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STUDI LONGHI "Il sonetto è il portavoce elettivo di ogni sorta di attacco personale; regola i conti con gli avversari dell'autore; è arma di offesa, di difesa, di rappresaglia, di vendetta. [...] I sonetti del Berni che più pienamente rispondono a questa caratterizzazione sono tutti ascrivibili, non a caso, al drammatico anno 1527. Lo spregiudicato sonetto [...] Può far il ciel però, papa Chimenti, nell'impiego senza scrupolo dell'insulto diretto, rivolto alla persona di Clemente VII, e nel dileggio degli illustri ammiragli comandanti la flotta della Lega santa, esprime il sentimento di un'opposizione politica vigile e accesa. [...] Composto per ordine del Giberti [In realtà non è così: cfr. Edizione] [con l'intento di persuadere il papa verso determinate scelte politiche necessarie al benessere e alla difesa di Roma] e attaccato alla statua di Pasquino, esso ne venne subito discretamente spiccato, e mostrato al solo Clemente [Queste affermazioni non sono corrette]. Tale riguardosa delicatezza [...] è forse un'invenzione a posteriori, blandamente riparatoria dell'oltranza polemica del testo; mentre indubitabile appare l'origine pasquinesca del componimento" (pp. 7-8) Il sonetto diventa, quindi, un "discorso dell'occasione
e sull'occasione [...]; associato magari ai dati non solo del presente,
ma anche di un futuro immaginato come possibile, o categoricamente affermato
nella forma di una profezia infallibile" (pp. 10-11). È il caso,
per esempio, del sonetto contro Pietro Aretino (Tu ne dirai e farai
tante e tante), composto in risposta alla frottola aretiniana Pax
vobis, brigata. Per una comprensione adeguata del sonetto è
indispensabile una sua contestualizzazione, nonché la conoscenza
di una serie di vicende personali e politiche intercorse in quegli anni
fra i due autori (pp. 10-11)
ROMEI Introduzione "[...] La poesia bernesca [...] esordiva replicando una delle occasioni canoniche della tradizione giocosa [...]: la richiesta del mantello. La rinverdiva in quegli stessi anni [...] Bernardo Giambullari - altro fiorentino trapiantato a Roma - con i Sonetti di Biagio dal capperone e ne cavava dal papa fior di ducati. Ma se sono subito evedenti i debiti del Berni con quella tradizione - ed esplicitamente ammessi con i reiterati omaggi al Burchiello, al Pulci, al Pistoia -, sono anche subito chiarissime le distanze almeno dalle sue più tardive e sorde esecuzioni, come gli artigianali Sonetti di Biagio" (p. 5) "[...] Nella storia della poesia del Berni il capitolo e il sonetto rappresentano filoni distinti e di saltuaria e precaria comunicazione: marcati da una separatezza (che le prime edizioni sanciscono materialmente) che per lo più è anche cronologica" (p. 6) In riferimento al sonetto Può far il ciel però, papa Chimenti, citato dalla Longhi, Romei esprime un'interpretazione completamente diversa sulla vicenda. Il Berni dimostrò, infatti, di non credere nei progetti politici del suo padrone Giberti, esprimendo "un ironico distacco – se non un netto dissenso – non solo dalle titubanze del papa (XXIV), che poteva essere condiviso – o addirittura ispirato – dal datario, ma anche dalla politica della Lega Santa [XXX], voluta in prima persona dal Giberti [...], condividendo, semmai, l'ostilità degli uomini d'affari fiorentini verso una politica di guerra che rovinava i commerci" (p. 10), come appare dal sonetto sopra citato ai vv. 12-17, nel quale si prevede addirittura la tragica fine di tali manovre politiche (vv. 24-26) Durante il secondo soggiorno romano il "Berni non smise
ma diradò l'attività poetica in volgare: una decina di sonetti
in tre anni (ed è appunto stagione del sonetto) è il frutto
del primo periodo gibertino fino al 1527. Se si eccettuano gli occasionali
(XXII, XXIII, XXVI, XXVII, XXVIII) e il 'grave' a Vittoria Colonna (XXV)
[...], le voci più distinte di questa fase poetica sono la satira
politica e la parodia. Della prima (XXIV, XXIX, XXX) [...] abbiamo già
anticipato qualche motivo [...]. La seconda, anticipata già nel
1523 (XX), implica la questione dell''antipetrarchismo' bernesco. [...]
Non all'intangibile Petrarca si volta il veleno del Berni, ma alla rimeria
meccanica dei petrarchisti [...] di contro all'aspra e dolorosa poesia
di Michelangelo ('tacete unquanco, pallide vïole / e liquidi cristalli
e fiere snelle: / e' dice cose e voi dite parole' [LXV 29-31]). I bersagli
puntuali sono d'eccellenza: il Castiglione (XX), il Bembo (XXX, XXXI).
[...]
Dopo le invettive del 1527, fra le quali la maggiore è
quella contro Pietro Aretino (XXXII), proseguì la "produzione giocosa"
affidata al sonetto e al capitolo.
La produzione poetica dell'ultimo periodo della sua vita
comprende, oltre a due capitoli e due epistole poetiche, alcuni sonetti
che ripropongono la tipica forma grottesca e caricaturale (p. 18)
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