale;
 27              e per modo un corniale
 28 misurò et un sorbo et un querciuolo,
 29 che parve stat'un anno al legnaiuolo.
 30              A me n'incresce solo
 31 che se Pierin Carnasecchi l'intende,
 32 no 'l terrà come prima uom da facende;
 33              e faransi leggende
 34 ch'a dì tanti di maggio l'Alcionio
 35 fu bastonato come santo Antonio.
 36              Io gli son testimonio:
 37 se da qui inanzi non muta natura,
 38 e' non gli sarà fatto più paura.



27

PREFAZIONE AL COMMENTO
DEL CAPITOLO DELLA PRIMIERA

  1    Vo' avete a saper, buone persone,
  2 che costui c'ha composto questa cosa
  3 non è persona punto ambiziosa
  4 et ha dirieto la riputazione:
  5    l'aveva fatta a sua satisfazione,
  6 non come questi autor di versi e prosa,
  7 che, per far la memoria lor famosa,
  8 voglion andar in stampa a procissione.
  9    Ma perché ogniun gli rompeva la testa,
 10 ogniun la domandava e la voleva
 11 et a lui non piaceva questa festa,
 12    veniva questo e quello e gli diceva:
 13 "O tu mi da' quel libro, o tu me 'l presta",
 14 e se gliel dava, mai non lo rendeva,
 15              ond'ei che s'avedeva
 16 ch'al fin n'arebbe fatti pochi avanzi,
 17 deliberò levarsi ogniun dinanzi;
 18              e venutogli innanzi
 19 un che di stampar opere lavora,
 20 disse: "Stampatemi questo in mal'ora".
 21              Così l'ha dato fuora,
 22 e voi che n'avevate tanta frega
 23 andatevi per esso alla bottega.



28

CONTRO L'ESSERGLI DATI A FORZA VERSI E CARMI

  1    Eran già i versi a i poeti rubati
  2 come or si ruban le cose tra noi,
  3 onde Vergilio, per salvar i suoi,
  4 compose quei dua distichi abbozzati.
  5    A me quei d'altri son per forza dati,
  6 e dicon: "Tu gli arai, vuoi o non vuoi";
  7 sì che, poeti, io son da più che voi,
  8 dappoi che io son vestito e voi spogliati.
  9    Ma voi di versi restavate ignudi,
 10 poi quegli Augusti e Mecenati e Vari
 11 vi facevan le tonache di scudi.
 12    A me son date frasche, a voi danari;
 13 voi studiate, et io pago li studŒ
 14 e fo che un altro alle mie spese impari.
 15              Non son di questi avari
 16 di nome né di gloria di poeta:
 17 vorrei più presto aver oro o moneta;
 18              e la gente faceta
 19 mi vuol pur impiastrar di versi e carmi,
 20 come se io fusse di razza di marmi.
 21              Non posso ripararmi:
 22 come si vede fuor qualche sonetto,
 23 il Berni l'ha composto a suo dispetto;
 24              e fanvi su un sguazzetto
 25 di chiose e sensi, che rineghi il cielo
 26 se Luter fa più stracci del vangelo.
 27              Io non ebbi mai pelo
 28 che pur pensasse a ciò, non che 'l facessi;
 29 e pur lo feci, ancor che non volessi.
 30              In Ovidio non lessi
 31 mai che gli uomini avessen tanto ardire
 32 di mutarsi in cornette, in pive, in lire,
 33              e fussin fatti dire
 34 ad uso di trombetta veniziano,
 35 che ha dietro un che gli legge il bando piano.
 36              Aspetto a mano a mano
 37 che, perch'io dica a suo modo, il comune
 38 mi pigli e leghi e dìame della fune.



29

SONETTO DI PAPA CHIMENTE

  1    Può far il ciel però, papa Chimenti,
  2 ciò è papa castron, papa balordo,
  3 che tu sie diventato cieco e sordo
  4 et abbi persi tutti i sentimenti?
  5    Non vedi tu, non odi o non senti
  6 che costor voglion teco far l'accordo
  7 per ischiacciarte il capo come al tordo
  8 co i lor prefati antichi trattamenti?
  9    Egli è universale oppenione
 10 che sotto queste carezze et amori
 11 ei ti daran la pace di Marcone.
 12    Ma so ben io, gli Iacopi e' Vettori,
 13 Filippo, Baccio, Zanobi e Simone,
 14 e' compagni di corte e cimatori,
 15              vogliono e lor lavori
 16 poter mandare alle fiere e a' mercati
 17 e non fanno per lor questi soldati.
 18              Voi, domini imbarcati,
 19 Renzo, Andrea d'Oria e Conte di Gaiazzo,
 20 vi menarete tutti quanti il cazzo;
 21              il papa andrà a solazzo
 22 il sabbato alla vigna o a Belvedere
 23 e sguazzarà che sarà un piacere.
 24              Voi starete a vedere:
 25 che è e che non è, una mattina
 26 ci sarà fatto a tutti una schiavina.



30

AL SONETTO DEL BEMBO [...] CONTRAFFA` LA PARODIA

  1    Né navi né cavalli o schiere armate,
  2 che si son mosse così giustamente,
  3 posson ancor la misera e dolente
  4 Italia e Roma porre in libertate.
  5    S'è speso tanto ch'è una pietate,
  6 e spenderassi e spendesi sovente:
  7 mi par ch'abbiamo un desiderio ardente
  8 di parer pazzi alla futura etate.
  9    Onde al vulgo ancor io m'ascondo e celo;
 10 non leggo e scrivo sempre e 'n mal soggiorno
 11 perdendo l'ore, spendo e non guadagno.
 12    Cosa grata non ho dentro o d'intorno,
 13 testimon m'è colui che regge il cielo;
 14 di me sol, non d'altrui mi dolgo e lagno.



31

SONETTO ALLA SUA DONNA

  1    Chiome d'argento fino, irte e attorte
  2 senz'arte intorno ad un bel viso d'oro;
  3 fronte crespa, u' mirando io mi scoloro,
  4 dove spunta i suoi strali Amor e Morte;
  5    occhi di perle vaghi, luci torte
  6 da ogni obietto diseguale a loro;
  7 ciglie di neve e quelle, ond'io m'accoro,
  8 dita e man dolcemente grosse e corte;
  9    labra di latte, bocca ampia celeste;
 10 denti d'ebeno rari e pellegrini;
 11 inaudita ineffabile armonia;
 12    costumi alteri e gravi: a voi, divini
 13 servi d'Amor, palese fo che queste
 14 son le bellezze della donna mia.



32

CONTRA PIETRO ARETINO

  1    Tu ne dirai e farai tante e tante,
  2 lingua fracida, marcia, senza sale,
  3 che al fin si troverà pur un pugnale
  4 meglior di quel d'Achille e più calzante.
  5    Il papa è papa e tu sei un furfante,
  6 nodrito del pan d'altri e del dir male;
  7 hai un pie' in bordello e l'altro in ospitale,
  8 storpiataccio, ignorante e arrogante.
  9    Giovan Mateo e gli altri che gli ha appresso,
 10 che per grazia de Dio son vivi e sani,
 11 ti metteran ancor un dì in un cesso.
 12    Boia, scorgi i costumi tuoi ruffiani
 13 e se pur vòi cianciar, di' di te stesso:
 14 guàrdati il petto, la testa e le mani.
 15              Ma tu fai come i cani,
 16 che, dà pur lor mazzate se tu sai,
 17 come l'han scosse, son più bei che mai.
 18              Vergognati oramai,
 19 prosontuoso, porco, mostro infame,
 20 idol del vituperio e della fame,
 21              ché un monte di letame
 22 t'aspetta, manegoldo, sprimacciato,
 23 perché tu moia a tue sorelle allato;
 24              quelle due, sciagurato,
 25 c'hai nel bordel d'Arezzo a grand'onore,
 26 a gambettar: "Che fa lo mio amore?"
 27              Di quelle, traditore,
 28 dovevi far le frottole e novelle
 29 e non del Sanga che non ha sorelle.
 30              Queste saranno quelle
 31 che mal vivendo ti faran le spese,
 32 e 'l lor, non quel di Mantova, marchese;
 33              ch'ormai ogni paese
 34 hai amorbato, ogni omo, ogni animale:
 35 il ciel, Iddio, il diavol ti vol male.
 36              Quelle veste ducale,
 37 o ducali, acattate e furfantate,
 38 che ti piangon in dosso sventurate,
 39              a suon di bastonate
 40 ti seran tolte, avanti che tu moia,
 41 dal reverendo padre messer boia;
 42              che l'anima di noia
 43 mediante un bel capestro caveratti
 44 e per maggior favor poi squarteratti;
 45              e quei tuoi leccapiatti
 46 bardassonacci, paggi da taverna,
 47 ti canteran il requiem eterna.
 48              Or vivi e ti governa;
 49 ben che un pugnale, un cesso, o ver un nodo
 50 ti faranno star queto in ogni modo.



33

SONETTO AL SIGNOR D'ARIMINI

  1    Empio signor, che della robba altrui
  2 lieto ti vai godendo e del sudore,
  3 venir ti possa un cancaro nel cuore,
  4 che ti porti di peso a i regni bui.
  5    E venir possa un cancaro a colui
  6 che di quella città ti fé signore;
  7 e se gli è altri che ti dia favore,
  8 possa venir un cancaro anche a lui.
  9    Ch'io ho voglia de dir, se fusse Cristo
 10 che consentisse a tanta villania,
 11 non potrebb'esser che non fusse un tristo.
 12    Or tiènla, col malan che Dio te dia,
 13 quella e ciò che tu hai di mal acquisto,
 14 che un dì mi renderai la robba mia.



34

SONETTO IN DESCRIZION D'UNA BADIA

  1    Signor, io ho trovato una badia,
  2 che par la dea della destruzione:
  3 templum pacis o quel di Salomone
  4 a petto a lei par una signoria.
  5    Per mezzo della chiesa e' v'è una via,
  6 dove ne van le bestie e le persone;
  7 le navi urtano in scoglio e il galeone
  8 si consuma per far lor compagnia.
  9    Dove non va la strada son certi orti
 10 d'ortica e d'una malva singulare
 11 che son buon a tener lubrichi e morti.
 12    Chi volesse de calici parlare
 13 o de croci, averebbe mille torti:
 14 non che tovaglie, non vi è pur altare.
 15              Il campanil mi pare
 16 un pezzo di fragmento d'acquedotto,
 17 sdruscito, fesso, scassinato e rotto.
 18              Le campane son sotto
 19 un tettuccio, apiccate per la gola,
 20 che mai non s'odon dir una parola.
 21              La casa è una scuola
 22 da scrima perfettissima e da ballo,
 23 che mai non vi si mette piede in fallo;
 24              netta come un cristallo,
 25 leggiadra, scarca, snella e pellegrina,
 26 che par che l'abbi preso medicina.
 27              Ogni stanza è cantina,
 28 camera, sala, tinello e spedale;
 29 ma sopra tutto stalla naturale.
 30              E` donna universale
 31 et ha la robba sua pro indivisa,
 32 allegra, che la crepa delle risa:
 33              in somma è fatta in guisa
 34 che tanto è star di dentro quanto fuori.
 35 Ahi, preti scelerati e traditori!



35

CAPITOLO A MESSER FRANCESCO MILANESE

  1    Messer Francesco, se voi sète vivo
  2 (perch'i' ho inteso che voi sète morto),
  3 leggete questa cosa ch'io ve scrivo;
  4    per la qual vi consiglio e vi conforto
  5 a venir a Venezia, ch'oggimai
  6 a star tanto in Piacenza avete torto;
  7    e quel ch'è peggio, senza scriver mai,
  8 ché pur, s'aveste scritto qualche volta,
  9 di voi stariamo più contenti assai.
 10    Qui è messer Achille dalla Volta,
 11 e 'l reverendo monsignor Valerio,
 12 che dimanda di voi volta per volta
 13    e mostra avere estremo desiderio;
 14 né pur sol egli, ma ogni persona
 15 n'ha un martel ch'è proprio un vituperio;
 16    lasciamo andar monsignor di Verona,
 17 nostro padron, che mai né dì né notte
 18 con la lingua e col cuor non v'abbandona.
 19    Se voi aveste, non vo' dir le gotte,
 20 ma il mal di santo Antonio e 'l mal franzese
 21 e le gambe e le spalle e l'ossa rotte,
 22    doveresti esser stato qua già un mese,
 23 tanto ogniun si consuma di vedervi
 24 e d'alloggiarvi e quasi far le spese.
 25    Ma non dissegni già nissun d'avervi,
 26 ch'i' vi vogl'io; e per Dio starei fresco,
 27 se' forestieri avessino a godervi.
 28    Venite via, il mio messer Francesco,
 29 ché vi prometto due cose eccellenti,
 30 l'un'è 'l ber caldo e l'altra il magnar fresco.
 31    E se voi arrete mascelle valenti,
 32 vi gioverà, ché qui si mangia carne
 33 di can, d'orsi, di tigri e di serpenti.
 34    I medici consiglion che le starne
 35 quest'anno, per amor delle petecchie,
 36 farebbon mal, chi volesse mangiarne;
 37    ma de questi lavori delle pecchie,
 38 (o ape, a modo vostro) vi prometto
 39 che n'avem co i corbegli e con le secchie.
 40    Io parlo d'ogni sorte di confetto:
 41 in torte, in marzapani e 'n calicioni
 42 vo' sotterrarvi insin sopra el ciuffetto;
 43    capi di latte santi, non che buoni
 44 (io dico capi, qui si chiamon cai),
 45 da star proprio a magnarli in ginocchioni;
 46    poi certi bozzolai impeverai,
 47 alias berlingozzi e confortini:
 48 la miglior cosa non magnasti mai.
 49    Voi aspettate che l'uom ve strascini;
 50 venite, ché sarete più guardato
 51 che 'l doge per la Sensa da i facchini;
 52    sarete intratenuto e corteggiato,
 53 ben visto da ogniun com'un barone,
 54 chi v'oderà se potrà dir beato;
 55    parrete per queste acque un Anfione,
 56 anzi un Orfeo, che sempre avea dirieto
 57 bestie in gran quantità d'ogni ragione.
 58    Se sète, com'io spero, sano e lieto,
 59 per vostra fe' non mi fate aspettare,
 60 né star tanto con l'animo inquieto.
 61    E`cci onestamente da sguazzare,
 62 secondo il tempo; ècci il Valerio vostro
 63 ch'in cortesia sapete è singulare.
 64    Ciò ch'è di lui possiam riputar nostro,
 65 e pane e vin: pensate ch'adess'io
 66 scrivo con la sua carta e col suo inchiostro.
 67    Stemo in una contrada et in un rio,
 68 presso santa Trìnita e l'arzanale,
 69 incontro a certe monache d'Iddio,
 70    che fan la pasqua come il carnovale,
 71 id est che non son troppo scropulose,
 72 ché voi non intendeste qualche male.
 73    Venite a scaricar le vostre cose
 74 et a diritto; e venga Bernardino,
 75 ché faremo armonie miracolose.
 76    Poi alla fin d'agosto o lì vicino,
 77 se si potrà praticare el paese,
 78 verso el patron pigliarem il camino,
 79    che l'altr'ier se n'andò nel veronese.



