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CANTI CARNASCIALESCHI

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LONGHI



     In numerosi componimenti del Berni il linguaggio del cibo rappresenta una costante, dominata non da "un discorso univoco, ma ambivalente e doppio [...]. I cibi sono decrittabili sempre come metafore [...] di oggetti sessuali; la normativa per la loro confezione e imbandigione è nello stesso tempo esperta regia di gesti e comportamenti erotici" (p. 82). Un esempio calzante in questo senso si può trovare nel Capitolo delle Pesche del Berni, che si ricollega alla tradizione giocosa duecentesca e al Pulci, dal quale traspare il senso nascosto dell'omosessualità dell'autore, "frecciata convenzionale alla presunta pederastia degli ecclesiastici [...] [e] decisamente blasfemo quando lo si intenda in aggiunta come un elogio della massima disponibilità amorosa" (p. 83). Questa sovrapposizione fra cibo e sessualità non è, come si è già detto, cosa nuova, ma derivante dai canti carnascialeschi fiorentini, sostrato essenziale della poesia burlesca. A questo punto è inevitabile citare il Capitolo dell'orinale (XI), "metaforico elogio della sodomia [...]. Se il Berni allude a questo gruppo di capitoli di lode col termine di 'fantasie' [XI 53] [...] [è perché] fantasia è l'operazione e il prodotto della mente burlesca quando si applica a leggere il gran libro della realtà" (pp. 82-87)
 

MARTI



     Il Berni "non tradì mai la sua prima educazione fiorentina e medicea, nella quale prese corpo il suo più istintivo carattere. [...] E d'aria fiorentina son fatti i primi capitoli [...] che ebbero tanto successo a Roma, nell'ambiente facile alla facezia grossolana e al riso, che circondava il magnifico papa Medici: dai 'Ghiozzi' alle 'Anguille', dai 'Cardi' alle 'Pesche', al Lamento di Nardino [...], alla 'Gelatina' ecc. Capitoli tutti costruiti sulla ambiguità lessicale, sulla tecnica imprevedibile, secondo la comicità grassa e burlesca dei canti carnascialeschi; letteratura cara al Berni giovanile, ma riaffiorante negli anni più maturi e ritornante con una certa insistenza negli ultimi capitoli, particolarmente in quello non completato dell''Ago'" (pp. 228-229)