persone
FRANCESCO BARBERINI
cardinale
(Firenze 1597 - Roma 1679)
Figlio di Carlo e di Costanza Magalotti, fu educato agli studi e si laureò a Pisa in utroque iure nel 1623, l'anno in cui fu eletto pontefice lo zio Maffeo Barberini con il nome di Urbano VIII. Questi lo chiamò subito presso di sé, creandolo cardinale e colmandolo di cariche, di onori, di benefici (al culmine del successo le sue rendite erano calcolate a 80.000 scudi), tanto da farne il prelato più potente in corte e il fulcro del rafforzamento politico ed economico della famiglia Barberini voluto dal pontefice.
Svolge la funzione di "cardinal nepote", cioè di segretario di stato, anche se con autonomia operativa assai ridotta per la gelosia del potere che nutriva lo zio.
Nel 1625 viene inviato in Francia come legato a latere (al suo seguito c'è il giovane Rospigliosi) per trattare con il Richelieu la questione della Valtellina e per cercare una composizione del secolare contenzioso tra Francia e Spagna (non ottiene nessun risultato); quindi, nel 1626 in Spagna per trattare con l'Olivares. Un accordo tra Francia e Spagna effettivamente ci fu, ma tenne in scarsa considerazione la diplomazia pontificia.
A partire dal 1628 è investito dell'intero carico della politica estera dello Stato della Chiesa: si attiene alla linea di formale neutralismo (in realtà con una netta propensione filofrancese), dettata dal papa, in occasione della seconda guerra per la successione del Monferrato e della guerra dei Trent'anni. Nel 1633 si fa promotore di una lega fra gli stati italiani, fallita per l'ostilità del papa verso Venezia e per le ingerenze delle potenze europee. Sostiene la guerra di Castro (gestita di fatto dai suoi fratelli) conclusa con un disastroso insuccesso. Muore Urbano VIII (29 luglio 1644)
Implicato nelle inchieste promosse dal nuovo papa Innocenzo X sulle malversazioni perpetrate dai Barberini, nel 1646 è costretto a fuggire in Francia insieme ai fratelli Antonio e Taddeo sotto la protezione del Mazzarino. Nel 1648 i Barberini ottengono dal papa la grazia e la restituzione dei beni confiscati (sia pure con qualche strascico giudiziario fino al 1654), in modo da poter tornare a Roma nel loro palazzo alle Quattro Fontane. Da questo momento il cardinale limita la sua attività pubblica alle funzioni inerenti alle sue cariche, ridimensionando le sue ambizioni di potere.
Insieme al fratello minore, cardinal Antonio, promuove un'intensa attività culturale, praticando un principesco mecenatismo sia in via privata sia nell'ambito delle accademie di cui fu protettore. Si segnala particolarmente la costituzione di una ricchissima biblioteca (di cui fu curatore Luca Holstenio). Diede anche generosa ospitalità a molti intellettuali di passo o stanziali a Roma: Naudé, Vossius, Morin, Heinsius, Milton, Ughelli, Bouchard, Castelli, Doni, Allacci (che subentrò allo Holstenio nella funzione di bibliotecario e nelle Apes Urbanae esaltò il mecentismo barberino). Fra gli artisti predilesse il Bernini. Da lui, più che dal fratello, sembra dipendere l'attività del teatro di palazzo Barberini, che diede norma al melodramma romano e influenzò quello veneziano.
RAPPORTI CON IL ROSPIGLIOSI:
- 1625: porta con sé G.R. in Francia
- 1626: porta con sé G.R. in Spagna
- febbraio 1632: commissiona una rappresentazione del Sant'Alessio in Palazzo Barberini alle Quattro Fontane
- 1632: chiama G.R. a far parte del capitolo di Santa Maria Maggiore (chiesa della quale era arciprete)
- 19 gennaio 1634: commissiona una rappresentazione del Sant'Alessio nel Palazzo della Cancelleria
- 6 febbraio 1635: commissiona una rappresentazione dei Santi Didimo e Teodora in Palazzo Barberini
- 22 gennaio 1636: commissiona una rappresentazione dei Santi Didimo e Teodora in Palazzo Barberini
- febbraio 1638: commissiona una rappresentazione del San Bonifazio in Palazzo Barberini
- febbraio 1639: commissiona una rappresentazione di Chi soffre speri in Palazzo Barberini
- febbraio 1641: commissiona una rappresentazione dell'Innocenza difesa nel Palazzo della Cancelleria
- 13 febbraio 1643: commissiona una rappresentazione del Santo Eustachio nel Palazzo di monsignor Campeggi (in piazza Scossacavalli)
BIBLIOGRAFIA
- ALBERTO MEROLA, voce Barberini, Francesco, in D.B.I. VI 1964 172b-176b
NOTA
MARIO COSTANZO, Critica e poetica del primo Seicento, vol. II, Maffeo e Francesco Barberini, Cesarini, Pallavicino, Roma, Mario Bulzoni Editore ("Biblioteca di cultura", 4), 1969, pp. 122-123
Pur tra gli alti e bassi della politica [...] si può dire che il [cardinale Francesco] Barberini ha un posto di rilievo, come organizzatore e "promotore" di cultura, nel primo e medio Seicento; e che la sua influenza va considerata per molti aspetti decisiva per la formazione di un gusto letterario "moderato-barocco" e post-barocco: a) in primo luogo, per la continuità che la sua presenza per circa mezzo secolo nell'ambiente culturale romano poté garantire tra le "prove" tardo-rinascimentali e genericamente antimarinistiche della generazione Cesarini, Testi, Balducci, Azzolini, Simoncelli, e, d'altra parte, la sperimentazione, a livello dei Pallavicino, dei Delfino etc., di tesi e proposizioni di poetica non solo più complesse e meglio organizzate ma anche più esplicitamente proiettate verso il futuro (si passa, ad esempio, dall'idea d'una "retorica quaedam quasi magica" dell'età ciampoliana e superando momenti di acuta diffidenza verso l'esercizio stesso del poetare, anzi verso ogni possibile far poesia, al "favoloso" di cui parla il Pallavicino nel "Discorso aggiunto" al suo Ermenegildo martire [Roma, Eredi del Corbelletti, 1644]); b) in secondo luogo, per l'opera di mediazione assiduamente esercitata tra gusto letterario e gusto figurativo: sia direttamente come committente e uomo di curia di grande autorità, sia indirettamente (ma anche, forse, | più efficacemente) tramite il maestro di camera Cassiano del Pozzo; c) infine, per la svolta sollecitata, favorita, promossa a poco a poco nell'ambito della cultura letteraria contemporanea dal "maraviglioso" barocco a un'idea di classicità intesa come grazia, leggiadria e "vaghezza" musicale, curiosità antiquaria e gusto del peregrino "archeologico", in un senso che oggi si definirebbe moderato-barocco e quasi pre-arcadico: dove il riferimento più ovvio è ai rapporti strettissimi di Francesco Barberini e del Pallavicino con Giulio Rospigliosi (poi papa Clemente IX) e al loro esplicito, programmatico apprezzamento dei suoi esperimenti melodrammatici.
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