36

CAPITOLO A MESSER MARCO VENEZIANO

  1    Quant'io vo più pensando alla pazzia,
  2 messer Marco magnifico, che voi
  3 avete fatto e fate tuttavia,
  4    d'esservi prima imbarcato e da poi
  5 para pur via, sappiate che mi viene
  6 compassion di voi stesso e di noi,
  7    che dovevamo con cento catene
  8 ligarvi stretto; ma noi siamo stati
  9 troppo da poco e voi troppo da bene.
 10    Quel monsignor da gli stival tirati
 11 poteva pure star dui giorni ancora,
 12 poi che dui mesi ce aveva uccellati
 13    con dire: "Io voglio andar; io andrò ora",
 14 ché pur veniva da monsignor mio
 15 la risposta, la qual è venuta ora;
 16    e dice ch'è contento e loda Iddio
 17 venga con voi e stia e vada e torni
 18 e facci tanto quanto v'è in disio,
 19    pur che la stanza non passi otto giorni.
 20 Ma Dio sa poi quel che sarebbe stato:
 21 al pan si guarda inanzi che s'inforni,
 22    poi non importa quand'egli è infornato.
 23 Or basta; io son qui solo come un cane
 24 e non magno più ostreghe né fiato;
 25    e per disperazion vo via domane,
 26 in loco ov'io v'aspetto e vi scongiuro
 27 che siate almen qui fra tre settimane,
 28    perch'i' altrimenti non sarei sicuro;
 29 ciò è avrei da far... voi m'intendete,
 30 che sapete il preterito e 'l futuro.
 31    Diranno: "Noi vogliam che tu sia prete";
 32 "Noi vogliam che tu facci e che tu dica":
 33 io starò fresco se voi non ci sète.
 34    Senza che più ve lo scriva o ridica,
 35 venite via: che volete voi fare,
 36 fra cotesti orti di malva e d'ortica,
 37    che son pei morti cosa singulare,
 38 come dice el sonetto di Rosazzo?
 39 Io vo' morir se ci potrete stare.
 40    E per mia fe', ch'è pur un bel solazzo
 41 l'avere scelta questa vostra gita!
 42 E` stato quasi un capriccio di pazzo.
 43    Per certo egli era pur un'altra vita
 44 Santa Maria di Grazie e quelle torte,
 45 delle quali io mi lecco ancor le dita;
 46    quelle, vo' dir, che 'n così varia sorte
 47 ci apparecchiava messer Pagol Serra;
 48 che mi vien ora el sudor della morte,
 49    a dir ch'io m'ho a partir di questa terra
 50 et andarmi a ficcar in un paese
 51 dove si sta con simil cose in guerra;
 52    di quella graziosa, alma, cortese,
 53 che vive come vivono i cristiani,
 54 parlo della brigata genovese,
 55    Salvaghi, Arcani e Marini e Goani,
 56 che Dio dia a' lor cambi e lor faccende
 57 la sua benedizion ad ambe mani.
 58    Era ben da propor, da chi s'intende
 59 di compagnie e di trebbŒ, a coteste
 60 generazion salvatiche et orrende,
 61    che paion sustituti della peste.
 62 Or io non voglio andar moltiplicando
 63 in ciance che vi son forte moleste,
 64    e 'n sul primo proposito tornando,
 65 dico così, che voi torniate presto.
 66 A vostra signoria mi raccomando
 67    e mi riserbo a bocca a dire il resto.



37

A GIOVAN MARIANI
CONGRATULANDOSI CHE SIA VIVO

  1    Io ho sentito, Giovan Mariani,
  2 che tu sei vivo e sei pur anco a Vico:
  3 io n'ho tanto piacer (ve' quel ch'io dico)
  4 quant'io avessi mai 'l dì de' cristiani.
  5    Le carestie, le guerre e i tempi strani,
  6 c'hanno chi morto e chi fatto mendico,
  7 fan che di te non arei dato un fico:
  8 tu m'eri quasi uscito delle mani.
  9    Or vi sei, non so come, ritornato;
 10 sia ringraziato Benedetto Folchi,
 11 che questa buona nuova oggi m'ha dato!
 12    Dimmi, se' tu nimico più de' solchi,
 13 come solevi? Ché v'eri impacciato
 14 più che colui ch'arò quel campo a Colchi.
 15              A questi tempi dolchi,
 16 che stan così fra dua, che seme getti?
 17 Attendi a far danari o pur sonetti?
 18              Vo' che tu m'imprometti
 19 ch'io ti rivegga prima che si sverni.
 20 Mi raccomando, tuo Francesco Berni.



38

SONETTO A PAPA CHIMENTE

  1    Fate a modo de un vostro servidore,
  2 el qual vi dà consigli sani e veri:
  3 non vi lassate metter più cristieri,
  4 che, per Dio, vi faranno poco onore.
  5    Padre santo, io vel dico mo' de cuore:
  6 costor son macellari e mulattieri
  7 e vi tengon nel letto volentieri,
  8 perché si dica: "Il papa ha male, e' more";
  9    e che son forte dotti in Galieno,
 10 per avervi tenuto all'ospitale,
 11 senza esser morto, un mese e mezzo almeno.
 12    E fanno mercanzia del vostro male:
 13 han sempre il petto di polizze pieno,
 14 scritte a questo e a quell'altro cardinale.
 15              Pigliate un orinale
 16 e date lor con esso nel mostaccio:
 17 levate noi di noia e voi d'impaccio.



39

[DI PAPA CLEMENTE VII MALATO]

  1    "Il papa non fa altro che mangiare",
  2 "Il papa non fa altro che dormire",
  3 quest'è quel che si dice e si può dire
  4 a chi del papa viene a dimandare.
  5    Ha buon occhio, buon viso, buon parlare,
  6 bella lingua, buon sputo, buon tossire:
  7 questi son segni ch'e' non vuol morire,
  8 ma e medici lo voglion amazzare,
  9    perché non ci sarebbe il lor onore,
 10 s'egli uscisse lor vivo delle mani,
 11 avendo detto: "Gli è spacciato, e' more".
 12    Trovan cose terribil, casi strani:
 13 egli ebbe 'l parocismo alle due ore,
 14 o l'ha avut'oggi e non l'avrà domani.
 15              Farien morire i cani,
 16 non che 'l papa; e alfin tanto faranno,
 17 ch'a dispetto d'ogniun l'amazzeranno.



40

[VOTO DI PAPA CLEMENTE VII]

  1    Quest'è un voto che papa Clemente
  2 a questa Nostra Donna ha sodisfatto,
  3 perché di man d'otto medici un tratto
  4 lo liberò miracolosamente.
  5    Il pover'uom non aveva niente;
  6 e se l'aveva, non l'aveva affatto;
  7 questi sciaurati avevan tanto fatto,
  8 che l'amazzavan resolutamente.
  9    Al fin Dio l'aiutò, che la fu intesa,
 10 e detton la sentenzia gli orinali,
 11 che 'l papa aveva avut'un po' di scesa.
 12    E la vescica fu de' cardinali,
 13 che per venir a riformar la chiesa
 14 s'avevan già calzati gli stivali.
 15              Voi, maestri cotali,
 16 medici da guarir tigna e tinconi,
 17 sète un branco di ladri e di castroni.



41

L'ENTRATA DELL'IMPERADORE IN BOLOGNA

Nomi e cognomi di parte de' gentiluomini e 
cittadini bolognesi i quali andorono a 
incontrare la cesarea maiestà quando entrò 
in Bologna a pigliar la corona; e 'l nome 
ancora, non solo della porta d'onde sua 
maiestà entrò, ma di tutte le strade per 
dove passò, per andare alla piazza e in 
palazzo, con la nota dei presenti che li 
furono fatti da' bolognesi, tutto raccolto 
e notato dal Berni.

  1    Gualterotto de' Bianchi,
  2 Bonifazio de' Negri.
  3    Guasparre dell'Arme,
  4 Girolamo di Pace.
  5    Cornelio Albergato,
  6 Giovan Battista Pellegrino.
  7    Marcello de' Garzoni,
  8 Bastiano delle Donne.
  9    Cornelio Cornazzano,
 10 Lodovico Beccadello.
 11    Il cavalier de' Grassi,
 12 Vincenzio Magrino.
 13    Anniballe de' Coltellini,
 14 Iacopo delle Guaine.
 15    Francesco Passerino,
 16 Battista Panico.
 17    Girolamo de' Preti,
 18 Nanni del Cherico.
 19    Anniballe de' Canonici,
 20 Carlo delli Abati.
 21    Lodovico del Vescovo,
 22 Carlo della Chiesa.
 23    Giovan Battista della Torre,
 24 Leone delle Campane.
 25    Girolamo della Testa,
 26 Ippolito della Fronte.
 27    Galeazzo Buon Nasone,
 28 Nicolò dell'Occhio.
 29    Achille de' Bocchi,
 30 Vincenzio Orecchini.
 31    Iacopo Dentone,
 32 Lippo Mascella.
 33    Andrea Barbazza,
 34 Bernardo Goletto.
 35    Carlo delle Mane,
 36 Bartolommeo Panciarasa.
 37    Luca Chiapparino,
 38 Giovanni Buso.
 39    Battista Cazzetto,
 40 Antonio della Coscia.
 41    Vincenzio Gambacorta,
 42 Vergilio Gambalunga.
 43    Francesco Calcagno,
 44 Andrea dell'Unghia.
 45    Battista Corto,
 46 Lattanzio Formaiaro.
 47    Battista della Ricotta,
 48 Il cavalier Cacio,
 49 Anton Butiro.
 50    Cesar della Fava,
 51 Cristofan Coglia.
 52    Giovan Francesco de' Barbieri,
 53 Petronio de' Rasoi.
 54    Giovan Francesco delle Volpi,
 55 Giovanni Gallina.
 56    Pieranton dall'Olio,
 57 Francesco dell'Aceto.
 58    Alessandro di San Piero,
 59 Bartolomeo di San Paolo.
 60    Astorre del Bono.
 61 Tomaso del Migliore.
 62    Luigi Asinari,
 63 Ambrogio Muletto.
 64    Frian Turco,
 65 Niccolò Moro.
 66    Cristofano Marrano,
 67 Filippo de' Cristiani.
 68    Matteo senz'Anima,
 69 Pier Giudeo.
 70    Vincenzio d'Astolfo,
 71 Iacopo d'Orlando.
 72    Lodovico del Danese,
 73 Tomaso di Ruggieri.
 74    Iacopo Maria Lino,
 75 Stefano Stoppa.
 76    Baldassarre de' Letti,
 77 Girolamo delle Coperte.
 78    Pagolo Poeta,
 79 Alfonso del Dottore.
 80    Francesco de' Cavalli,
 81 Vincenzio Maniscalchi.
 82    Francesco Ciabattino,
 83 Vincenzio Taccone.
 84    Nicolò delle Agucchie,
 85 Taddeo de' Ditali,
 86 Piero Cucitura.
 87    Giulio Berretta,
 88 Cesare Cappello.
 89    Nicolò Giubboni,
 90 Giovan Francesco delle Calze.
 91    Bastiano de' Poveretti,
 92 Iacopo del Riccobono.
 93    Giovanni Piacevole
 94 Antonio Sdegnoso.
 95    Vincenzio delli Archi,
 96 Bastiano delle Frezze,
 97 Stefano Bolzone.
 98    Giovan Battista della Spada,
 99 Lionardo de' Foderi.
100    Vincenzio delle Corazzine,
101 Carlo della Maglia.
102    Vincenzio da Libri,
103 Pier Antonio Scrittori.
104    Giovan Iacopo de' Savi,
105 il Zoppo Mattana.
106    Evangelista de' Nobili,
107 Vergilio Mezzo Villano.
108    Cesare Fiorino,
109 Iacopo Carlino.
110    Anton Grosso,
111 Matteo Baiocco.
112    Panfilo Quattrino,
113 Tomaso Moneta.
114    Cornelio Malvagìa,
115 Antonio Bevilacqua.
116    Cristofano delle Spezie,
117 Suspiro delle Bussole.
118    Girolamo della Luna,
119 Iacopo della Stella.
120    Anton Maria delle Ceste,
121 Niccola de' Basti.
122    Tomaso de' Cospi,
123 Giovanni delle Pianelle.
124    Francesco della Rosa,
125 Ercole del Giglio.
126    Pagolo dall'Orso,
127 Agnolo del Montone.
128    Anniballe dell'Oro,
129 Girolamo del Ferro.
130    Agnolo della Seta,
131 Bastiano del Garzuolo.
132    Nicolò Scardonio,
133 Giovan Battista Tencarello.
134    Andrea de' Buoi,
135 Iacopo del Carro.
136    Carl'Anton de' Galli,
137 Giulio de' Capponi.

  La cesarea maiestà entrò in Bologna per
la porta di Saragozza, e camminato ch'eb-
be un pezzo per la detta strada di Sera-
gozza, si voltò per Sguazza Coie e di lì 
arrivò in le Cento trecento; dipoi passò 
per Paglia in culo, per il Borgo delle 
ballotte, per l'Incisa, per Gierusalem, 
Quartirolo, Gatta marcia, Pizza morti, 
Fondazza, Bracca l'Indosso, Androna sotto,
Centoversi, Malgra, Valle de' Sorgi, Val 
dei Musciolini, Bruol delli Asinin, Andro-
na di San Tomaso, Fiacca 'l collo, Truffa 
il mondo, Frega Tette, che arriva in piaz-
za. E sua maiestà se n'andò in San Petro-
nio, e di poi in palazzo. Dove fu poi da' 
bolognesi presentato di cuccole, salsi-
zuotti, calcinia, leccaboni. E li donaron 
ancora il ritratto della Madonna del Bara-
cano e della torre delli Asinelli.



42

SONETTO CONTRA LI PRETI

  1    Godete, preti, poi che 'l vostro Cristo
  2 v'ama cotanto, ch'ei, se più s'offende,
  3 più da turchi e concilii vi difende
  4 e più felice fa quel ch'è più tristo.
  5    Ben verrà tempo ch'ogni vostro acquisto,
  6 che così bruttamente oggi si spende,
  7 vi leverà; ché Dio ferirvi intende
  8 col fùlgor che non sia sentito o visto.
  9    Credete voi, però, Sardanapali,
 10 potervi far or femine or mariti,
 11 e la chiesa or spelonca et or taverna?
 12    E far mille altri, ch'io non vo' dir, mali,
 13 e saziar tanti e sì strani appetiti,
 14 e non far ira alla bontà superna?



43

DESCRIZIONE DEL GIOVIO

  1    Stava un certo maestro Feradotto
  2 col re Gradasso, il quale era da Como.
  3 Fu da' Venti, fanciullo, in là condotto,
  4 poi ch'ebbon quel paese preso e domo;
  5 non era in medicina troppo dotto,
  6 ma piacevol nel resto e galantuomo;
  7 tenea le genti in berta, festa e spasso
  8 e l'istoria scriveva di Gradasso.
  9    Stavali inanzi in pie' quando mangiava;
 10 qualche buffoneria sempre diceva
 11 e sempre qualche cosa ne cavava;
 12 gli venìa voglia di ciò che vedeva,
 13 laonde or questo or quell'altro affrontava;
 14 d'esser bascià grand'appetito aveva;
 15 avea la bocca larga e tondo il viso:
 16 solo a vederlo ogniun moveva a riso.



44

AL VESCOVO SUO PADRONE

  1    S'io v'usassi di dire il fatto mio,
  2 come lo vo dicendo a questo e quello,
  3 forse pietà m'avresti
  4 o qualche benefizio mi daresti.
  5 Ché, se 'l dicessi Dio,
  6 pur fo, pur scrivo anch'io
  7 e m'affatico assai e sudo e stento,
  8 ancorch'io sappi ch'io non vi contento.
  9 Voi mi straziate e mi volete morto;
 10 et al corpo di Cristo avete 'l torto.



45

SI DUOLE DELLA SUGGEZIONE IN CHE STAVA IN VERONA

  1    S'io posso un dì porti le mani addosso,
  2 puttana libertà, s'io non ti lego
  3 stretta con mille nodi e poi ti frego
  4 così ritta ad un mur co i panni in dosso,
  5    poss'io mal capitar, siccome io posso
  6 rinegar Cristo, che ogni ora il riniego,
  7 da poi che non mi val voto né priego
  8 contra 'l giogo più volte indarno scosso.
  9    A dire il vero, ell'è una gran cosa
 10 ch'io m'abbi sempre a stillare il cervello
 11 a scriver qualche lettera crestosa,
 12    andar legato come un fegatello,
 13 vivere ad uso di frate e di sposa
 14 e morirsi di fame! Oh 'l gran bordello!



46

SONETTO A MESSER FRANCESCO SANSOVINO

  1    Verona è una terra c'ha le mura
  2 parte di pietre e parte di mattoni,
  3 con merli e torre e fossi tanto buoni
  4 che mona Lega si staria sicura;
  5    dietro ha un monte, dinanzi una pianura,
  6 per la qual corre un fiume senza sproni;
  7 ha presso un lago che mena carpioni
  8 e trote e granchi e sardelle e frittura;
  9    drento ha spilonche, grotte e anticaglie,
 10 dove il Danese, Ercole et Anteo
 11 presono il re Bravier con le tanaglie,
 12    due archi sorian, un culiseo,
 13 nel qual son intagliate le battaglie
 14 che fece il re di Cipri con Pompeo;
 15              la ribeca ch'Orfeo
 16 lasciò, ché n'aparisce un instrumento,
 17 a Plinio et a Catullo in testamento.
 18              Appresso ha anche drento,
 19 come hanno l'altre terre, piazze e vie,
 20 stalle, stufe, spedali et osterie,
 21              fatte in geometrie
 22 da fare ad Euclide et Archimede
 23 passar gli architettori con un spiede.
 24              E chi non me lo crede
 25 e vol far prova della sua persona,
 26 venga a sguazzar otto dì a Verona;
 27              dove la fama suona
 28 la piva e 'l corno, in accenti asinini,
 29 degli spiriti isnelli e pellegrini,
 30              che van su pei camini
 31 e su pei tetti la notte in istriazzo,
 32 passando in giù e 'n su l'Adice a guazzo;
 33              e dietro han un codazzo
 34 di marchesi, di conti e di speziali,
 35 che portan tutto l'anno gli stivali,
 36              perché i fanghi immortali,
 37 ch'adornan le lor strade graziose,
 38 producon queste et altre belle cose;
 39              ma quattro più famose,
 40 da sotterrarvi un dentro insino a gli occhi,
 41 fagioli e porci e poeti e pidocchi.



