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Canto quarto




Inf. 6.115: quivi trovammo Pluto, il gran nemico
Inf. 14.47: giace dispettoso e torto
Inf. 33.58: ambo le man per lo dolor mi morsi
Verg. Aen. 2.223-224: qualis mugitus, fugit cum saucius aram / taurus et incertam excussit ceruice securim
1
Mentre son questi a le bell'opre intenti,
perché debbiano tosto in uso porse,
il gran nemico de l'umane genti
contra i cristiani i lividi occhi torse;
e scorgendogli omai lieti e contenti,
ambo le labra per furor si morse,
e qual tauro ferito il suo dolore
versò mugghiando e sospirando fuore
.
Vid. Christ. 1.130-192:
Verg. Aen. 3.679: concilium horrendum
Vid. Christ. 1.133-135: Protinus acciri diros ad regia fratres / limina, concilium horrendum, et genus omne suorum / imperat
Vid. Christ. 1.130-132: Demens, qui id propter tantum non viderat ipsum / demissum coelo iuvenem, quo sponte piaret / morte obita veterum culpam, et scelus omne parentum.
2
Quinci, avendo pur tutto il pensier vòlto
a recar ne' cristiani ultima doglia,
che sia, comanda, il popol suo raccolto
(concilio orrendo!) entro la regia soglia;
come sia pur leggiera impresa, ahi stolto!,
il repugnare a la divina voglia:
stolto, ch'al Ciel s'agguaglia, e in oblio pone
come di Dio la destra irata tuone.
Verg. Aen. 7.513-515:

Inf. 9.6: per l'aere nero
Inf. 16.130: quell'aere grosso e scuro
Ar. Fur. 28.20.6:
Già cominciava, quando passò il rio,
dinanzi al sole a fuggir l'aer cieco
Vid. Christ. 1.135-138:
Pol. Stanze 1.28.1-6:
3
Chiama gli abitator de l'ombre eterne
il rauco suon de la tartarea tromba.
Treman le spaziose atre caverne,
e l'aer cieco a quel romor rimbomba;
né sì stridendo mai da le superne
regioni del cielo il folgor piomba,
né sì scossa giamai trema la terra
quando i vapori in sen gravida serra.
Vid. Christ. 1.139-142:
Verg. Aen. 6.281:
vipereum crinem vittis innexa cruentis
Vid. Christ. 1.152:
Omnibus intorti pendent pro crinibus angues
Verg. Aen. 2.207-208: pars cetera pontum / pone legit sinuatque immensa volumine terga
Ar. Fur. 33.120.7-8: e lunga coda, / come di serpe che s'aggira e snoda
4
Tosto gli dèi d'Abisso in varie torme
concorron d'ogn'intorno a l'alte porte.
Oh come strane, oh come orribil forme!
quant'è ne gli occhi lor terrore e morte!
Stampano alcuni il suol di ferine orme,
e 'n fronte umana han chiome d'angui attorte,
e lor s'aggira dietro immensa coda
che quasi sferza si ripiega e snoda
.

Verg. Aen. 6.285-289:


Vid. Christ. 1.143-146:
5
Qui mille immonde Arpie vedresti e mille
Centauri e Sfingi e pallide Gorgoni,
molte e molte latrar voraci Scille,
e fischiar Idre e sibilar Pitoni,
e vomitar Chimere atre faville,
e Polifemi orrendi e Gerioni;
e in novi mostri, e non più intesi o visti,
diversi aspetti in un confusi e misti.


Claud. Rap. Pros. 1.79-83:
Ipse rudi fultus solio nigraque verendus / maiestate sedet. Squalent immania foedo / sceptra situ; sublime caput maestissima nubes / asperat et dirae riget inclementia formae. / Terrorem dolor augebat.
6
D'essi parte a sinistra e parte a destra
a seder vanno al crudo re davante.
Siede Pluton nel mezzo, e con la destra
sostien lo scettro ruvido e pesante;

né tanto scoglio in mar, né rupe alpestra,
né pur Calpe s'inalza o 'l magno Atlante,
ch'anzi lui non paresse un picciol colle,
sì la gran fronte e le gran corna estolle.


Verg. Aen. 2.210:
ardentisque oculos suffecti sanguine et igni
Vid.Christ. 1.163-166:
Ergo animis prompti, atque opibus coiere parati / una omnes. Fremitu vario sonat intus opaca / regia, rex donec nigram igne tricuspide dextram / armatus coetu in medio sic farier ortus.
7
Orrida maestà nel fero aspetto
terrore accresce, e più superbo il rende:
rosseggian gli occhi, e di veneno infetto
come infausta cometa il guardo splende,
gl'involve il mento e su l'irsuto petto
ispida e folta la gran barba scende,
e in guisa di voragine profonda
s'apre la bocca d'atro sangue immonda.

