INDICE
STILE BERNESCO

PREMESSA

GUIDA

INDICE
DEL TESTO

NOTA AL
TESTO

BIBLIOGRAFIA

SIGLE

PERSONE

SOGGETTI

Rime


 

 

STUDI



 

LONGHI



     Un non trascurabile indizio del ruolo esemplare che si attribuiva alla metà del Cinquecento al Berni "maestro e padre del burlesco stile" ci viene da due sonetti del Lasca inseriti come introduzione al Primo libro dell'opere burlesche di M. Francesco Berni, ecc. (1548), dallo stesso Lasca curato, i quali ci rendono anche l'opinione che dell'autore avevano i suoi contemporanei. Nell'edizione del Lasca "le rime del Berni precedono tutte le altre, formando la sezione più estesa del volume: segno evidente di un attestato di stima [...] che [...] proclama il primato del Berni 'padre' di uno 'stil nuovo' burlesco [...]. È la volontà di recuperare il Berni, autore prestigioso, a una sua presunta 'fiorentinità' integrale, contraria alla realtà dei fatti; e di farne l'araldo di una lingua letteraria toscana pura e semplice, immune da fastidiose macchie di arcaismo e da fronzoli retorici" (pp. 25-26)
 

MARTI



     I motivi adottati dalla poesia bernesca (per es. l'insofferenza verso i parenti; l'odio verso la vita coniugale e la moglie; la rappresentazione di donne vecchie e brutte, di cattivi medici, di cattive notti e cene, di mule testarde) non sono affatto sconosciuti o innovativi, poiché appartengono ad una tradizione giocosa sfruttata per secoli. Tuttavia, l'innovazione sta nel fatto che questo poeta è riuscito a riassumere in sé "il movimento del passato [...] [dandogli] un impulso per i secoli a venire, quando quel passato sarà indicato con il nome di lui, come di nuovo archetipo di stile, destinato in definitiva ad oscurarlo ed a sostituirlo" (p. 225)
 

VIRGILI



     Racchiudere lo stile bernesco in una definizione non è così facile come potrebbe sembrare, in quanto in esso sono concentrate le contraddizioni di un uomo e della sua vita. Tuttavia per bernesco si può intendere "quel beato stile paesano, senza ciarpe né fronzoli, senza albagie e pretensioni, che spiega più buon senso che ingegno, urbano, festivo, ingenuamente maligno, e dove a molto faceto si [mescola] pur molto del serio" (p. 3)

     Fra i più eccellenti predecessori del Berni si trova sicuramente Dante Alighieri, che si serviva di forme popolari per meglio ritrarre la vita comune e quotidiana. "Il Berni senza dubbio, sopra tutti i suoi predecessori [dette a questa] poesia forma artistica; vi mescolò e sovrappose qualche altra cosa [...], ad esempio una [...] melanconia di pensiero [...]; ma 'la gaiezza spensierata, l'arguzia maliziosa, la mobilità fantastica, l'equivoco, il motto, lo sproposito, ridotti in rima,' la massima parte insomma degli elementi di quello che fu poi detto stile bernesco, 'una letteratura di origini essenzialmente popolane [...], come la fiorentina, li aveva di suo e fin dal suo nascere [Del Lungo, Dino Compagni e la sua Cronica, 1879, vol. II, XVI delle Note dantesche, p. 623]'" (p. 190) 

     Un altro predecessore può essere individuato nel Burchiello. Dal quale il Berni tralasciò il gergo e la ruvidezza e ne apprese, invece, certi "quadretti assai vivi e piccanti, certi schizzi di figure ridicole, soprattutto poi la descrizione di un malo albergo e una peggior notte toccatagli [...] furono fuor d'ogni dubbio presenti al Berni". Un'altra affinità fra i due autori si può riscontrare nell'utilizzo della satira, soprattutto politica, celata nel Burchiello, evidente nel Berni (pp. 192-193)

     Il Berni prende, qualche volta, versi dal Burchiello, dal Bellincioni, dal Pistoia. Le conformità con questi autori si riscontrano, però, solo nel loro stile giocoso ed anche in questo il Berni inserisce quell'"urbanità e gentilezza" che agli altri mancano. Ma c'è un altro autore con il quale il Berni ha numerose attinenze: Luigi Pulci. "Nati [...] con molta conformità di gusti e carattere [...], spiriti ambedue bizzarri, gioviali, ribelli ad ogni freno e disciplina, e ad ogni [minima] spinta pronti a saltare [...] 'in sul cavallo del matto' [Orlando innamorato del Berni, I 57], furono poi diversi fra loro quanto volle la diversità dei casi della loro vita e dei tempi [...]. Al Pulci [spettarono] gli anni di Lorenzo il Magnifico, i più quieti, i più spensierati [...]; [...] egli non conobbe [...] quella [...] smania irrequieta, che certi tempi supremamente tormentativi mettono addosso a chi abbia la disgrazia di viverci. Lo prova il Berni, al quale così fatti tempi toccarono [...]. L'uno si vede chiaro che, quando ride, lo fa per passar mattana [...]: con l'altro invece bisogna star sempre sull'avviso anche quando [...] ride; e non è raro il caso che dopo averci condotti [...] per una serie d'idee lontanissime in apparenza dal suo intendimento segreto, ci salti addosso improvviso con un verso coniato tra il dolore e lo sdegno. [...] L'uno e l'altro fantasie mobilissime e per ogni verso mutabili, passano rapidamente e con la massima disinvoltura dal più procace scoppio di riso a [...] melanconie di pensiero [...]. Ma la melanconia del Pulci è più riposata [...]; quella del Berni torbida e spesso violenta [...]. Ambedue infine [...] fecero un uso assai strano [...] di quei loro liberi ingegni, costringendoli all'ingrata fatica di rifare l'opera altrui" (pp. 194-196)