47

RICANTAZIONE DI VERONA

  1    S'io dissi mai mal nessun di Verona,
  2 dico ch'io feci male e tristamente;
  3 e ne son tristo, pentito e dolente,
  4 come al mondo ne fusse mai persona.
  5    Verona è una terra bella e buona,
  6 e cieco e sordo è chi no 'l vede o sente.
  7 Tu, se or si perdona a chi si pente,
  8 alma città, ti prego, or mi perdona,
  9    ché 'l martello ch'io ho del mio padrone,
 10 qual tu mi tieni a pascere il tuo gregge,
 11 di quel sonetto è stata la cagione.
 12    Ma se con questo l'altro si corregge,
 13 perdonatemi ogniun c'ha discrezione:
 14 chi pon freno a' cervelli o dà lor legge?



48

CAPITOLO ALLI SIGNORI ABBATI

  1    Signori abbati miei, se si può dire,
  2 ditemi quel che voi m'avete fatto,
  3 ché gran piacer l'arei certo d'udire.
  4    Sappeva ben ch'io era prima matto,
  5 matto, cioè, che volentieri amavo,
  6 ma or mi par aver girato affatto.
  7    Le virtù vostre me v'han fatto schiavo
  8 e m'han legato con tanti legami,
  9 ch'i' non so quando i pie' mai me ne cavo.
 10    E` forza ch'io v'adori, non che v'ami;
 11 d'amor però di quel savio d'Atene,
 12 non di questi amorazzi sporchi e infami.
 13    Voi sète sì cortesi e sì da bene
 14 che, non pur da me sol, ma ancor da tutti,
 15 amore, onor, rispetto vi si viene.
 16    Ben sapete che l'esser anco putti
 17 non so che più vi conciglia e v'acquista,
 18 massimamente che non sète brutti;
 19    ma, per Dio, siavi tolta dalla vista,
 20 né dalla vista sol, ma dal pensiero,
 21 una fantasiaccia così trista;
 22    ch'i' v'amo e vi vo' ben, a dir el vero,
 23 non tanto perché siate bei, ma buoni.
 24 E potta, ch'io non dico, di san Piero,
 25    chi è colui che di voi non ragioni?
 26 Che la virtù delle vostre maniere,
 27 per dirlo in lingua furba, non canzoni?
 28    Ché non è oggi facile a vedere
 29 giovane, nobil, bella e vaga gente
 30 ch'abbia anche insieme voglia di sapere,
 31    che adorni il corpo ad un tratto e la mente,
 32 anzi che a questa più che a quello attenda,
 33 come voi fate tutti veramente.
 34    Però non vo' che sia chi mi riprenda,
 35 s'io dico che con voi sempre starei
 36 a dormir et a fare ogni facenda.
 37    E se i fati o le stelle o sian gli dei
 38 volesser ch'io potessi far la vita
 39 secondo gli auspici e' voti miei,
 40    da poi che 'l genio vostro sì m'invita,
 41 vorrei farla con voi; ma il bel saria
 42 che, com'è dolce, fusse anco infinita.
 43    O che grata, o che bella compagnia!
 44 Bella ciò è per me; ma ben per voi
 45 so io che bella non saria la mia.
 46    Ma noi ci accorderemmo poi fra noi:
 47 quando fussimo un pezzo insieme stati,
 48 ogniuno andrebbe a fare i fatti suoi.
 49    Fariamo spesso quel gioco de' frati,
 50 che certo è bello e fatto con giudizio
 51 in un convento ove sian tanti abbati:
 52    diremmo ogni mattina il nostro uffizio;
 53 voi cantaresti, io vel terrei secreto,
 54 ché non son buono a sì fatto essercizio;
 55    pur, per non stare inutilmente cheto,
 56 vi farei quel servigio, se voleste,
 57 che fa chi suona a gli organi di drieto.
 58    Qual più solenni e qual più allegre feste,
 59 qual più bel tempo e qual maggior bonaccia,
 60 maggior consolazion sarien di queste?
 61    A chi piace l'onor, la robba piaccia:
 62 io tengo il sommo bene in questo mondo
 63 lo stare in compagnia che sodisfaccia:
 64    il verno al foco, in un bel cerchio tondo,
 65 a dire ogniun la sua; la state al fresco:
 66 questo piacer non ha né fin né fondo.
 67    Et io di lui pensando sì m'adesco,
 68 che credo di morir se mai v'arrivo:
 69 or, parlandone indarno, a me rincresco.
 70    Vi scrissi l'altro dì che m'espedivo
 71 per venir via, ch'io moro di martello,
 72 et ora un'altra volta ve lo scrivo.
 73    Io ho lasciato in Padova il cervello:
 74 voi avete il mio cor serrato e stretto
 75 sotto la vostra chiave e 'l vostro anello.
 76    Fatemi apparecchiare in tanto il letto,
 77 quella sedia curule e due cuccini,
 78 ch'io possa riposarmi a mio diletto;
 79    e state sani, abbati miei divini.



49

VAGHEZZE DI MAESTRO GUAZZALLETTO MEDICO

  1    O spirito bizzarro del Pistoia,
  2 dove sei tu? Ché ti perdi un soggetto,
  3 un'opra da compor, non che un sonetto,
  4 più bella del Danese e dell'Ancroia.
  5    Noi abbiam qui l'ambasciador del boia,
  6 un medico, maestro Guazzalletto,
  7 che, se m'ascolti infin ch'io abbia detto,
  8 vo' che tu rida tanto che tu moia.
  9    Egli ha una beretta, adoperata
 10 più che non è lo breviar d'un prete
 11 ch'abbia assai divozione e poca entrata;
 12    sonvi ritratte su certe comete
 13 con quel che si condisce l'insalata,
 14 di varie sorti, come le monete.
 15    Mi fa morir di sete,
 16 di sudore, di spasimo e d'affanno
 17 una sua vesta che fu già di panno,
 18    c'ha forse ottant'un anno
 19 e bonissima robba è nondimanco,
 20 che non ha pelo e pende in color bianco.
 21    Mi fanno venir manco
 22 li castroni, ancor debiti al beccaio,
 23 che porta il luglio in cambio del gennaio.
 24    Quegli li scusan saio,
 25 cappa, mantel, stivali e covertoio;
 26 intorno al collo par che sia di coio.
 27    Saria buon colatoio:
 28 un che l'avesse a gli occhi vedria lume,
 29 se non gli desse noia già l'untume;
 30    di peluzzi e di piume
 31 piena è tutta e di sprazzi di ricotte,
 32 come le berettaccie della notte.
 33    Son forte vaghe e ghiotte
 34 le maniche in un certo modo fesse:
 35 volsero esser dogal e f-r brachesse.
 36    Piangeria chi vedesse
 37 un povero giubbon ch'ei porta indosso,
 38 che 'l sudor fatto ha bigio, giallo e rosso;
 39    ché mai non se l'ha mosso
 40 da sedici anni in qua che se lo fece
 41 e par che sia attaccato con la pece.
 42    Chi lo vede e non rece,
 43 lo stomaco ha di porco o di gallina,
 44 che mangion gli scorpion per medicina.
 45    La mula è poi divina:
 46 aiutatemi, Muse, a dir ben d'essa.
 47 Una barcaccia par vecchia dismessa,
 48    scassinata e scommessa:
 49 se le contan le coste ad una ad una,
 50 pàssala il sole, le stelle e la luna;
 51    e vigilie digiuna,
 52 che 'l calendario memoria non fanne;
 53 come un cinghial di bocca ha fuor le sanne.
 54    Chi la vendesse a canne,
 55 et a libre, anzi a ceste, la sua lana,
 56 si faria ricco in una settimana.
 57    Per parer cortigiana,
 58 in cambio di basciar la gente, morde
 59 e dà co' pie' certe zampate sorde.
 60    Ha più stringhe e più corde,
 61 intorno a' fornimenti sgangherati,
 62 che non han sei navilŒ ben armati.
 63    Non la vorrieno i frati.
 64 Quando salir le vuol sopra il padrone,
 65 geme che par d'una piva il bordone.
 66    Allor, chi mente pone,
 67 vede le calze sfondate al maestro
 68 e la camiscia ch'esce del canestro
 69    con la fede del destro;
 70 scorge, chi ha la vista più profonda,
 71 il coliseo, l'aguglia e la ritonda.
 72    Dà una volta tonda
 73 la mula e va zoppicando e traendo;
 74 dice il maestro: "Vobis me commendo".
 75    Non so s'io me n'intendo,
 76 ma certo a me ne par che costui sia
 77 colui che va bandendo la moria.



50

SONETTO DELLA MULA

  1    Dal più profondo e tenebroso centro,
  2 dove Dante ha alloggiato i Bruti e i CassŒ,
  3 fa, Florimonte mio, nascere i sassi
  4 la vostra mula per urtarvi dentro.
  5    Deh, perch'a dir delle sue lode io entro,
  6 che per dir poco è meglio io me la passi?
  7 Ma bisogna pur dirne, s'io crepassi,
  8 tanto il ben ch'io le voglio è ito adentro.
  9    Come a chi rece, senza riverenza,
 10 regger bisogna il capo con due mani,
 11 così anche alla sua magnificenza.
 12    Se, secondo gli autor, son dotti e sani
 13 i capi grossi, questo ha più scienza
 14 che non han sette milia Prisciani.
 15              Non bastan cordovani
 16 per le redene sue, né vacche o buoi,
 17 né bufoli né cervi o altri cuoi:
 18              a sostenere i suoi
 19 scavezzacolli dinanzi e di drieto,
 20 bisogna acciaio temperato in aceto.
 21              Di qui nasce un secreto,
 22 che, se per sorte il podestà il sapesse,
 23 non è di lei denar che non vi desse:
 24              perché, quando ei volesse
 25 far un de' suoi peccati confessare,
 26 basteria darli questa a cavalcare,
 27              che per isgangherare
 28 dalle radici le braccia e le spalle,
 29 corda non è che si possa agguaglialle.
 30              Non bisogna insegnalle
 31 le virtù delle pietre e la miniera,
 32 ché la è matricolata gioielliera;
 33              e con una maniera
 34 dolce benigna da farsele schiave,
 35 se le lega ne' ferri e serra a chiave.
 36              Come di grossa nave,
 37 per lo scoglio schivar, torce il timone,
 38 con tutto il corpo appoggiato, un padrone,
 39              così quel gran teschione
 40 piegar, tirar bisogna ad ogni sasso,
 41 chi d'aver gambe e collo ha qualche spasso;
 42              bisogna ad ogni passo
 43 raccomandarsi a Dio, far testamento
 44 e portar nelle bolgie il sacramento.
 45              Se siete mal contento,
 46 se avete alcuno a chi vogliate male,
 47 dategli a cavalcar questo animale;
 48              o con un cardinale
 49 per paggio la ponete a far inchini,
 50 che la li fa volgar, greci e latini.



51

CAPITOLO DEL PRETE DA POVIGLIANO

  1    Udite, Fracastoro, un caso strano,
  2 degno di riso e di compassione,
  3 che l'altr'ier m'intravenne a Povigliano.
  4    Monsignor vostro amico e mio padrone
  5 era ito quivi acompagnar un frate
  6 con un branco di bestie e di persone.
  7    Fu a' sedici d'agosto, id est di state,
  8 e non bastavan tutte a tanta gente,
  9 se ben tutte le stanze erano agiate.
 10    Il prete della villa, un ser saccente,
 11 venne a far riverenza a monsignore,
 12 dentro non so, ma fuor tutto ridente.
 13    Poi, vòlto a me, per farmi un gran favore,
 14 disse: "Sta sera ne verrete meco,
 15 che sarete alloggiato da signore:
 16    io ho un vin che fa vergogna al greco;
 17 con esso vi darò frutti e confetti,
 18 da far veder un morto, andar un cieco;
 19    fra tre persone arete quattro letti,
 20 grandi, ben fatti, spiumacciati, e voglio
 21 che mi diciate poi se saran netti".
 22    Io che gioir di tal bestie non soglio,
 23 lo licenziai, temendo di non dare,
 24 come diedi, in mal'ora, in uno scoglio.
 25    "In fe' d'Iddio", diss'egli, "io vo' menare
 26 alla mia stanza almanco duo di voi;
 27 non mi vogliate questo torto fare".
 28    "Be'", rispos'io, "messer, parlarem poi;
 29 non fate qui per or questo fracasso;
 30 forse d'accordo restarem fra noi".
 31    La sera doppo cena andammo a spasso,
 32 parlando Adamo et io di varie cose;
 33 costui faceva a tutti il contrabasso.
 34    Tutto Vergilio et Omero ci espose,
 35 disse di voi, parlò del Sannazaro,
 36 nelle bilancie tutti dua vi pose.
 37    "Non son", diceva, "di lettere ignaro;
 38 son bene in arte metrica erudito".
 39 Et io diceva: "Basta, l'ho ben caro".
 40    Animal non vid'io mai tanto ardito:
 41 non avrebbe a Macrobio et Aristarco,