Claud. Rap.Pros. 1.83-88:

Bocc. Corb. 62:
8
Qual i fumi sulfurei ed infiammati
escon di Mongibello e 'l puzzo e 'l tuono,
tal de la fera bocca i negri fiati,
tale il fetore e le faville sono.
Mentre ei parlava, Cerbero i latrati
ripresse, e l'Idra si fe' muta al suono;
restò Cocito, e ne tremàr gli abissi,
e in questi detti il gran rimbombo udissi:

Vid. Christ. 1.167-176:
9
- Tartarei numi, di seder più degni
là sovra il sole, ond'è l'origin vostra,
che meco già da i più felici regni
spinse il gran caso in questa orribil chiostra,
gli antichi altrui sospetti e i feri sdegni
noti son troppo, e l'alta impresa nostra;
or Colui regge a suo voler le stelle,
e noi siam giudicate alme rubelle.

Vid. Christ. 1.176-182:


Inf. 1.4:
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
10
Ed in vece del dì sereno e puro,
de l'aureo sol, de gli stellati giri,
n'ha qui rinchiusi in questo abisso oscuro,
né vuol ch'al primo onor per noi s'aspiri;
e poscia (ahi quanto a ricordarlo è duro!
quest'è quel che più inaspra i miei martìri)
ne' bei seggi celesti ha l'uom chiamato,
l'uom vile e di vil fango in terra nato.

Vid. Crist. 1.183-192:
Petr. RVF 358.6:
che col piè ruppe le tartaree porte

Inf. 12.38-39:
colui che la gran preda / levò a Dite
11
Né ciò gli parve assai; ma in preda a morte,
sol per farne più danno, il figlio diede.
Ei venne e ruppe le tartaree porte,
e porre osò ne' regni nostri il piede,
e trarne l'alme a noi dovute in sorte,
e riportarne al Ciel sì ricche prede,
vincitor trionfando, e in nostro scherno
l'insegne ivi spiegar del vinto Inferno.
Inf. 33.4-6:
[...] Tu vuo' ch'io rinovelli
disperato dolor che 'l cor mi preme
già pur pensando, pria ch'io ne favelli.
12
Ma che rinovo i miei dolor parlando?
Chi non ha già l'ingiurie nostre intese?
Ed in qual parte si trovò, né quando,
ch'egli cessasse da l'usate imprese?
Non più dèssi a l'antiche andar pensando,
pensar dobbiamo a le presenti offese.
Deh! non vedete omai com'egli tenti
tutte al suo culto richiamar le genti?
  13
Noi trarrem neghittosi i giorni e l'ore,
né degna cura fia che 'l cor n'accenda?
e soffrirem che forza ognor maggiore
il suo popol fedele in Asia prenda?
e che Giudea soggioghi? e che 'l suo onore,
che 'l nome suo più si dilati e stenda?
che suoni in altre lingue, e in altri carmi
si scriva, e incida in novi bronzi e marmi?
  14
Che sian gl'idoli nostri a terra sparsi?
ch'i nostri altari il mondo a lui converta?
ch'a lui sospesi i voti, a lui sol arsi
siano gl'incensi, ed auro e mirra offerta?
ch'ove a noi tempio non solea serrarsi,
or via non resti a l'arti nostre aperta?
che di tant'alme il solito tributo
ne manchi, e in vòto regno alberghi Pluto?





Ov. Met. 9.5-7:
nec tam / turpe fuit vinci, quam contendisse decorum est, / magnaque dat nobis tantus solacia victor.

15
Ah! non fia ver, ché non sono anco estinti
gli spirti in voi di quel valor primiero,
quando di ferro e d'alte fiamme cinti
pugnammo già contra il celeste impero.
Fummo, io no 'l nego, in quel conflitto vinti,
pur non mancò virtute al gran pensiero.
Diede che si fosse a lui vittoria:
rimase a noi d'invitto ardir la gloria.
Verg. Aen. 11.175-176:
quid demoror armis? / Vadite
Verg. Aen. 1.664:
Nate, meae vires, mea magna potentia, solus
16
Ma perché più v'indugio? Itene, o miei
fidi consorti, o mia potenza e forze:

ite veloci, ed opprimete i rei
prima che 'l lor poter più si rinforze;
pria che tutt'arda il regno de gli Ebrei,
questa fiamma crescente omai s'ammorze;
fra loro entrate, e in ultimo lor danno
or la forza s'adopri ed or l'inganno.
Claud. Rap. Pros. 2.306:
sit fatum quodcumque voles.
17
Sia destin ciò ch'io voglio: altri disperso
se 'n vada errando, altri rimanga ucciso,
altri in cure d'amor lascive immerso
idol si faccia un dolce sguardo e un riso.
Sia il ferro incontra 'l suo rettor converso
da lo stuol ribellante e 'n sé diviso:
pèra il campo e ruini, e resti in tutto
ogni vestigio suo con lui distrutto. -
  18
Non aspettàr già l'alme a Dio rubelle
che fosser queste voci al fin condotte;
ma fuor volando a riveder le stelle
già se n'uscian da la profonda notte,
come sonanti e torbide procelle
che vengan fuor de le natie lor grotte
ad oscurar il cielo, a portar guerra
a i gran regni del mar e de la terra.
  19
Tosto, spiegando in vari lati i vanni,
si furon questi per lo mondo sparti,
e 'ncominciaro a fabricar inganni
diversi e novi, e ad usar lor arti.
Ma di' tu, Musa, come i primi danni
mandassero a i cristiani e di quai parti;
tu 'l sai, e di tant'opra a noi sì lunge
debil aura di fama a pena giunge.
  20
Reggea Damasco e le città vicine
Idraote, famoso e nobil mago,
che fin da' suoi prim'anni a l'indovine
arti si diede, e ne fu ognor più vago.
Ma che giovàr, se non potè del fine
di quella incerta guerra esser presago?
Ned aspetto di stelle erranti o fisse,
né risposta d'inferno il ver predisse.

