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(Firenze, 1432 – Padova, 1484) |
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STUDI LONGHI Nel canto settimo del terzo libro del poema boiardesco il Berni innestò una serie di ventuno ottave tutte sue, che rappresentano l'interpolazione più rilevante del rifacimento (LXVII [III vii] 36-57). Ed ecco allora che sul fondo delle acque del fiume del Riso scorgiamo fra i cavalieri anche il nostro autore. "Anch'egli con una sua storia, che fa da controcanto 'realistico' alle gesta dei paladini: speranze deluse, la grama vita del cortigiano, fastidi, 'brighe e pene' dell'ufficio di segretario e delle dissestate condizioni economiche; ma contro tutto questo, una potente forza di riscatto, l''allegria' [...]" "Il riso che dà la morte ha lo stesso carattere di forza eccessiva e dirompente del riso che impedisce la nascita: in entrambi i casi esso lega l'individuo a una dimensione altra da quella del mondo reale" (p. XII). Il tema del riso è facilmente riscontrabile in gran parte della tradizione burlesca: si può pensare, per esempio, al Pulci, che fa morire dalle risa il suo Margutte alla vista di una "bertuccia [...]: gli occhi gli si gonfiano e paiono schizzare dalla testa, il respiro gli manca nel petto serrato; e il riso intanto cresce su sé stesso, ormai staccato dalla sua occasione, in un'eccitazione progressiva che diviene causa di una metamorfosi mortale [...] fino all'[attesa] esplosione finale:
NENCIONI L'utilizzo della rima parossitona trova un chiaro modello nell'Ariosto, nel Petrarca, in Dante, nel Pulci (soprattutto per le espresioni più proverbiali e idiomatiche date dalla comune passione per la forma umoristica). (p. XIV) È di fondamentale importanza notare nel Berni un'ambivalenza
linguistica, che ricorre alle rigide leggi bembesche delle tre Corone fondendole
alla "vivezza del parlato; un parlato però assunto in un manieristico
compiacimento e quindi divaricato fra gli estremi del motteggiare popolaresco
e della trovata verbale. Elementi lessicali come 'badalone' e 'ragazzone'
di I iii 8, 'mignone' di I vii 69 3, locuzioni come 'fare sciarra' di I
v 44 1, 'spennacchiato' di I xxix 53 3 sono dati presenti nel Morgante"
del Pulci. (p. XV)
ROMEI Introduzione La "poesia bernesca [...] esordiva replicando una delle occasioni canoniche della tradizione giocosa [...]: la richiesta del mantello. [...] sono subito evidenti i debiti del Berni con quella tradizione - ed esplicitamente ammessi con i reiterati omaggi al Burchiello, al Pulci, al Pistoia" (p. 5) Dopo le invettive del 1527, fra le quali la principale
è quella contro Pietro Aretino (XXXII), proseguì la "produzione
giocosa" affidata al sonetto e al capitolo.
VIRGILI Un autore con il quale il Berni ha numerose attinenze è Luigi Pulci. "Nati [...] con molta conformità di gusti e carattere [...], spiriti ambedue bizzarri, gioviali, ribelli ad ogni freno e disciplina, e ad ogni [minima] spinta pronti a saltare [...] 'in sul cavallo del matto' [Orlando innamorato del Berni, I 57], furono poi diversi fra loro quanto volle la diversità dei casi della loro vita e dei tempi [...]. Al Pulci [spettarono] gli anni di Lorenzo il Magnifico, i più quieti, i più spensierati [...]; [...] egli non conobbe [...] quella [...] smania irrequieta, che certi tempi supremamente tormentativi mettono addosso a chi abbia la disgrazia di viverci. Lo prova il Berni, al quale così fatti tempi toccarono [...]. L'uno si vede chiaro che, quando ride, lo fa per passar mattana [...]: con l'altro invece bisogna star sempre sull'avviso anche quando [...] ride; e non è raro il caso che dopo averci condotti [...] per una serie d'idee lontanissime in apparenza dal suo intendimento segreto, ci salti addosso improvviso con un verso coniato tra il dolore e lo sdegno. [...] L'uno e l'altro fantasie mobilissime e per ogni verso mutabili, passano rapidamente e con la massima disinvoltura dal più procace scoppio di riso a [...] melanconie di pensiero [...]. Ma la melanconia del Pulci è più riposata [...]; quella del Berni torbida e spesso violenta [...]. Ambedue infine [...] fecero un uso assai strano [...] di quei loro liberi ingegni, costringendoli all'ingrata fatica di rifare l'opera altrui" (pp. 194-196) |