 42 né a Quintilian ceduto un dito.
 43    Era ricciuto, questo prete, e l'arco
 44 delle ciglia avea basso, grosso e spesso:
 45 un ceffo accommodato a far san Marco.
 46    Non ci si volse mai levar da presso,
 47 fin che a Adamo e me diede di piglio
 48 e bisognò per forza andar con esso.
 49    Era discosto più d'un grosso miglio
 50 l'abitazion di questo prete pazzo,
 51 contra il qual non ci valse arte o consiglio.
 52    Io credetti trovar qualche palazzo
 53 murato di diamanti e di turchine,
 54 avendo udito far tanto schiamazzo;
 55    quando Dio volse, vi giungemmo al fine:
 56 entrammo in una porta da soccorso,
 57 sepolta nell'ortiche e nelle spine.
 58    Convenne ivi lasciar l'usato corso
 59 e salir su per una certa scala,
 60 ove arìa rotto il collo ogni destr'orso.
 61    Salita quella, ci trovammo in sala,
 62 che non era, Dio grazia, amattonata,
 63 ond'il fumo di sotto in essa essala.
 64    Io stava come l'uom che pensa e guata
 65 quel ch'egli ha fatto e quel che far conviene,
 66 poi che gli è stata data una incanata.
 67    "Noi non l'abbiam, Adamo, intesa bene:
 68 questa è la casa", diceva io, "dell'Orco;
 69 pazzi che noi siam stati da catene!".
 70    Mentre io mi gratto il capo e mi scontorco,
 71 mi vien veduto a traverso ad un desco
 72 una carpita di lana di porco:
 73    era dipinta ad olio e non a fresco;
 74 voglion certi dottor dir ch'ella fusse
 75 coperta già d'un qualche barbaresco;
 76    poi fu mantello almanco di tre usse,
 77 poi fu schiavina e forse anche spalliera,
 78 fin che tappeto al fin pur si ridusse.
 79    Sopra al desco una rosta impiccata era
 80 da parar mosche a tavola e far vento,
 81 di quelle da taverna unica e vera;
 82    è mosso questo nobil instrumento
 83 da una corda a guisa di campana
 84 e dà nel naso altrui spesso e nel mento.
 85    Or questa sì che mi parve marchiana,
 86 fornimmi in tutto questa di chiarire
 87 della sua cortesia sporca e villana.
 88    "Dove abbiam noi, messer", dissi, "a dormire?".
 89 "Venite meco la signoria vostra",
 90 rispose il sere; "io vel farò sentire".
 91    Io gli vo drieto e 'l buon prete mi mostra
 92 la stanza ch'egli usava per granaio,
 93 dove i topi facevano una giostra.
 94    Vi sarebbe sudato un di gennaio:
 95 quivi era la ricolta e la semenza
 96 e 'l grano e l'orzo e la paglia e 'l pagliaio.
 97    Eravi un destro, senza riverenza,
 98 un camerotto da cesso ordinario,
 99 dove il messer faceva la credenza;
100    la credenza facea nel necessario,
101 intendetemi bene, e le scodelle
102 teneva in ordinanza in su l'armario.
103    Stavano intorno pignatte e padelle,
104 correggiati, rastrelli e forche e pale,
105 tre mazzi di cipolle e una pelle.
106    Quivi ci volea por quel don cotale,
107 e disse: "In questo letto dormirete;
108 starete tutti duo da un capezzale".
109    Et io a lui: "Voi non mi ci còrrete",
110 risposi piano, "albanese messere;
111 datemi ber, ch'io mi moio di sete".
112    Ecco apparir di sùbito un bicchiere
113 che s'era cresimato allora allora,
114 sudava tutto e non potea sedere;
115    pareva il vino una minestra mora:
116 vo' morir, chi lo mette in una cesta,
117 s'in capo l'anno non vel trova ancora.
118    Non deste voi bevanda mai molesta
119 ad un che avesse il morbo o le petecchie
120 quanto quell'era ladra e disonesta.
121    In questo, adosso a due pancaccie vecchie
122 vidi posto un lettuccio, anzi un canile,
123 e dissi: "Quivi appoggerò l'orecchie".
124    Il prete grazioso, almo e gentile
125 le lenzuola fe' tòr dell'altro letto:
126 come fortuna va cangiando stile!
127    Era corto il canil, misero e stretto;
128 pure, a coprirlo, tutti duo i famigli
129 sudarno tre camiscie et un farsetto
130    e le zanne vi posero e gli artigli;
131 tanto tirƒr quei poveri lenzuoli
132 che pure a mezzo al fin fecion venigli.
133    Egli eran bianchi come duo paiuoli,
134 dipinti di marzocchi alla divisa:
135 parevan cotti in broda di fagiuoli;
136    la lor sottilità resta indicisa:
137 tra loro e la descritta già carpita
138 cosa nessuna non era divisa.
139    Qual è colui che a perder va la vita,
140 che s'intertiene e mette tempo in mezzo
141 e pensa e guarda pur s'altri l'aita,
142    tal io schifando quell'orrendo lezzo;
143 pur fu forza il gran calice inghiottirsi,
144 e così mi trovai nel letto al rezzo.
145    O Muse, o Febo, o Bacco, o Agatirsi
146 correte qua, ché cosa sì crudele
147 senza l'aiuto vostro non può dirsi;
148    narrate voi le dure mie querele,
149 raccontate l'abisso che s'aperse
150 poi che f-rno levate le candele.
151    Non menò tanta gente in Grecia Serse,
152 né tanto il popol fu de' Mirmidòni,
153 quanta sopra di me se ne scoperse:
154    una turba crudel di cimicioni,
155 dalla qual, poveretto, io mi schermia,
156 alternando a me stesso i mostaccioni.
157    Altra rissa, altra zuffa era la mia,
158 di quella tua che tu, Properzio, scrivi
159 in non so qual, del secondo, elegia.
160    Altro che la tua Cinzia aveva io quivi!
161 Er'io un torso di pera diventato
162 o un di questi bachi mezzi vivi
163    che di formiche adosso abbia un mercato,
164 tante bocche mi avevan, tanti denti
165 trafitto, punto, morso e scorticato.
166    Credo che v'era ancor dell'altre genti,
167 come dir pulci, piattole e pidocchi,
168 non men di lor animose e valenti.
169    Io non poteva schermirmi con gli occhi,
170 perch'era al buio, ma usava il naso
171 per conoscer le spade da li stocchi;
172    e come fece con le man Tomaso,
173 così con quello io mi certificai
174 che l'imaginazion non facea caso.
175    Dio vel dica per me s'io dormi' mai:
176 l'essercizio fec'io tutta la notte
177 che fan per riscaldarsi i marinai.
178    Non così spesso, quando l'anche ha rotte,
179 dà le volte Tifeo, l'audace et empio,
180 scotendo a Arìme le valli e le grotte.
181    Notate qui ch'io pongo questo essempio
182 levato dall'Eneida di peso;
183 e non vorrei però parer un scempio,
184    perché m'han detto che Vergilio ha preso
185 un granciporro nel verso d'Omero,
186 il qual non ha, con riverenza, inteso;
187    e certo è strana cosa, s'egli è vero,
188 che di due dizzioni una facesse.
189 Ma lasciam ire e torniam dov'io ero.
190    Eran nel palco certe assaccie fesse
191 sopra la testa mia fra trave e trave,
192 onde calcina parea che cadesse:
193    areste detto che le fosser fave,
194 che rovinando in sul palco di sotto
195 facevano una musica soave;
196    qual era d'asse anch'egli e tutto rotto,
197 onde il fumo che quindi si stillava
198 passando a gli occhi miei faceva motto.
199    Un bambino era in cuna che gridava
200 et una donna vecchia che tossiva
201 e talor per dolcezza bestemmiava.
202    Se a corteggiarmi un pipistrel veniva
203 o a far la mattinata una civetta,
204 la festa mia del tutto si forniva.
205    Della quale io non credo avervi detta
206 la millesima parte; e poi c'è quella
207 del mio compagno, ch'ebbe anco la stretta.
208    Faretevela dir, poi che la è bella:
209 m'è stato detto ch'ei ve ne ha già scritto
210 o vuol scrivervi in greco una novella.
211    Un poco più che durava il conflitto
212 io diventavo il venerabil Beda,
213 se l'epitafio suo l'ha ben descritto.
214    Mi levai che parevo una lampreda,
215 un'elitropia fina, una murena,
216 e chi non mel vol creder non mel creda:
217    di buchi avevo la persona piena,
218 ero io di macchie rosse tutto tinto,
219 parevo io proprio una notte serena.
220    Se avete visto un san Giulian dipinto
221 uscir d'un pozzo fuor fin al bellico,
222 d'aspidi sordi e d'altre serpi cinto,
223    o un san Giobbe in qualche muro antico,
224 e se non basta antico anco moderno,
225 o sant'Anton battuto dal nemico,
226    tal avevan di me fatto governo
227 con morsi, graffi, stoccate e ferite
228 quei veramente diavoli d'inferno.
229    Io vi scongiuro che se mai venite
230 chiamato a medicar quest'oste nostro,
231 dategli ber a pasto acqua di vite,
232    fategli fare un servizial d'inchiostro.



52

CAPITOLO PRIMO DELLA PESTE

  1    Non ti maravigliar, maestro Piero,
  2 s'io non volevo l'altra sera dare
  3 sopra quel dubbio tuo giudizio intero,
  4    quando stavamo a cena a disputare
  5 qual era il meglior tempo e la più bella
  6 stagion che la natura sappi fare,
  7    perché questa è una certa novella,
  8 una materia astratta, una minestra
  9 che non la può capire ogni scudella.
 10    Cominciano e poeti dalla destra
 11 parte dell'anno e fanno venir fuori
 12 un castron coronato di ginestra;
 13    copron la terra d'erbette e di fiori,
 14 fanno ridere il cielo e gli elementi,
 15 voglion ch'ogniun s'impregni e s'inamori;
 16    che i frati, allora usciti de' conventi,
 17 a' capitoli lor vadano a schiera,
 18 non più a dui a dui, ma a dieci e venti;
 19    fanno che 'l pover asin si dispera,
 20 ragghiando dietro alle sue inamorate;
 21 e così circonscrivon primavera.
 22    Altri hanno detto che gli è me' la state,
 23 perché più s'avvicina la certezza
 24 ond'abbiano a sfamarsi le brigate;
 25    si batte il gran, si sente una dolcezza
 26 de' frutti che si veggono indolcire,
 27 dell'uva che comincia a farsi ghezza,
 28    che non si può così per poco dire;
 29 son que' dì lunghi, che par che s'intenda
 30 per discrezion che l'uom debba dormire;
 31    ha tempo almen di farla, chi ha faccenda;
 32 chi non ha sonno, faccenda o pensieri,
 33 per non peccare in ozio, va a merenda,
 34    o si mette dinanzi un tavolieri,
 35 incontro al ventolin di qualche porta,
 36 con un rinfrescatoio pien di bicchieri.
 37    Son altri c'hanno detto che più importa
 38 averla inanzi cotta che vedere
 39 le cose insieme onde si fa la torta,
 40    e però la stagion che dà da bere,
 41 ch'apparecchia le tavole per tutto,
 42 ha quella differenzia di piacere
 43    che l'opera il disegno, il fiore e 'l frutto;
 44 credo che tu m'intenda, ancor che scuro
 45 paia de' versi miei forse il construtto.
 46    Dico che questi tai voglion maturo
 47 il frutto, e non in erba; avere in pugno,
 48 non in aria l'uccel, ch'è più sicuro:
 49    però lodan l'ottobre più che 'l giugno,
 50 più che 'l maggio il settembre, e con effetto
 51 anch'io la lor sentenzia non impugno.
 52    Non è mancato ancor chi abbia detto
 53 gran ben del verno, allegando ragioni:
 54 ch'allor è dolce cosa stare in letto;
 55    che tutti gli animali allor son buoni,
 56 infino a' porci, e fansi le salcicce,
 57 cervellate, ventresche e salciccioni;
 58    escono in Lombardia fuor le pellicce,
 59 crèsconsi li pennacchi alle berette
 60 e fassi il Giorgio con le seccaticce;
 61    quel che i dì corti tolgon si rimette
 62 in altrettante notti: stassi a vegghia
 63 fino a quattro ore e cinque e sei e sette;
 64    adoprasi in quel tempo più la tegghia
 65 a far torte, migliacci et erbolati,
 66 che la scopetta a Napoli e la stregghia.
 67    Son tutti i tempi egualmente lodati,
 68 hanno tutti essercizio e piacer vario,
 69 come vedrai tu stesso, se lo guati;
 70    se guati, dico, in su 'l tuo breviario,
 71 mentre che di' l'ufficio e cuoci il bue
 72 dipinto a dietro a pie' del calendario;
 73    chi cuoco ti parrà, come sei tue,
 74 e chi si scalda e chi pota le vigne,
 75 chi va con lo sparvier pigliando grue,
 76    chi imbotta il vin, chi la vinaccia strigne:
 77 tutti i mesi hanno sotto le sue feste,
 78 com'ha fantasticato chi dipigne.
 79    Or piglia tutte quante insieme queste
 80 oppenioni e tien che tutto è baia,
 81 a parangon del tempo della peste.
 82    Né vo' che strano il mio parlar ti paia,
 83né ch'io favelli, anzi cicali, a caso,
 84 come s'io fossi un merlo o una ghiandaia;
 85    io voglio empirti fino all'orlo il vaso
 86 dell'intelletto, anzi colmar lo staio,
 87 e che tu facci come san Tomaso.
 88    Dico che, sia settembre o sia gennaio
 89 o altro, a petto a quel della moria,
 90 non è bel tempo che vaglia un danaio;
 91    e perché vegghi ch'io vo per la via
 92 e dotti il tuo dover tutto in contanti,
 93 intendi molto ben la ragion mia.
 94    Prima, ella porta via tutti i furfanti:
 95 gli strugge e vi fa buche e squarci drento,
 96 come si fa dell'oche l'ognisanti.
 97    E fa gran bene a cavarli di stento:
 98 in chiesa non è più chi ti urti o pesti
 99 in su 'l più bel levar del sacramento.
100    Non si tien conto di chi accatti o presti:
101 accatta e fa' pur debiti, se sai,
102 ché non è creditor che ti molesti;
103    se pur ne vien qualch'un, di' che tu hai
104 doglia di testa e che ti senti al braccio:
105 colui va via senza voltarsi mai.
106    Se tu vai fuor, non hai chi ti dia impaccio,
107 anzi ti è dato luogo e fatto onore,
108 tanto più se vestito sei di straccio.
109    Sei di te stesso e de gli altri signore,
110 vedi fare alle genti i più strani atti,
111 ti pigli spasso dell'altrui timore.
112    Vìvesi allor con nuove leggi e patti,
113 tutti i piaceri onesti son concessi,
114 quasi è lecito a gli uomini esser matti.
115    Buoni arrosti si mangiano e buon lessi;
116 quella nostra gran madre vacca antica
117 si manda via con taglie e bandi espressi.
118    Sopra tutto si fugge la fatica,
119 ond'io son schiavo alla peste in catena,
120 ché l'una e l'altra è mia mortal nemica.
121    Vita scelta si fa, chiara e serena:
122 il tempo si dispensa allegramente
123 tutto fra il desinare e fra la cena.
124    S'hai qualche vecchio ricco tuo parente,
125 puoi disegnar di rimanergli erede,
126 pur che gli muoia in casa un solamente.
127    Ma questo par che sia contra la fede,
128 però sia detto per un verbigrazia,
129 ché non si dica poi: "Costui non crede".
130    Di far pazzie la natura si sazia,
131 perché in quel tempo si serran le scuole,
132 che a' putti esser non può maggior disgrazia.
133    Fa ogniun finalmente ciò ch'e' vuole:
134 dell'alma libertà quell'è stagione,
135 ch'esser sì cara a tutto 'l mondo suole.
136    E` salvo allor l'avere e le persone:
137 non dubitar, se ti cascassin gli occhi,
138 trova ogniun le sue cose ove le pone.
139    La peste par ch'altrui la mente tocchi
140 e la rivolti a Dio: vedi le mura
141 di san Bastian dipinte e di san Rocchi.
142    Essendo adunque ogni cosa sicura,
143 questo è quel secol d'oro e quel celeste
144 stato innocente primo di natura.
145    Or se queste ragioni son manifeste,
146 se le tocchi con man, se le ti vanno,
147 conchiudi e di' che 'l tempo della peste
148    è 'l più bel tempo che sia in tutto l'anno.



