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STUDI MARTI "Che il Berni sia un realista, sembra cosa estremamente pacifica affermare; ma il realismo di lui non è vicino né a quello di Dante, primordiale e fantasticamente demiurgico, né a quello dei lontani romantici, che tendono ad abbattere ogni muro tra arte e vita. E diremmo che il realismo del Berni è diverso anche da quello dell'Ariosto, espressione di quell'equilibrio spirituale proprio del poeta del Furioso, atto a sdrammatizzare l'idea nella concretezza analitica della realtà, più volte anche di contenuto autobiografico. Il realismo del Berni è una predisposizione originaria, un punto di partenza; ed è forse più materia che spirito. Egli non parte solo dalla letteratura per una nuova letteratura; ma parte dalla vita, dai rapporti sociali, dall'autobiografia per trasformare tutto in raffinatissima, eppur dissimulata, letteratura; e vi si impegna interamente, anche se sembra scherzarvi su" (p. 229) È "la letteratura che, in definitiva, sta nel cuore del Berni; non la vita. Il realismo è nel Berni 'occasione' al comporre, materia informe, nocciolo embrionale del versificare; non è esaurimento della realtà nella prepotenza di una coscienza che domina ogni mezzo espressivo in una impetuosa mescolanza degli stili. [...] Ed è agevole concludere, a questo punto, che egli, pur nella sua irrequietezza interiore, non ebbe siffatta potenza spirituale da rompere i confini della sua letteratura per conquistarsi le regioni di un poetico demiurgismo: questa è cosa da grandissimi creatori, e fu possibile allora soltanto a messer Ludovico Ariosto" (pp. 230-231) Il nostro autore riesce, comunque, a "bruciare ogni esperienza
nella fiamma della poesia, lasciando una impronta tutta sua nell'ambito
della cinquecentesca civiltà delle lettere. E si potrebbe, generalmente,
affermare che tanto più il Berni s'approssima alla poesia, quanto
più evidente e profondo è, nei suoi versi, il legame con
la vita, quanto più solido e sicuro il suo autobiografismo. Egli
insomma è tanto più poeta, quanto più veramente realista.
I veri attimi felici [...] si hanno quando affiorano ricordi e memorie,
scene e luoghi veramente visti e cari legami sinceri di amicizia o di cortigianeria,
poeticamente rivissuti nella luce del sorriso" (p. 233)
ROMEI Berni e berneschi "La poesia del Berni, alla quale per tradizione è applicata un'incongrua etichetta di realismo popolaresco, nonostante i suoi infingimenti e le sue civetterie nasceva già di suo conto letteratissima: era la poesia di un uomo al quale la perizia umanistica era richiesta come minimo requisito professionale" (p. 72) "L'umiltà o trivialità degli oggetti poetici
[cantati dal Berni] ha fatto parlare di realismo; l'ossessione di tematiche
sessuali appena velate, di vitalismo rinascimentale, di libere o frivole
o riprovevoli costumanze di una società spregiudicata". In realtà,
prosegue Romei, "questa poesia sembra piuttosto portare i marchi di una
'maniera'. Astratta, antinaturalistica [...], ignora ogni referente esterno
a sé e al suo stretto dialogo letterario, al suo gioco chiuso di
sottigliezze e di paradossi, elude l'incontro col reale nella replicazione
infinita di meccanismi ingegnosi. Il disimpegno politico [...], le riesumazioni
archeologiche, la nevrotica futilità, la comicità equivoca"
(p. 74) non fanno pensare ad altro se non ad una necessità d'evasione,
ad una vera e propria fuga dalla realtà, la quale, per altro, è
prettamente illusoria (p. 74)
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