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BERNARDO DOVIZI DA BIBBIENA
cardinale

(Bibbiena, 4 agosto 1470 - Roma, 9 novembre 1520)

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ROMEI Introduzione


     "Il Berni, allora ventenne [1518], aveva seguito a Roma le fortune di 'un certo suo parente cardinale', Bernardo Dovizi da Bibbiena, potentissimo alla corte di Leone X: quel Giovanni de' Medici, rampollo del magnifico Lorenzo, che vi aveva trapiantato le splendide costumanze di vita della sua gente. Il prodigo mecenatismo di casa Medici aveva in quegli anni attirato a Roma il fiore dell'intellettualità italiana, sollecitata a promuovere il prestigio del papato [...]. Roma era la città delle improvvise fortune e delle sconfinate ambizioni; e la 'famiglia' - e anzi la piccola corte - del Bibbiena nutriva, oltre a una nidiata vorace di nipoti, una piccola schiera di letterati [...]. Il cardinale medesimo era dotto umanista e scrittore di grido - autore della Calandria, uno degli incunaboli del teatro comico italiano -, nonché rinomato per l'indole faceta e l'arguta intelligenza" (p. 5)
 

ROMEI Nota


     Nel 1517 il Berni è a Roma "in casa di Bernardo Dovizi da Bibbiena, cardinale di Santa Maria in Portico e suo lontano parente, che sembra averlo accolto senza troppa benevolenza. Alla sua morte (9 novembre 1520), rimase come segretario con il di lui nipote, Angelo Dovizi, protonotario apostolico, dal quale ebbe i primi concreti benefici" (p. 19)
 

VIRGILI


     La parentela fra la famiglia del Berni e i Dovizi ebbe origine dal matrimonio fra il nonno del Berni ed una signora di casa Dovizi intorno alla metà del Quattrocento. In quel tempo i Dovizi erano una semplice famiglia casentinese di contadini (abitanti del contado). Ma nel 1480 Piero Dovizi giunse a Firenze diventando poi cancelliere per volontà di Lorenzo il Magnifico. Ebbe modo così di invitare anche il fratello Bernardo, che divenne intimo amico di uno dei figli del Magnifico, Giovanni, allora giovanissimo e già cardinale. Finché Lorenzo fu in vita l'autorità dei cancellieri fu piuttosto limitata ma dopo la sua morte Piero Dovizi acquistò un notevole potere sulla città, grazie soprattutto al successore di Lorenzo, Piero De' Medici. Nonostante il fallimento della loro politica, conclusa con la cacciata da Firenze nel 1494, i Dovizi avevano ormai incamerato ricchezza e prestigio. È facile comprendere, quindi, come la famiglia Berni nutrisse forti speranze in questa facoltosa parentela (pp. 14-15)

     Nei primi mesi del 1516 Leone X, tornando da Bologna, si fermò a Firenze con tutto il suo seguito, comprendente anche il cardinale Dovizi. Il Berni, approfittando di questa breve permanenza del parente cardinale in patria ed ansioso di trasferirsi nella città per eccellenza del mecenatismo, chiese più volte a quest'ultimo ospitalità nella sua corte romana. Ospitalità che gli venne, però, più volte negata. Fu così che il Berni, nonostante il rifiuto, decise, qualche tempo dopo, di partire ugualmente, dando inizio alla sua vita di cortigiano e rischiando di offendere il cardinale. Quest'ultimo, infatti, irritato "che alla sua autorità si avesse così poco rispetto, gli fece assai poco buona accoglienza" (p. 53). Tuttavia sembra proprio che un "cantuccio" non potesse negarglielo e circa un anno dopo si verificò anche una riconciliazione, suggellata dal dono di venti ducati da parte del cardinale, favorita soprattutto dalle raccomandazioni fatte da uno dei suoi segretari, Giulio Sadoleto, intimo amico del Berni (pp. 51-55)

     Il 20 ottobre 1520 Bernardo Dovizi si ammalò improvvisamente morendo il 9 novembre. Sembra che la morte fosse dovuta ad una somministrazione di veleno. Alcune voci dissero che il cardinale volesse la morte del papa, sperando di succedergli, ma venne da quest'ultimo anticipato (pp. 58-59) 

     Nelle stanze autobiografiche, ricordando la vita passata, il Berni accenna rapidamente al Dovizi:

A Roma andò dipoi, come a Dio piacque,
Pien di molta speranza e di concetto
D'un certo suo parente cardinale,
Che non gli fece mai né ben né male.
               (LXVII 37)

Appare chiara la delusione dei sogni e delle speranze giovanili riposte nel parente, che lo accolse freddamente e poco lo considerò, tenendolo, almeno per qualche tempo, in disparte. Qui forse si può scorgere un'ombra sottile di vendetta (pp. 92-93)