53

CAPITOLO SECONDO DELLA PESTE

  1    Ancor non ti ho io detto della peste
  2 quel ch'io dovevo dir, maestro Piero,
  3 non l'ho vestita dal dì delle feste;
  4    et ho mezza paura, a dirti il vero,
  5 ch'ella non si lamenti, come quella
  6 che non ha avuto il suo dovere intero.
  7    Ell'è bizzarra e poi è donna anch'ella;
  8 sai tutte quante che natura ell'hanno:
  9 voglion sempre aver piena la scudella.
 10    Feci di lei quel capitolo uguanno
 11 e, come ho detto, le tagliai la vesta
 12 larga e pur mi rimase in man del panno,
 13    però de' fatti suoi quel ch'a dir resta,
 14 con l'aiuto di Dio, si dirà ora;
 15 non vo' ch'ella mi rompa più la testa.
 16    Io lessi già d'un vaso di Pandora,
 17 che v'era dentro il cancaro e la febbre
 18 e mille morbi che n'usciron fuora.
 19    Costei le genti che 'l dolor fa ebbre
 20 saetterebbon veramente a segno;
 21 le mandano ogni dì trecento lebbre,
 22    perché par loro aver con essa sdegno;
 23 dicon: "Se non s'apriva quel cotale,
 24 non bisognava a noi pigliare il legno".
 25    In fin, questo amor proprio ha del bestiale
 26 e l'ignoranza, che va sempre seco,
 27 fa che 'l mal bene e 'l ben si chiama male.
 28    Quella Pandora è un vocabol greco,
 29 che in lingua nostra vuol dir òtutti doni';
 30 e costor gli hanno dato un senso bieco.
 31    Così sono anche molte oppenioni,
 32 che piglian sempre al riverso le cose:
 33 tiran la briglia insieme e dan de sproni.
 34    Piange un le doglie e le bolle franciose,
 35 perché gli è un pazzo e non ha ancor veduto
 36 quel che già messer Bin di lor compose:
 37    ne dice un ben che non saria creduto;
 38 leggi, maestro Pier, quella operetta,
 39 ché tu arai quel mal, se non l'ha' avuto.
 40    Non fu mai malattia senza ricetta:
 41 la natura l'ha fatte tutt'e due:
 42 ella imbratta le cose, ella le netta.
 43    Ella trovò l'aratol, ella il bue,
 44 ella il lupo, l'agnel, la lepre, il cane,
 45 e dette a tutti le qualità sue;
 46    ella fece l'orecchie e le campane,
 47 fece l'assenzio amaro e dolce il mèle,
 48 e l'erbe velenose e l'erbe sane;
 49    ella ha trovato il buio e le candele,
 50 e finalmente la morte e la vita,
 51 e par benigna ad un tratto e crudele.
 52    Par, dico, a qualche pecora smarrita:
 53 vedi ben tu che da lei non si cava
 54 altro che ben, perch'è bontà infinita.
 55    Trovò la peste perché bisognava:
 56 eravamo spacciati tutti quanti,
 57 cattivi e buon, s'ella non si trovava,
 58    tanto multiplicavano i furfanti;
 59 sai che nell'altro canto io messi questo
 60 fra i primi effetti della peste santi.
 61    Come si crea in un corpo indigesto
 62 collora e flegma et altri mali umori,
 63 per mangiar, per dormir e per star desto,
 64    e bisogna ir del corpo e cacciar fuori
 65 (con riverenza) e tenersi rimondo
 66 com'un pozzo che sia di più signori,
 67    così a questo corpaccio del mondo,
 68 che per esser maggior più feccia mena,
 69 bisogna spesso risciacquare il fondo;
 70    e la natura, che si sente piena,
 71 piglia una medicina di moria,
 72 come di reubarbaro o di sena,
 73    e purga i mali umor per quella via;
 74 quel che i medici nostri chiaman crisi
 75 credo che appunto quella cosa sia.
 76    E noi, balordi, facciam certi visi,
 77 come si dice: "La peste è in paese!";
 78 ci lamentiam, che par che siamo uccisi,
 79    che dovrebbemo darle un tanto al mese,
 80 intertenerla come un capitano,
 81 per servircene al tempo a mille imprese.
 82    Come fan tutti i fiumi all'oceàno,
 83 così vanno alla peste gli altri mali
 84 a dar tributo e basciarle la mano;
 85    e l'accoglienze sue son tante e tali
 86 che di vassallo ogniun si fa suo amico,
 87 anzi son tutti suoi fratei carnali.
 88    Ogni maluzzo furfante e mendico
 89 è allor peste o mal di quella sorte,
 90 com'ogni uccel d'agosto è beccafico.
 91    Se tu vuoi far le tue faccende corte,
 92 avendosi a morir, come tu sai,
 93 muori, maestro Pier, di questa morte:
 94    almanco intorno non arai notai
 95 che ti voglin rogare il testamento,
 96 né la stampa volgar del "come stai",
 97    che non è al mondo il più crudel tormento.
 98 La peste è una prova, uno scandaglio,
 99 che fa tornar gli amici ad un per cento:
100    fa quel di lor che fa del grano il vaglio,
101 ché quando ella è di quella d'oro in oro,
102 non vale inacetarsi o mangiar l'aglio.
103    Allor fanno li amanti i fatti loro:
104 vedesi allor s'egli stava alla prova
105 quel che dicea: "Madonna, io spasmo, io moro";
106    che se l'ammorba et ei la lasci sola,
107 s'e' non si serra in conclavi con lei,
108 si dice: "E' ne mentiva per la gola".
109    Bisogna che gli metta de' cristei,
110 sia spedalingo e facci la taverna;
111 e son poi grazie date dalli dèi.
112    Non muor, chi muor di peste, alla moderna:
113 non si fa troppo spesa in frati o preti,
114 che ti cantino il requiem eterna.
115    Son gli altri mali ignoranti e indiscreti:
116 corrono il corpo per tutte le bande;
117 costei va sempre a' luoghi più secreti,
118    come dir quei che copron le mutande
119 o sotto il mento o ver sotto le braccia,
120 perch'ell'è vergognosa e fa del grande.
121    Non vòl che l'uom di lei la mostra faccia:
122 vedi san Rocco com'egli è dipinto,
123 che per mostrar la peste si dislaccia.
124    O sia che questo mal ha per istinto
125 ferir le membra ov'è il vital vigore
126 et è da loro in quelle parti spinto,
127    o veramente la carne del core,
128 il fegato e 'l cervel gli den piacere,
129 perch'ell'è forsi di razza d'astore;
130    questo problema debbi tu sapere
131 che sei maestro e intènditi di carne
132 più che cuoco del mondo, al mio parere.
133    E però lascio a te sentenzia darne:
134 so che tu hai della peste giudicio
135 e cognosci li storni dalle starne.
136    Or le sue laudi sono un edificio,
137 che chi lo vuol tirare infino al tetto
138 arà facenda più che a dir l'officio
139    non hanno i frati de san Benedetto;
140 però qui di murar finirò io,
141 lasciando il resto a miglior architetto.
142    E lascio a te, maestro Piero mio,
143 questo notabilissimo ricordo,
144 che la peste è un mal che manda Dio;
145    e chi crede altramente egli è un balordo.



54

CAPITOLO IN LAUDE D'ARISTOTELE

  1    Non so, maestro Pier, quel che ti pare
  2 di questa nuova mia maninconia,
  3 che io ho tolto Aristotele a lodare.
  4    Che parentado o che genologia
  5 questo ragionamento abbia con quello,
  6 ch'io feci l'altro dì, della moria,
  7    sappi, maestro Pier, che quest'è 'l bello:
  8 non si vuol mai pensar quel che si faccia,
  9 ma governarsi a volte di cervello.
 10    Io non trovo persona che mi piaccia,
 11 né che più mi contenti che costui:
 12 mi paion tutti gli altri una cosaccia,
 13    che f-rno inanzi, seco e dopo lui,
 14 e quel vantaggio sia fra loro appunto
 15 ch'è fra il panno scarlatto e i panni bui,
 16    quel ch'è fra la quaresima e fra l'unto,
 17 ché sai quanto ti pesa, duole e incresce
 18 quel tempo fastidioso, quando è giunto,
 19    ch'ogni dì ti bisogna frigger pesce,
 20 cuocer minestre e bollire spinaci,
 21 stringer melanze sin che 'l succo n'esce.
 22    Salvando, dottor miei, le vostre paci,
 23 io ho detto ad Aristotele in secreto,
 24 come il Petrarca: "Tu sola mi piaci".
 25    Il qual Petrarca avea più del discreto,
 26 in quella filosofica rassegna,
 27 a porlo inanzi, come 'l pose drieto.
 28    Costui, maestro Piero, è quel che insegna,
 29 quel che può dirsi veramente dotto
 30 e di vero saper l'anime impregna;
 31    che non imbarca altrui senza biscotto,
 32 non dice le sue cose in aria al vento,
 33 ma tre e tre fa sei, quattro e quattro otto.
 34    Ti fa con tanta grazia un argumento,
 35 che te lo senti andar per la persona
 36 fin al cervello e rimanervi drento.
 37    Sempre con sillogismi ti ragiona
 38 e le ragion per ordine ti mette;
 39 quella ti scambia che non ti par buona.
 40    Dilèttasi di andar per le vie strette,
 41 corte, diritte, per fornirla presto,
 42 e non istà a dir: "L'andò, la stette".
 43    Fra li altri tratti Aristotele ha questo,
 44 che non vuol che gl'ingegni sordi e loschi
 45 e la canaglia gli meni l'agresto.
 46    Però par qualche volta che s'imboschi,
 47 passandosi le cose di leggiero,
 48 e non abbia piacer che tu 'l conoschi.
 49    Ma quello è con effetto il suo pensiero:
 50 se gli è chi voglia dir che non l'intende,
 51 làscialo cicalar, ché non è il vero.
 52    Come falcon che a far la preda intende,
 53 che gira un pezzo suspeso su l'ali,
 54 poi di cielo in un tratto a terra scende,
 55    così par ch'egli a te parlando cali
 56 e venga al punto, e, perché tu l'investa,
 57 comincia dalle cose generali
 58    e le squarta e minuzza e trita e pesta,
 59 ogni costura e buco gli ritrova,
 60 sì che scrupolo alcuno non ti resta.
 61    Non vuol che l'uomo a credergli si mova
 62 se non gli mette prima il pegno in mano,
 63 se quel che dice in sei modi no 'l prova.
 64    Non fa proemŒ inetti, non in vano:
 65 dice le cose sue semplicemente
 66 e non affetta il favellar toscano.
 67    Quando l'incorre a parlar della gente,
 68 parla d'ogniun più presto ben che male;
 69 poco dice d'altrui, di sé niente,
 70    cosa che non han fatto assai cicale,
 71 che, volendo avanzarsi la fattura,
 72 s'hanno unto da sua posta lo stivale.
 73    E` regola costui della natura,
 74 anzi è lei stessa; e quella e la ragione
 75 ci ha posto inanzi a gli occhi per pittura.
 76    Ha insegnato i costumi alle persone:
 77 la felicità v'è per chi la vuole,
 78 con infinito ingegno e discrezione.
 79    Hanno gli altri volumi assai parole,
 80 questo è pien tutto e di fatti e di cose
 81 e d'altro che di vento empir ci vuole.
 82    O Dio, che crudeltà, che non compose
 83 un'operetta sopra la cucina,
 84 fra l'infinite sue miracolose!
 85    Credo che la sarebbe altra dottrina
 86 che quel tuo ricettario babbuasso,
 87 dove hai imparato a far la gelatina;
 88    che ti arebbe insegnato qualche passo,
 89 più che non seppe Apicio né Esopo,
 90 d'arrosto, lesso, di magro e di grasso.
 91    Ma io che fo, che son come quel topo
 92 ch'al leon si ficcò dentro all'orecchia
 93 e del mio folle ardir m'accorgo dopo?
 94    Arreco al mondo una novella vecchia,
 95 bianchezza voglio aggiungere alla neve
 96 e metter tutto il mare in poca secchia.
 97    Io che soglio cercar materia breve,
 98 sterile, asciutta e senza sugo alcuno,
 99 che punto d'eloquenzia non riceve;
100    e che sia il ver, va', leggi ad uno ad uno
101 i capitoli miei, ch'io vo' morire
102 se gli è suggetto al mondo più digiuno.
103    Io non mi so scusar se non con dire
104 quel ch'io dissi di sopra: e' son capricci
105 ch'a mio dispetto mi voglion venire,
106    come a te di castagne far pasticci.



55

CAPITOLO DEL DEBITO

  1    Quanta fatica, messer Alessandro,
  2 hanno certi filosofi durata,
  3 come dir, verbigrazia, Anassimandro
  4    e Cleombroto e quell'altra brigata,
  5 per dichiararci qual sia 'l sommo bene
  6 e la vita felice alma e beata!
  7    Chi vuol di scudi aver le casse piene;
  8 chi stare allegro sempre e far gran cera,
  9 pigliando questo mondo com'e' viene:
 10    andar a letto com'e' si fa sera,
 11 non far da cosa a cosa differenzia,
 12 non guardar più la bianca che la nera.
 13    Questa hanno certi chiamata indolenzia,
 14 ch'è, messer Alessandro, una faccenda,
 15 che l'auditor non v'ha data sentenzia:
 16    vo' dir ch'io credo che la non s'intenda;
 17 voi chiamatela vita alla carlona,
 18 qua è un che n'ha fatto una leggenda.
 19    Un'altra opinion, che non è buona,
 20 tien che l'imperador e 'l prete Ianni
 21 sien maggior del torrazzo di Cremona,
 22    perché veston di seta e non di panni,
 23 son spettabili viri, ogniun gli guarda,
 24 son come fra gli uccelli i barbagianni.
 25    E fu un tratto una vecchia lombarda
 26 che credeva che 'l papa non fuss'uomo,
 27 ma un drago, una montagna, una bombarda;
 28    e, vedendolo andare a vespro in duomo,
 29 si fece croce per la maraviglia:
 30 questo scrive uno istorico da Como.
 31    Dell'altra filosofica famiglia
 32 sono intricati più, dico, gli errori,
 33 ch'una matassa quando si scompiglia.
 34    Vergilio disse che i lavoratori
 35 starebbon ben, s'egli avessin cervello,
 36 se fussin del lor ben conoscitori;
 37    ma questo alla sentenzia è stran suggello:
 38 è come dare inanzi intero un pane
 39 a chi non abbia denti né coltello.
 40    Chi vuol che le persone sien mal sane
 41 dice che lo studiar ci fa beati
 42 e la scienzia delle cose strane;
 43    e qui gridan le regole de' frati,
 44 che danno l'ignoranzia per precetto
 45 e non voglion che mai libro si guati.
 46    Non è mancato ancor chi abbi detto
 47 gran ben del matrimonio e de' contenti
 48 che son nel marital pudico letto.
 49    Questo amo io più che tutti i miei parenti
 50 e dico che lo starvi è cosa santa,
 51 ma senza compagnia, non altrimenti.
 52    Son queste opinion più di novanta;
 53 son tante, quanti gli uomini, le vite
 54 e sempre ogniun l'altrui celebra e canta;
 55    ma fra le più stimate e reverite
 56 è, per detto d'ogniun, quella de' preti,
 57 perch'egli han grandi entrate e poche uscite.
 58    Or tacete, filosofi e poeti;
 59 voi, Svetonio e Platina e Plutarco,
 60 che scriveste le vite, state cheti:
 61    lasciate dir a me, che non imbarco
 62 e son in questo così buono autore,
 63 stato per dir, come san Marco.
 64    Più bella vita al mondo un debitore,
 65 fallito, rovinato e disperato,
 66 ha che 'l gran turco e che l'imperatore.
 67    Questo è colui che si può dir beato:
 68 in tutto l'universo ove noi stiamo
 69 non è più lieto e più tranquillo stato.
 70    E perché paia che noi procediamo
 71 con le misure in mano e con le seste,
 72 prima quel che sia debito vediamo.
 73    Debito è far altrui le cose oneste,
 74 come dir ch'a' più vecchi si conviene
 75 trar le berette et abbassar le teste;
 76    adunque far il debito è far bene
 77 e quanto è fatto il debito più spesso,
 78 tanto questa ragion più lega e tiene.
 79    Or fatto il presupposito e concesso
 80 che 'l debito sia opra virtuosa,
 81 le consequenzie sue vengon appresso.
 82    Ha l'anima gentile e generosa
 83 un uom ch'affronti e faccia stocchi assai:
 84 è uom da fargli fare ogni gran cosa.
 85 Non ebbe tanto cuore Ercole mai,
 86 né que' che vanno in piazza a dare al toro,
 87 sbricchi, sgherri, barbon, bravi, sbisai.
 88    O teste degne d'immortale alloro,
 89 ma più delle carezze e de' rispetti
 90 e delle feste che son fatte loro!
 91    Non è tal carità fra' più diletti
 92 figliuoli e padri, e fra moglie e marito,
 93 e s'altri son fra sé di sangue stretti.
 94    E` più accarezzato e più servito
 95 un debitor da chi ha aver da lui
 96 che se del corpo fuor gli fusse uscito:
 97    non par che tenga memoria d'altrui.
 98 Andate a dir ch'un avaraccio boia
 99 abbia le belle grazie c'ha costui:
100    anzi non è chi non brami che muoia,
101 tanto è perseguitato e mal voluto,
102 tanto l'han proprio i suoi figliuoli a noia.
103    Un debitore è volentier veduto,
104 mai non si truova che nulla gli manchi,
105 sempre alle spese d'altri è mantenuto.
106    Guardate un prete, quando va per Banchi,
107 che sberettate egli ha da ogni canto,
108 quanta gente gli è sempre intorno a' fianchi.
109    Questo è colui che si può dare il vanto
110 di vera fama e di solida gloria,
111 quel ch'è canonizzato come un santo.
112    Non ha proporzione annale o istoria
113 con gli autentichi libri de' mercanti,
114 che son la vera idea della memoria;
115    e costor vi son drento tutti quanti,
116 e quindi tratti a farsi più immortali.
117 E' son dipinti su per tutti i canti:
118    voi vedete certi abiti ducali,
119 fatti con orpimento e zafferano,
120 con lettere patenti di speziali.
121    E sarà tal che prima era un cristiano,
122 che si farà più noto a questo modo
123 che non è Lancilotto né Tristano.
124    Un debitor, ch'è savio, dorme sodo;
125 fa sonni che così gli facess'io!
126 Par che bea papaveri nel brodo.
127    Disse un tratto Alcibiade a suo zio,
128 ch'avea di certi conti dispiacere:
129 "Voi sète pazzo, per lo vero Dio!
130    Lasciatevi pensare a chi ha avere,
131 o qualche modo più presto trovate,
132 ch'i creditor non gli abbino a vedere".
133    Vo' dir per questo, se ben voi notate,
134 che se i debiti ad un metton pensiero,
135 si vorria dargli cento bastonate.
136    Vedete, Caccia mio, s'io dico il vero,
137 ché il peggio che gli possa intervenire
138 è l'esserne portato com'un cero.
139    Voi vedete il bargello a voi venire
140 con una certa grazia e leggiadria,
141 che par che voglia menarvi a dormire;
142    né so, quand'io veggo un che vada via
143 con tanta gente da lato e d'intorno,
144 che differenzia a lui dal papa sia.
145    Poi, forse che lo menano in un forno?
146 Sèrronlo a chiave in una forte rocca,
147 com'un gioiel di molte perle adorno.
148    Come egli è giunto, ogniun la man gli tocca,
149 ogniun gli fa carezze e accoglienze,
150 ogniun per carità lo bacia in bocca.
151    O gloriose Stinche di Firenze,
152 luogo celestial, luogo divino,
153 degno di centomila riverenze:
154    a voi ne vien la gente a capo chino,
155 e prima che la vostra scala saglia,
156 s'abbassa in su l'entrar dell'usciolino;
157    a voi nessuna fabbrica s'agguaglia:
158 sète più belle assai che 'l culiseo,
159 o s'altra a Roma è più degna anticaglia;
160    voi sète quel famoso Pritaneo,
161 dove teneva in grasso i suoi baroni
162 el popol che discese da Teseo;
163    voi gli tenete in stia come i capponi,
164 mandate il piatto lor publicamente,
165 non altrimenti che si fa a' lioni.
166    Com'uno è quivi, è giunto finalmente
167 a quello stato ch'Aristotel pose,
168 che 'l senso cessa e sol opra la mente.
169    Voi fate anche le genti industriose:
170 chi cuce palle, chi lavora fusa,
171 chi stecchi e chi mille altre belle cose;
172    non vi ha né l'ozio né 'l negozio scusa,
173 l'uno e l'altro ricapito vi truova,
174 di tutti duoi v'è la scienzia infusa.
175    S'alla città vien qualche buona nuova,
176 voi sète quasi le prime a sapella:
177 par che corrieri addosso il ciel vi piova.
178    E qui si sente un romor di martella,
179 di picconi e di travi, per mandare
180 libero ogniun in questa parte e 'n quella.
181    Ma s'io vi son, lasciàtemivi stare;
182 di questa pietà vostra io non mi curo,
183 a pena morto me ne voglio andare.
184    Non so più bel che star drento ad un muro,
185 quieto, agiato, dormendo a chiusi occhi,
186 e del corpo e dell'anima sicuro.
187    Fate, parente mio, pur de gli stocchi;
188 pigliate spesso a credenza, a 'nteresse,
189 e lasciate ch'a gli altri il pensier tocchi,
190    ché la tela ordisce un, l'altro la tesse.



56

CAPITOLO DI GRADASSO

  1    Voi m'avete, signor, mandato a dire
  2 che del vostro Gradasso un'opra faccia:
  3 io son contento, io ve voglio ubedire.
  4    Ma s'ella vi riesce una cosaccia,
  5 la vostra signoria non se ne rida
  6 e pensi ch'a me anco ella dispiaccia.
  7    Egli è nella Poetica del Vida
  8 un verso, il qual voi forse anco sapete,
  9 che così a gli autor moderni grida:
 10    "O tutti quanti voi che componete,
 11 non fate cosa mai che vi sia detta,
 12 se poco onor aver non ne volete;
 13    non lavorate a posta mai né in fretta,
 14 se già non sète sforzati e constretti
 15 da gran maestri e signori a bacchetta.
 16    Non sono i versi a guisa de farsetti,
 17 che si fanno a misura, né la prosa,
 18 secondo le persone, or larghi or stretti.
 19    La poesia è come quella cosa
 20 bizzarra, che bisogna star con lei,
 21 che si rizza a sua posta e leva e posa".
 22    Dunque negarvi versi io non potrei,
 23 sendo chi sète; e chi li negarebbe
 24 anco a Gradasso mio, re de' pigmei?
 25    Che giustamente non s'anteporrebbe
 26 a quel gran serican che venne in Francia
 27 per la spada d'Orlando e poi non l'ebbe?
 28    Costui porta altrimenti la sua lancia:
 29 non pesarebbe solo el suo pennacchio
 30 la stadera dell'Elba e la Bilancia.
 31    Con esso serve per ispaventacchio,
 32 anzi ha servito adesso in Alamagna,
 33 a turchi, ad altri: io so quel ch'io mi gracchio.
 34    E` destro, snello, adatto di calcagna
 35 a far moresche e salti; non è tale
 36 un grillo, un gatto, un cane et una cagna:
 37    in prima il periglioso e poi il mortale;
 38 non ha tante virtù ne' prati l'erba
 39 betonica quante ha questo animale.
 40    La ciera verde sua brusca et acerba
 41 pare un viso di sotto, quando stilla
 42 quel che nel ventre smaltito si serba.
 43    La sua genealogia chi potria dilla?
 44 Io trovo ch'egli uscì d'un di quei buchi
 45 dove abitava a Norcia la Sibilla.
 46    Suo padre già faceva i porci eunuchi
 47 e lui fé dottorar nel berrettaio
 48 per non tenerlo in frasca come i bruchi.
 49    Nacque nel duo di qua dal centinaio,
 50 et è sì grande ch'io credo che manchi
 51 poca cosa d'un braccio a farli un saio.
 52    Se si trovava con la spada a i fianchi
 53 quando i topi assaltaron li ranocchi,
 54 egli era fatto condottier de i granchi.
 55    E certo li somiglia assai ne gli occhi
 56 e nella tenerezza della testa,
 57 che va incontro alle punte de li stocchi.
 58    M'è stato detto di non so che festa
 59 che voi gli fate quando egli è a cavallo,
 60 se così tosto a seder non s'appresta:
 61    fate dall'altra banda traboccallo
 62 s'a capo chino; e par che vadi a nozze,
 63 sì dolce in quella parte ha fatto il callo.
 64    Così le bestie non diventon rozze,
 65 ché ve le mena meglio assai ch'a mano,
 66 e parte il gioco fa delle camozze;
 67    un certo gioco, ch'i' ho inteso, strano,
 68 che si lascion le matte a corna innanzi
 69 cader da gli alti scogli in terra al piano.
 70    State cheti, poeti di romanzi;
 71 non mi rompa la testa Rodomonte,
 72 né quel Gradasso ch'io dicevo dianzi;
 73    Buovo d'Antona e Buovo d'Agrismonte
 74 e tutti i paladin farebbon meglio,
 75 poi che sono scartati, andare a monte.
 76    Questo è della Montagna el vero Veglio,
 77 questo solo infra tutti pel più grasso
 78 e dirò molto e pur sarà niente.
 79    Questo è quel fiume che pur or si manda
 80 fuora e quel mar che crescerà si forte
 81 che il mondo allagherà da ogni banda.
 82    Non se ne son ancor le genti accorte
 83 per la novella età, ma tempo ancora
 84 verrà, ch'aprir farà le chiuse porte.
 85    E se le stelle che 'l vil popol ora
 86 (dico Ascanio, San Giorgio) onora e cole,
 87 oscura e fa sparir la vostra aurora,
 88    che spererem che debbia far il sole?
 89 Beato chi udirà dopo mill'anni
 90 di questa profezia pur le parole.
 91    Dirò di quel valor che mette i vanni
 92 e potria far la spada e il pastorale
 93 ancora un dì rifare i nostri danni,
 94    e far tacere allor quelle cicale,
 95 certi capocchi satrapi ignoranti,
 96 che la vostra virtù commenton male;
 97    genti che non san ben da quali e quanti
 98 spiriti generosi accompagnato
 99 l'altr'ier voleste a gli altri andare inanti;
100    dico oltre a quei che sempre avete allato,
101 ché tutta Italia con molta prontezza
102 v'arìa di là dal mondo seguitato.
103    Questo vi fece romper la cavezza
104 e della legazion tutti i legacci,
105 tanto da gentil cor gloria s'apprezza!
106    Portovvi in Ungheria fuor de' covacci,
107 sì che voi sol voleste passar Vienna,
108 voi sol de' turchi vedeste i mostacci.
109    Questa è la storia che qui sol s'accenna,
110 la lettera è minuta che si nota,
111 da poi s'estenderà con altra penna;
112    e mentre il ferro a temprarla s'arruota,
113 serbate questo schizzo per un pegno,
114 fin ch'io lo colorisca e lo riscuota:
115    che se voi sète di tela e di legno
116 e di biacca per man di Tiziano,
117 spero ancor'io, s'io ne sarò mai degno,
118    di darvi qualche cosa di mia mano.



58

AL CARDINALE IPPOLITO DE' MEDICI

  1    S'i' avessi l'ingegno del Burchiello,
  2 io vi farei volentieri un sonetto,
  3 ché non ebbi già mai tema e subietto
  4 più dolce, più piacevol né più bello.
  5    Signor mio caro, io mi trovo in bordello,
  6 anzi troviànci, per parlar più retto:
  7 come tante lamprede in un tocchetto,
  8 impantanati siam fin al cervello.
  9    L'acqua e 'l fango, i facchini e i marinari
 10 ci hanno posto l'assedio alle calcagna,
 11 gridando tutti: "Dateci danari!".
 12    L'oste ci fa una cera grifagna
 13 e debbe dir fra sé: "Frate' miei cari,
 14 chi perde in questo mondo e chi guadagna:
 15              all'uscir della ragna,
 16 di settimana renderan gli uccelli".
 17 E facci vezzi come a suoi fratelli.
 18              Vengon questi e poi quelli
 19 e dicon che la rotta sarà presa
 20 qua intorno a san Vincenzio o santa Agnesa;
 21              che noi l'abbiamo intesa
 22 più presto sotto a mangiarci lo strame,
 23 ch'andare inanzi a morirci di fame
 24              a quello albergo infame
 25 che degnamente è detto Malalbergo;
 26 ond'io per stizza più carta non vergo.



57

CAPITOLO AL CARDINALE [IPPOLITO] DE' MEDICI

  1    Non crediate però, signor, ch'io taccia
  2 di voi, perch'io non v'ami e non v'adori,
  3 ma temo che 'l mio dir non vi dispiaccia.
  4    Io ho un certo stil da muratori
  5 di queste case, qua, di Lombardia,
  6 che non van troppo in sù co i lor lavori:
  7    compongo a una certa foggia mia,
  8 che, se volete pur ch'io ve lo dica,
  9 me l'ha insegnato la poltroneria.
 10    Non bisogna parlarmi di fatica,
 11 ché, come dice el cotal della Peste,
 12 quella è la vera mia mortal nemica.
 13    Mi è stato detto mo' che voi vorreste
 14 un stil più alto, un più lodato inchiostro,
 15 che cantasse de Pilade e d'Oreste;
 16    come sarebbe, verbigrazia, il vostro,
 17 unico stil o singular o raro,
 18 che vince il vecchio non che 'l tempo nostro.
 19    Quello è ben ch'a ragion tegniate caro,
 20 però ch'ogni bottega non ne vende:
 21 ne sète, a dir el ver, pur troppo avaro.
 22    Io ho sentito dir tante faccende
 23 della traduzion di quel secondo
 24 libro ove Troia misera s'incende,
 25    che bramo averla più che mezzo il mondo:
 26 hòvelo detto e voi non rispondete,
 27 ond'anch'io taccio e più non vi rispondo.
 28    Ma, per tornar al stil che voi volete,
 29 dico ch'anch'io volentier il torrei
 30 e n'ho più voglia che voi non credete;
 31    ma far rider le genti non vorrei,
 32 come sarebbe se 'l vostro Gradasso
 33 leggessi greco in catedra a gli ebrei;
 34    quel vostro veramente degno spasso,
 35 che mi par esser proprio il suo pedante,
 36 quando a parlargli mi chino sì basso.
 37    Provai un tratto a scrivere elegante
 38 in prosa e in versi e fecine parecchi
 39 et ebbi voglia anch'io d'esser gigante,
 40    ma messer Cinzio mi tirò gli orecchi
 41 e disse: "Bernia, fa' pur dell'Anguille,
 42 ché questo è il proprio umor dove tu pecchi;
 43    arte non è da te cantar d'Achille:
 44 ad un pastor poveretto tuo pari
 45 convien far versi da boschi e da ville".
 46    Ma lasciate ch'io abbia anch'io denari,
 47 non fia più pecoraio ma cittadino,
 48 e metterò gli unquanco a mano e' guari;
 49    com'ha fatto un non so chi mio vicino,
 50 che veste d'oro e più non degna il panno
 51 e dassi del messer e del divino.
 52    Farò versi di voi che fumaranno
 53 e non vorrò che me n'abbiate grado,
 54 che s'io non dirò il ver, serà mio danno;
 55    lascierò stare el vostro parentado
 56 e' vostri papi e 'l vostro cappel rosso
 57 e l'altre cose grande ov'io non bado;
 58    a voi vogl'io, signor, saltare addosso,
 59 voi sol per mio suggetto e tema avere,
 60 delle vostre virtù dir quant'io posso.
 61    I' non v'accoppiarò come le pere
 62 e come l'ova fresche e come i frati,
 63 nelle mie filastrocche e tantafere;
 64    ma farò sol per voi versi appartati,
 65 né metterovvi con uno a dozzina,
 66 perché d'un nome siate ambo chiamati;
 67    e dirò prima de quella divina
 68 indole vostra e del beato giorno
 69 che ne promette sì bella mattina;
 70    dirò del vostro ingegno, al qual è intorno
 71 infinito giudicio e discrezione,
 72 cose che raro unite si trovorno;
 73    onde lo studio delle cose buone
 74 e le composizioni escon sovente,
 75 che fan perder la scrima a chi compone.
 76    Né tacerò da che largo torrente
 77 la liberalità vostra si spanda,
 78 e dirò molto e pur sarà niente.
 79    Questo è quel fiume che pur or si manda
 80 fuora e quel mar che crescerà sì forte
 81 che il mondo allagherà da ogni banda.
 82    Non so se son ancor le genti accorte
 83 per la novella età, ma tempo ancora
 84 verrà, ch'aprir farà le chiuse porte.
 85    E se le stelle che 'l vil popol ora
 86 (dico Ascanio, San Giorgio) onora e cole,
 87 oscura e fa sparir la vostra aurora,
 88    che spererem che debbia far il sole?
 89 Beato chi udirà dopo mill'anni
 90 di questa profezia pur le parole.
 91    Dirò di quel valor che mette i vanni
 92 e potria far la spada e il pastorale
 93 ancora un dì rifare i nostri danni,
 94    e far tacere allor quelle cicale,
 95 certi capocchi satrapi ignoranti,
 96 che la vostra virtù commenton male;
 97    genti che non san ben da quali e quanti
 98 spiriti generosi accompagnato
 99 l'altr'ier voleste a gli altri andare inanti;
100    dico oltre a quei che sempre avete allato,
101 ché tutta Italia con molta prontezza
102 v'arìa di là dal mondo seguitato.
103    Questo vi fece romper la cavezza
104 e della legazion tutti i legacci,
105 tanto da gentil cor gloria s'apprezza!
106    Portovvi in Ungheria fuor de' covacci,
107 sì che voi sol voleste passar Vienna,
108 voi sol de' Turchi vedeste i mostacci.
109    Questa è la storia che qui sol s'accenna,
110 la lettera è minuta che si nota,
111 da poi s'estenderà con altra penna;
112    e mentre il ferro a temprarla s'arruota,
113 serbate questo schizzo per un pegno,
114 fin ch'io lo colorisca e lo riscuota:
115    che se voi sète di tela e di legno
116 e di biacca per man di Tiziano,
117 spero anch'io, s'io ne sarò mai degno,
118    di darvi qualche cosa di mia mano.



59

SONETTO DEL BERNIA

  1    Non vadin più pellegrini o romei
  2 la quaresima a Roma alle stazzoni,
  3 giù per le scale sante ginocchioni,
  4 pigliando l'indulgenzie e i giubilei;
  5    né contemplando li archi e' colisei,
  6 e' ponti, li acquedutti e' settezzonŒ,
  7 e la torre ove stette in doi cestoni
  8 Vergilio, spenzolato da colei.
  9    Se vanno là per fede o per desio
 10 di cose vecchie, vengan qui a diritto,
 11 ché l'uno e l'altro mostrerò lor io.
 12    Se la fede è canuta, come è scritto,
 13 io ho mia madre e due zie e un zio,
 14 che son la fede d'intaglio e di gitto:
 15              paion gli dèi d'Egitto,
 16 che son de gli altri dèi suoceri e nonne
 17 e fôrno inanzi a Deucalionne.
 18              Gli omeghi e l'ipsilonne
 19 han più proporzion ne' capi loro
 20 e più misura che non han costoro.
 21              Io li stimo un tesoro
 22 e mostrerògli a chi gli vuol vedere
 23 per anticaglie naturali e vere.
 24              L'altre non sono intiere:
 25 a qual manca la testa, a qual le mani;
 26 son morte e paion state in man de' cani.
 27              Questi son vivi e sani
 28 e dicon che non voglion mai morire:
 29 la morte chiama et ei la lascian dire.
 30              Dunque chi s'ha a chiarire
 31 dell'immortalità di vita eterna,
 32 venga a Firenze nella mia taverna.



60

CAPITOLO A MESSER BACCIO CAVALCANTI
SOPRA LA GITA DI NIZZA

  1    Questa è per avisarvi, Baccio mio,
  2 se voi andate alla prefata Nizza,
  3 che, con vostra licenza, vengo anch'io.
  4    La mi fece venir da prima stizza,
  5 parendomi una cosa impertinente;
  6 or pur la fantasia mi vi si rizza,
  7    ché mi risolvo meco finalmente
  8 che posso e debbo anch'io capocchio andare
  9 dove va tanta e sì leggiadra gente.
 10    Sa che cosa è galea, che cosa è mare;
 11 sa ch'e pidocchi e de' cimici il puzzo
 12 m'hanno la coratella a sgangherare,
 13    perch'io non ho lo stomaco di struzzo,
 14 ma di grillo, di mosca e di farfalla:
 15 non ha 'l mondo il più ladro stomacuzzo.
 16    Lasso! che pur pensava di scampalla
 17 e ne feci ogni sforzo con l'amico,
 18 messivi 'l capo e l'una e l'altra spalla;
 19    con questo virtuoso putto, dico,
 20 che sto con lui come dir a credenza,
 21 mangia 'l suo pane e non me l'affatico.
 22    Volevo far che mi desse licenza,
 23 lasciandomi per bestia a casa, et egli
 24 mi smentì per la gola in mia presenza
 25    e disse: "Pìgliati un de' miei cappegli;
 26 mettiti una casacca alla turchesca,
 27 co' botton sin in terra e con gli ucchiegli".
 28    Io che son più caduco che una pesca,
 29 più tenero di schiena assai ch'un gallo,
 30 son del foco d'amor stoppin et esca,
 31    risposi a lui: "Sonate pur, ch'io ballo:
 32 se non basta ir a Nizza, andiamo a Nisa,
 33 dove fu Bacco su tigri a cavallo".
 34    Faremo dunque una bella divisa
 35 e ce n'andrem cantando come pazzi
 36 per la riviera di Siena e di Pisa.
 37    Io mi propongo fra gli altri solazzi
 38 uno sfoggiato, che sarete voi,
 39 col qual è forza ch'a Nizza si sguazzi.
 40    Voi conoscete gli asini da' buoi,
 41 sète là moncugino e monsignore
 42 e converrà che raccogliate noi.
 43    Alla fe', Baccio, che 'l vostro favore
 44 mi fa in gran parte piacer questa gita,
 45 perché già fuste in Francia ambasciatore!
 46    Un'altra cosa ancor forte m'invita,
 47 ch'io ho sentito dir che c'è la peste,
 48 e questa è quella che mi dà la vita.
 49    Io vi voglio ir, s'io dovess'ir in ceste:
 50 credo sappiate quanto la mi piaccia,
 51 se quel ch'i' scrissi già di lei leggeste.
 52    Qui ogniun si provede e si procaccia
 53 le cose necessarie alla galea,
 54 pensando che diman vela si faccia;
 55    ma 'l solleon s'ha messo la giornea
 56 e par che gli osti l'abbin salariato
 57 a sciugar bocche perché 'l vin si bea:
 58    vo' dir che tutto agosto fia passato
 59 inanzi forse che noi c'imbarchiamo,
 60 se 'l mondo in tutto non è spiritato.
 61    E se gli è anche adesso, adesso andiamo;
 62 andiam, di grazia, adesso adesso, via;
 63 di grazia, questa voglia ci caviamo.
 64    Io spero nella Vergine Maria,
 65 se Barbarossa non è un babbuasso,
 66 che ci porterà tutti in Barberia.
 67    Oh, che ladro piacer, che dolce spasso,
 68 veder a' remi, vestito di sacco,
 69 un qualche abbate od altro prete grasso!
 70    Credete che guarrebbe dello stracco,
 71 dello svogliato e de mill'altri mali:
 72 fu certo un galantuom quel Ghin di Tacco.
 73    Io l'ho già detto a parecchi officiali
 74 e prelati miei amici: "Abbiate cura,
 75 ché 'n quei paesi là si fa co' pali".
 76    Et essi a me: "Noi non abbiam paura;
 77 se non ci è fatto altro mal che cotesto,
 78 lo terrem per guadagno e per ventura;
 79    anzi per un piacer simile a questo
 80 andremo a posta fatta in Tremisenne,
 81 sì che quel s'ha da far faccisi presto".
 82    Mentre scrivevo questo, mi sovenne
 83 del Molza nostro, che mi disse un tratto
 84 un detto di costor molto solenne:
 85    fu un che disse: "Molza, io son sì matto,
 86 che vorrei trasformarmi in una vigna,
 87 per aver pali e mutarli ogni tratto.
 88    Natura ad alcun mai non fu matrigna:
 89 guarda quel ch'Aristotel ne' Problemi
 90 scrive di questa cosa"; e parte ghigna.
 91    Rispose il Molza: "Adunque mano a' remi;
 92 ogniun si metta dietro un buon temone
 93 et andiam via, ch'anch'io trovar vorre'mi
 94    a così gloriosa impalazione".
 95    Post scritta. Io ho saputo che voi sète
 96 col cardinal Salviati a Passignano
 97 et indi al Pin con esso andar volete.
 98    Me l'ha detto in palazzo un cortegiano
 99 che sa le cose et è de' Carnesecchi
100 e secretario e le tocca con mano.
101    Questo nel cor m'ha messo cento stecchi,
102 per la dolce memoria di quel giorno
103 che mi dice: "Meschin, tu pur invecchi".
104    Col desiderio a quel paese torno
105 dove facemmo tante fanciullezze
106 nel fior de gli anni più fresco e adorno.
107    Vostra madre mi fé tante carezze!
108 Oh che luogo da monachi è quel Pino,
109 id est da genti agiate e mal avezze!
110    Arete lì quel cardinal divino,
111 al qual vo' ben, non come cardinale
112 né perch'abbia 'l rocchetto o 'l capuccino,
113    ché gli vorrei per quel più presto male,
114 ma perché intendo che gli ha discrezione
115 e fa de' virtuosi capitale.
116    Seco il Fondulo sarà di ragione,
117 che par le quattro tempora in astratto,
118 ma è più dotto poi che Cicerone:
119    dice le cose, che non par suo fatto,
120 sa greco, sa ebraico; ma io
121 so che lo conoscete e son un matto.
122    Salutatel di grazia in nome mio;
123 e seco un altro, Alessandro Ricorda,
124 ch'è un cert'omaccin di quei di Dio:
125    dico che con ogniun presto s'accorda,
126 massimamente a giucar a primiera
127 non aspettò già mai tratto di corda.
128    Quando gli date uno spicchio di pera
129 a tavola, così per cortesia,
130 ditegli da mia parte: "Buona sera".
131    Mi raccomando a vostra signoria.




61

SONETTO IN DESCRIZION DELL'ARCIVESCOVO DI FIRENZE

  1    Chi vuol veder quantunque pò natura
  2 in far una fantastica befana,
  3 un'ombra, un sogno, una febbre quartana,
  4 un model secco di qualche figura,
  5    anzi pur il model della paura,
  6 una lanterna viva in forma umana,
  7 una mummia appiccata a tramontana,
  8 legga per cortesia questa scrittura.
  9    A questo modo è fatto un cristiano
 10 che non è contadin né cittadino
 11 e non sa s'e' sia in poggio o s'e' sia in piano.
 12    Credo che sia nepote de Longino;
 13 come gli è visto fuor, rincara il grano,
 14 alla più trista, ogni volta un carlino.
 15              Ha in dosso un gonnellino
 16 di tela ricamata da magnani,
 17 a toppe e spranghe messe co i trapàni.
 18              Per amor de' tafani
 19 porta a traverso al collo uno straccale
 20 quadro, come da vescovo un grembiale,
 21              et un certo cotale
 22 di romagnolo, allacciato alle schiene
 23 con una stringa rossa che lo tiene.
 24              Ma quanto calza bene
 25 una brachetta accattata a pigione,
 26 che par a punto un naso di montone!
 27              Non faria la ragione
 28 di quante stringhe al giorno ha il suo muletto,
 29 un abachista, in cento anni, perfetto.
 30              Nemico del confetto
 31 e de gli arrosti e della peverada,
 32 come de' birri un assassin di strada,
 33              è oppenion ch'e' vada
 34 del corpo l'anno quattro tratti soli
 35 e faccia paternostri e fusaioli.
 36              Fugge da' ceraioli,
 37 acciò che non lo vendan per un boto,
 38 tant'è sottil, leggieri, giallo e vòto.
 39              Comunque il Buonarroto
 40 dipinge la quaresima e la fame,
 41 dicon che vuol ritrar questo carcame;
 42              con un cappel di stame,
 43 che porta dì e notte come i bravi,
 44 e dieci mazzi a cintola di chiavi,
 45              che venticinque schiavi
 46 co i ferri a' pie' non fan tanto romore
 47 e trenta sagristani et un priore.
 48              Va per ambasciatore
 49 ogn'anno dell'aringhe a mezzo maggio,
 50 contra a' capretti, a l'ova et al formaggio,
 51              e perch'è gran viaggio,
 52 ha sempre sotto il braccio un mezzo pane
 53 che ha un giubbon di sette sorti lane:
 54              quel rode come un cane,
 55 poi giù pel gorgozzuol gli dà la spinta
 56 con tre o quattro sorsi d'acqua tinta.
 57              Or eccovi dipinta
 58 una figura arabica, un'arpia,
 59 un om fuggito dalla notomia.



62

SONETTO DELLE BRACHE

  1    "Chi avesse o sapesse chi tenesse
  2 un paio di calze di messer Andrea,
  3 arcivescovo nostro, ch'egli avea
  4 mandate a risprangar, perch'eron fesse,
  5    che quando e' s'ebbe Pisa se le messe
  6 et ab antico eran una giornea:
  7 chi l'avesse trovate non le bea,
  8 ch'al sagrestan vorremmo le rendesse,
  9    e gli sarà usata discrezione,
 10 di quella la qual usa con ogni uomo,
 11 perch'egli è liberal gentil signore".
 12    Così gridò il predicator del duomo;
 13 e 'ntanto il paggio si trova in pregione,
 14 c'ha perduto le brache a monsignore.



63

[ALLA CORTE DEL DUCA A PISA]

  1    Non mandate sonetti, ma prugnoli,
  2 cacasangue vi venga a tutti quanti;
  3 qualche buon pesce per questi dì santi
  4 e poi capi di latte negli orciuoli.
  5    Se non altro, de' talli di vivuoli
  6 sappiam che siate spasimati amanti
  7 e per amor vivete in doglia e 'n pianti
  8 e fate versi come lusignuoli.
  9    Ma noi del sospirare e del lamento
 10 non ci pasciam né ne pigliam diletto,
 11 però che l'uno è acqua e l'altro è vento.
 12    Poi, quando vogliam leggere un sonetto,
 13 il Petrarca e 'l Burchiel n'han più di cento,
 14 che ragionan d'amore e di dispetto.
 15              Concludendo, in effetto
 16 che noi farem la vita alla divisa,
 17 se noi stiamo a Firenze e voi a Pisa.



64

SONETTO DELLA CASA DEL BERNIA

  1    La casa che Melampo in profezia
  2 disse ad Ificlo già che cascarebbe,
  3 onde quei buoi da lui per merito ebbe
  4 d'essere stato a quattro tarli spia,
  5    con questa casa, che non è ancor mia
  6 né forse anco a mio tempo esser potrebbe,
  7 in esser marcia gli occhi perderebbe:
  8 messer Bartolomeo, venite via.
  9    La prima cosa in capo arete i palchi,
 10 non fabricati già da legnaiuoli,
 11 ma più presto da sarti o marescalchi;
 12    le scale saran peggio ch'a piuoli;
 13 non arem troppi stagni o oricalchi,
 14 ma quantità di piattelli et orciuoli,
 15              con gufi et assiuoli
 16 dipinti dentro e la Nencia e 'l Vallera;
 17 e poi la masserizia del Codera,
 18              come dir la stadera,
 19 un trespolo scoppiato et un paniere,
 20 un arcolaio, un fiasco, un lucerniere.
 21              Mi par così vedere
 22 farvi, come giungete, un ceffo strano
 23 e darla a dietro come fé Iordano,
 24              borbottando pian piano
 25 ch'io mi mettessi con voi la giornea,
 26 come già fece Evandro con Enea;
 27              e trar via l'Odissea
 28 e le grece e l'ebraice scritture,
 29 considerando queste cose scure.
 30              Messer, venite pure:
 31 se non si studierà in greco o ebreo,
 32 si studierà, vi prometto, in caldeo;
 33              et avremo un corteo
 34 di mosche intorno e senz'altra campana
 35 la notte e 'l dì sonaremo a mattana.
 36              Ma sarebbe marchiana,
 37 ciò è vo' dir sarebbe forte bello,
 38 se conduceste con voi l'Ardinghello.
 39              Faremo ad un piattello,
 40 voi e mia madre et io, le fante e' fanti;
 41 poi staremo in un letto tutti quanti,
 42              e levarénci santi,
 43 non che pudichi, e non ci sarà furia,
 44 sendo tutti ricette da lussuria.



65

CAPITOLO A FRA BASTIAN DAL PIOMBO

  1    Padre, a me più che gli altri reverendo
  2 che son reverendissimi chiamati,
  3 e la lor reverenzia io non l'intendo;
  4    padre, reputazion di quanti frati
  5 ha oggi il mondo e quanti n'ebbe mai,
  6 fin a que' goffi de gli Inghiesuati;
  7    che fate voi da poi che vi lasciai
  8 con quel di chi noi siam tanto divoti,
  9 che non è donna e me ne inamorai?
 10    Io dico Michel Agnol Buonarroti,
 11 che quand'i' 'l veggio mi vien fantasia
 12 d'ardergli incenso ed attaccargli voti;
 13    e credo che sarebbe opra più pia
 14 che farsi bigia o bianca una giornea,
 15 quand'un guarisse d'una malattia.
 16    Costui cred'io che sia la propria idea
 17 della scultura e dell'architettura,
 18 come della giustizia mona Astrea,
 19    e chi volesse fare una figura
 20 che le rapresentasse ambe due bene,
 21 credo che faria lui per forza pura.
 22    Poi voi sapete quanto egli è da bene,
 23 com'ha giudicio, ingegno e discrezione,
 24 come conosce il vero, il bello e 'l bene.
 25    Ho visto qualche sua composizione:
 26 son ignorante, e pur direi d'avélle
 27 lette tutte nel mezzo di Platone;
 28    sì ch'egli è nuovo Apollo e nuovo Apelle:
 29 tacete unquanco, pallide viole
 30 e liquidi cristalli e fiere snelle:
 31    e' dice cose e voi dite parole.
 32 Così, moderni voi scarpellatori
 33 et anche antichi, andate tutti al sole;
 34    e da voi, padre reverendo, in fuori
 35 chiunque vòle il mestier vostro fare,
 36 venda più presto alle donne e colori.
 37    Voi solo appresso a lui potete stare,
 38 e non senza ragion, sì ben v'appaia
 39 amicizia individua e singulare.
 40    Bisognerebbe aver quella caldaia,
 41 dove il socero suo Medea rifrisse
 42 per cavarlo de man della vecchiaia,
 43    o fosse viva la donna di Ulisse,
 44 per farvi tutti doi ringiovenire
 45 e viver più che già Titon non visse.
 46    Ad ogni modo è disonesto a dire
 47 che voi, che fate e legni e' sassi vivi
 48 abbiate poi come asini a morire:
 49    basta che vivon le quercie e gli ulivi
 50 e' corbi e le cornacchie e' cervi e' cani
 51 e mille animalacci più cattivi.
 52    Ma questi son ragionamenti vani,
 53 però lasciàngli andar, ché non si dica
 54 che noi siam mamalucchi o luterani.
 55    Pregovi, padre, non vi sia fatica
 56 raccomandarmi a Michel Agnol mio
 57 e la memoria sua tenermi amica.
 58    Se vi par, anche dite al papa ch'io
 59 son qui e l'amo e osservo e adoro,
 60 come padrone e vicario di Dio;
 61    et un tratto ch'andiate in concistoro,
 62 che vi sian congregati e cardinali,
 63 dite "a Dio" da mia parte a tre di loro.
 64    Per discrezion voi intenderete quali,
 65 non vo' che mi diciate: "Tu mi secchi";
 66 poi le son cerimonie generali.
 67    Direte a monsignor de' Carnesecchi
 68 ch'io non gli ho invidia de quelle sue scritte,
 69 né de color che gli tolgon li orecchi;
 70    ho ben martel di quelle zucche fritte,
 71 che mangiammo con lui l'anno passato:
 72 quelle mi stanno ancor ne gli occhi fitte!
 73    Fatemi, padre, ancor raccomandato
 74 al virtuoso Molza gaglioffaccio,
 75 che m'ha senza ragion dimenticato;
 76    senza lui parmi d'esser senza un braccio:
 77 ogni dì qualche lettera gli scrivo
 78 e perché l'è plebea da poi la straccio.
 79    Del suo signor e mio, ch'io non servivo,
 80 or servo e servirò presso e lontano,
 81 ditegli che mi tenga in grazia vivo.
 82    Voi lavorate poco e state sano:
 83 non vi paia ritrar bello ogni faccia;
 84 a Dio, caro mio padre fra Bastiano,
 85    a rivederci ad Ostia a prima laccia.



66

[SUA VITA IN VILLA E SUA VITA IN CORTE]

  1    Se mi vedesse la segretarìa
  2 o la prebenda del canonicato,
  3 com'io m'adatto a bollire un bucato
  4 in villa che mill'anni è stata mia,
  5    o far dell'uve grosse notomia,
  6 cavandone il granel da ogni lato,
  7 per farne l'ognissanti il pan ficato
  8 un arrosto o altra leccornìa,
  9    l'una m'accuserebbe al cardinale,
 10 dicendo: "Guarda questo moccicone,
 11 di cortigiano è fatto un animale";
 12    l'altra diria mal di me al Guascone,
 13 ch'io non porto di drieto lo straccale,
 14 per tener come lui riputazione.
 15              "Voi avete ragione",
 16 rispondere' io lor, "ch'è 'l vostro resto?
 17 Recate i libri e facciam conto presto.
 18              La corte avuto ha in presto
 19 sedici anni da me d'affanno e stento
 20 et io da lei ducati quattrocento;
 21              che ve ne son trecento,
 22 o più, a me per cortesia donati
 23 da duoi che soli son per me prelati,
 24              ambeduoi registrati
 25 nel libro del mio cuor ch'è in carta buona:
 26 l'uno è Ridolfi e quell'altro è Verona.
 27              Or se fussi persona
 28 che pretendessi ch'io gli avessi a dare,
 29 arrechi il conto, ch'io lo vo' pagare.
 30              Voi, madonne, mi pare
 31 che siate molto ben sopra pagate;
 32 però di grazia non m'infracidate".



67

SONETTO DELLA MASSARA

  1    Io ho per cameriera mia l'Ancroia,
  2 madre di Ferraù, zia di Morgante,
  3 arcavola maggior dell'Amostante,
  4 balia del turco e suocera del boia.
  5    E` la sua pelle di razza di stoia,
  6 morbida come quella del leofante:
  7 non credo che si trovi al mondo fante
  8 più orrenda, più sucida e squarquoia.
  9    Ha del labro un gheron, di sopra, manco:
 10 una sassata glie lo portò via
 11 quando si combatteva Castelfranco.
 12    Pare il suo capo la cosmografia,
 13 pien d'isolette d'azzurro e di bianco,
 14 commesse dalla tigna di tarsìa.
 15              Il dì de Befanìa
 16 vo' porla per befana alla finestra,
 17 perché qualch'un le dia d'una balestra;
 18              ché l'è sì fiera e alpestra
 19 che le daran nel capo d'un bolzone,
 20 in cambio di cicogna e d'airone.
 21              S'ella andasse carpone,
 22 parrebbe una scrofaccia o una miccia,
 23 ch'abbia le poppe a guisa di salciccia;
 24              vieta, grinza e arsiccia,
 25 secca dal fumo e tinta in verde e giallo,
 26 con porri e schianze suvi e qualche callo.
 27              Non li fu dato in fallo
 28 la lingua e i denti di mirabil tempre,
 29 perché ella ciarla e mangia sempre sempre.
 30              convien ch'io mi distempre
 31 a dir ch'uscisse di man di famigli;
 32 e che la trentavecchia ora mi pigli.
 33              Fûr de' vostri consigli,
 34 compar, che per le man me la metteste
 35 per una fante dal dì delle feste;
 36              credo che lo faceste
 37 con animo d'andarvene al vicario
 38 et accusarme per concubinario.



68

SONETTO DELLI BRAVI

  1    Voi che portaste già spada e pugnale,
  2 stocco, daga, verduco e costolieri,
  3 spadaccini, sviati, masnadieri,
  4 sbravi, sgherri, barbon, gente bestiale,
  5    portate or una canna o un sagginale
  6 o qualche bacchettuzza più leggieri,
  7 o voi portate in pugno un sparavieri:
  8 gli Otto non voglion che si faccia male.
  9    Fanciugli e altra gente che cantate,
 10 non dite più: "Ve' occhio c'ha 'l bargello",
 11 sotto pena di dieci staffilate.
 12    Questo è partito, e dèbbesi temello,
 13 di loro eccelse signorie prefate,
 14 vinto per sette fave et un baccello.
 15              Ogniuno stia in cervello,
 16 ari diritto, adoperi del sale:
 17 gli Otto non voglion che si faccia male.



69

IN MORTE DEL CAN DEL DUCA

  1    Giace sepolto in questa oscura buca
  2 un cagnaccio ribaldo e traditore;
  3 era il Dispetto e fu chiamato Amore.
  4 Non ebbe altro di buon: fu can del duca.



70

CAPITOLO IN LAMENTAZION D'AMORE

  1    In fe' di Cristo, Amor, che tu hai torto,
  2 assassinar in questo modo altrui
  3 e volermi amazzar quand'io son morto.
  4    Tu m'imbarcasti prima con colui,
  5 or vorresti imbarcarmi con colei:
  6 io vo' che venga il morbo a lei e a lui,
  7    e presso ch'io non dissi a te e a lei;
  8 se non perch'io non vo' che tu t'adiri,
  9 ad ogni modo io te l'appiccherei:
 10    sappi quel c'ho a far co' tuoi sospiri;
 11 perch'era avezzo a rider tuttavia,
 12 or bisogna ch'io pianga e ch'io sospiri.
 13    Quand'io trovo la gente per la via,
 14 ogniun mi guarda per trassecolato
 15 e dice ch'io sto male e ch'io vo via.
 16    Io me ne torno a casa disperato,
 17 e poi ch'io m'ho veduto nello specchio,
 18 conosco ben ch'io son transfigurato:
 19    parmi esser fatto brutto, magro e vecchio;
 20 e gran mercé, ch'io non mangio più nulla
 21 e non chiudo né occhio né orecchio.
 22    Quando ogniun si solazza e si trastulla,
 23 io attendo a trar guai a centinaia,
 24 e fàmegli tirar una fanciulla.
 25    Guarda se la fortuna vòl la baia:
 26 la m'ha lasciato star insin ad ora,
 27 or vòl ch'i' m'inamori in mia vecchiaia.
 28    Io non volevo inamorarmi ancora,
 29 ché, poi ch'i' m'era inamorato un tratto,
 30 mi pareva un bel che esserne fòra.
 31    Ad ogni modo, Amor, tu hai del matto,
 32 e credi a me, se tu non fussi cieco,
 33 io te farei veder ciò che m'hai fatto.
 34    Or se costei l'ha finalmente meco,
 35 questa rinegataccia della Mea,
 36 di grazia, fa ancor ch'io l'abbia seco;
 37    poi che tu hai disposto ch'io la bea,
 38 se la mi fugge, ch'io le sia nemico,
 39 e sia turco io, s'ella è ancor giudea;
 40    altrimenti, Cupido, io te lo dico
 41 in presenza di questi testimoni,
 42 pensa ch'io t'abbia ad esser poco amico;
 43    e se tu mi percuoti ne gli ugnioni,
 44 rinego Dio s'io non ti do la stretta
 45 e s'io non ti fornisco a mostaccioni.
 46    Prega pur Cristo ch'io non mi vi metta:
 47 tu non me n'arai fatto però sei,
 48 ch'io ti farò parer una civetta.
 49    Non potendo valermi con costei,
 50 per vendicarmi de' miei dispiaceri,
 51 farotti quello ch'arei fatto a lei.
 52    E non varràti ad esser balestrieri,
 53 o scusarti co l'esser giovanetto:
 54 allor faròtel io più volontieri.
 55    Non creder ch'io ti vogli aver rispetto;
 56 io te lo dico: se nulla t'aviene,
 57 non dir dapoi ch'io non te l'abbia detto.
 57 non dir dapoi ch'io non te l'abbia detto.
 58    Cupido, se tu sei un uom da bene
 59 e servi altrui quando tu se' richiesto,
 60 abbi compassion delle mie pene;
 61    non guardar perch'i' t'abbia detto questo:
 62 la troppa stizza me l'ha fatto dire;
 63 un'altra volta io sarò più onesto.
 64    A dirti il vero, io non vorrei morire:
 65 ogn'altra cosa si pò sopportare,
 66 questa non so come la s'abbia ad ire.
 67    Se costei mi lasciassi manicare,
 68 io li farei di drieto un manichino
 69 e mostrarei di non me ne curare;
 70    ma chi non mangia pane e non bee vino
 71 io ho sentito dir che se ne more,
 72 e quasi quasi ch'io me lo 'ndovino.
 73    Però ti vo' pregar, o dio d'amore:
 74 s'io ho pur a morir per man di dame,
 75 tira anco a lei un verretton nel core;
 76    fa' ch'ella mora d'altro che di fame.



71

CAPITOLO PRIMO ALLA SUA INNAMORATA

  1    Quand'io ti sguardo ben dal capo a' piei
  2 e ch'io contemplo la cima e 'l pedone,
  3 mi par aver acconcio i fatti miei.
  4    Alle guagnel, tu sei un bel donnone,
  5 da non trovar nella tua beltà fondo,
  6 tanto capace sei con le persone.
  7    Credo che chi cercasse tutto 'l mondo
  8 non troveria la più grande schiattona:
  9 sempre sei la maggior del ballo tondo.
 10    Io vedo chiar che tu saresti buona
 11 ad ogni gran refugio e naturale,
 12 sol con l'aiuto della tua persona.
 13    Se tu fussi la mia moglie carnale,
 14 noi faremmo sì fatti figliuoloni
 15 da compensarne Bacco e Carnevale.
 16    Quando io ti veggio in sen que' dui fiasconi,
 17 oh mi vien una sete tanto grande
 18 che par ch'io abbia mangiato salciccioni;
 19    poi, quand'io penso all'altre tue vivande,
 20 mi si risveglia in modo l'appetito
 21 che quasi mi si strappan le mutande.
 22    Accettami, ti prego, per marito,
 23 ché ti trarrai con me tutte le voglie,
 24 perciò ch'io son in casa ben fornito.
 25    Io non aveva il capo a pigliar moglie,
 26 ma quand'io veggio te, giglio incarnato,
 27 son come uno stallon quando si scioglie,
 28    che vede la sua dama in sur un prato,
 29 e balla e salta come un paladino;
 30 così fo io or ch'io ti son allato.
 31    Io ballo, io canto, io sòno il citarino,
 32 e dico all'improvista de' sonetti
 33 che non gli scoprirebbe un cittadino.
 34    Se vòi che 'l mio amor in te rimetti,
 35 èccome in punto apparecchiato e presto,
 36 pur che di buona voglia tu l'accetti.
 37    E se ancor non ti bastasse questo,
 38 che tu voglia di me meglio informarti,
 39 infcent;rmatene, ché gli è ben onesto.
 40    In me ritrovarai di buone parti,
 41 ma la meglior io non te la vo' dire:
 42 s'io la dicessi, farei vergognarti.
 43    Or se tu vòi alli effetti venire,
 44 stringiamo insieme le parole e' fatti,
 45 e da uom discreto chiamami a dormire;
 46    e se poi il mio esser piaceratti,
 47 ci accordaremo a far le cose chiare,
 48 ché senza testimon non voglio gli atti.
 49    Io so che presso me arai a durare
 50 e che tu vòi un marito galante:
 51 adunque piglia me, non mi lasciare.
 52    Io ti fui sempre sviscerato amante;
 53 di me resti a veder sol una prova:
 54 da quella in fuor, hai visto tutte quante.
 55    Sappi che di miei par non se ne trova,
 56 perch'io lavoro spesso e volentieri
 57 fo questo e quello ch'alla moglie giova.
 58    Con me dar ti potrai mille piaceri,
 59 di Marcon ci staremo in santa pace,
 60 dormirem tutti due senza pensieri,
 61    perché 'l fottere a tutti sempre piace.



72

CAPITOLO SECONDO ALLA SUA INNAMORATA

  1    Tu se' disposta pur ch'io mora affatto,
  2 prima che tu mi voglia soccorrire,
  3 e farmi andar in frega com'un gatto;
  4    ma se per tuo amor ho a morire,
  5 io t'entrarò col mio spirito adosso
  6 e sfamarommi inanzi al mio uscire.
  7    E' non ti varrà dir: "Non vo'; non posso":
  8 cacciato ch'io t'avrò il mio spirto drento,
  9 non t'avedrai che 'l corpo sarà grosso.
 10    Al tuo dispetto anche sarò contento,
 11 e mi starò nel tuo ventre a sguazzare,
 12 come se fussi proprio l'argumento.
 13    Se' preti mi vorranno discacciare,
 14 non curarò minaccie né scongiuri:
 15 ti so dir, avranno agio di gracchiare.
 16    Quando avran visto ch'io non me ne curi,
 17 crederanno che sia qualche malìa,
 18 presa a mangiar gli scaffi troppo duri,
 19    e chi dirà che venghi da pazzia;
 20 così alla fin non mi daranno impaccio
 21 e caverommi la mia fantasia.
 22    Ma s'io piglio coi denti quel coraccio,
 23 io gli darò de' morsi come cane
 24 e insegnarògli ad esser sì crudaccio.
 25    Tel dico, ve', mi amazzarò domane,
 26 per venir presto con teco a dormire;
 27 et intrarotti dove t'esce il pane.
 28    Sì che vedi or se tu ti puoi pentire:
 29 io ti do tempo sol per tutta sera;
 30 altramente, diman mi vo' morire.
 31    Non esser, come suoli, cruda e fiera,
 32 perché, s'io ci mettessi poi le mani,
 33 ti faria far qualche strania matera.
 34    Farotti far certi visacci strani
 35 che, specchiandoti, avrai maggior paura
 36 che non ebbe Atteon in mezzo a' cani.
 37    Se tu provassi ben la mia natura,
 38 tu teneresti via di contentarmi
 39 e non saresti contra me sì dura.
 40    In fine son disposto d'amazzarmi,
 41 perché ti voglio 'n corpo un tratto intrare,
 42 ch'altro modo non ho da vendicarmi.
 43    S'io v'entro, i' ti vo' tanto tribulare!
 44 Io uscirò poi per casa la notte
 45 e ciò che trovarò ti vo' spezzare.
 46    Quand'io t'avrò tutte le veste rotte,
 47 io ti farò ancor maggior dispetto,
 48 e caverotti il cìpol dalla botte,
 49    e levarotti il pannel di sul letto,
 50 e ti farò mostrar quell'infernaccio
 51 ov'entra et esce 'l diavol maladetto:
 52    darotti tanto affanno e tant'impaccio
 53 che non sarai mai più per aver bene,
 54 s'io non mi scioglio di questo legaccio.
 55    Sì che, stu vuoi uscir d'affanni e pene
 56 e se non vuoi diventar spiritata,
 57 accordarti con meco ti conviene.
 58    Ma io ti veggio star tant'ostinata
 59 e non aver pietà de' miei gran guai,
 60 ch'è forza farti andar co i panni alzata
 61    e di farti mostrar quel che tu hai.



73

RISPOSTA AL VARCHI

  1    Varchi, quanto più lode voi mi date
  2 tanto più l'aborrisco e rifiuto io,
  3 che so che vinto da gentil disio
  4 altri più che voi stesso a torto amate.
  5    Le rime mie, senza arte e non ornate,
  6 assai lontan da quelle van che 'l dio
  7 di Cinto canta ad Euterpe e Clio
  8 e dalle vostre, a gran ragion lodate;
  9    da quelle che d'altrui diverse avete
 10 quanto l'umil ginebro all'alto pino,
 11 da stridol canna nobile sampogna,
 12    quanto dall'uom ch'è desto a quel che sogna.
 13 Or canti il buon Damone e taccia Elpino,
 14 ch'ei sol del suo bel dir buon frutto miete.



74

VERO SPIRITO D'INFERNO PER AMORE

  1    Vero inferno è il mio petto,
  2 vero infernale spirito son io
  3 e vero infernal foco è 'l foco mio.
  4    Quell'arde e non consuma e non si vede,
  5 e la mia fiamma è tale
  6 che, perch'io vivo e non la mostro fòre,
  7 madonna non la crede.
  8 Privo d'ogni speranza di mercede
  9 e del divino aspetto
 10 è lo spirito misero infernale;
 11 et io gli sono eguale
 12 e vivo senza 'l mio vitale obietto,
 13 né speme ha la mia fede
 14 et ostinato in una voglia è 'l core.
 15 Anzi stato migliore
 16 han gli spirti laggiù, ché giustamente
 17 ardono in foco, et io ardo innocente;