Ar. Fur. 1.7.2:
ecco il giudicio uman come spesso erra!
21
Giudicò questi (ahi, cieca umana mente,
come i giudizi tuoi son vani e torti!)

ch'a l'essercito invitto d'Occidente
apparecchiasse il Ciel ruine e morti;
però, credendo che l'egizia gente
la palma de l'impresa al fin riporti,
desia che 'l popol suo ne la vittoria
sia de l'acquisto a parte e de la gloria.
  22
Ma perché il valor franco ha in grande stima,
di sanguigna vittoria i danni teme;
e va pensando con qual arte in prima
il poter de' cristiani in parte sceme,
sì che più agevolmente indi s'opprima
da le sue genti e da l'egizie insieme:
in questo suo pensier il sovragiunge
l'angelo iniquo, e più l'instiga e punge.
Inf. 27.76-77:
Li accorgimenti e le coperte vie
io seppi tutte, e sì menai lor arte [...]
23
Esso il consiglia, e gli ministra i modi
onde l'impresa agevolar si pote.
Donna a cui di beltà le prime lodi
concedea l'Oriente, è sua nepote:
gli accorgimenti e le più occulte frodi
ch'usi o femina o maga a lei son note.
Questa a sé chiama e seco i suoi consigli
comparte, e vuol che cura ella ne pigli.
Petr. RVF 213.3:
sotto biondi capei canuta mente
24
Dice: - O diletta mia, che sotto biondi
capelli
e fra sì tenere sembianze
canuto senno e cor virile ascondi,
e già ne l'arti mie me stesso avanze,
gran pensier volgo; e se tu lui secondi,
seguiteran gli effetti a le speranze.
Tessi la tela ch'io ti mostro ordita,
di cauto vecchio essecutrice ardita.


Bocc. Decam. 8.7.81:
i miei prieghi, li quali nel vero io non seppi bagnar di lagrime né far melati come tu ora sai porgere i tuoi
Petr. RVF 213.12-13:
col dir pien d'intellecti dolci et alti,
co i sospiri soave-mente rotti
25
Vanne al campo nemico: ivi s'impieghi
ogn'arte feminil ch'amore alletti.
Bagna di pianto e fa' melati i preghi,
tronca e confondi co' sospiri i detti
:
beltà dolente e miserabil pieghi,
al tuo volere i più ostinati petti.
Vela il soverchio ardir con la vergogna,
e fa' manto del vero a la menzogna.
  26
Prendi, s'esser potrà, Goffredo a l'esca
de' dolci sguardi e de' be' detti adorni,
sì ch'a l'uomo invaghito omai rincresca
l'incominciata guerra, e la distorni.
Se ciò non puoi, gli altri più grandi adesca:
menagli in parte ond'alcun mai non torni. -
Poi distingue i consigli; al fin le dice:
- Per la fé, per la patria il tutto lice. -




Petr. RVF 121.4:
Tu se' armato, et ella in treccie e 'n gonna
27
La bella Armida, di sua forma altera
e de' doni del sesso e de l'etate,
l'impresa prende, e in su la prima sera
parte e tiene sol vie chiuse e celate;
e 'n treccia e 'n gonna feminile spera
vincer popoli invitti e schiere armate.
Ma son del suo partir tra 'l vulgo ad arte
diverse voci poi diffuse e sparte.



Claud. Rap. Pros. 1.231-235:
augurium qualis laturus iniquum / praepes sanguineo dilabitur igne cometes / prodigiale rubens: non illum navita tuto, / non impune vident populi, sed crine minaci / nuntiat aut ratibus ventos aut urbibus hostes.
28
Dopo non molti dì vien la donzella
dove spiegate i Franchi avean le tende.
A l'apparir de la beltà novella
nasce un bisbiglio e 'l guardo ognun v'intende,
sì come là dove cometa o stella,
non più vista di giorno, in ciel risplende;
e traggon tutti per veder chi sia
sì bella peregrina, e chi l'invia
.




Ov. Met. 5.570-571:
ut sol, qui tectus aquosis / nubibus ante fuit, victis e nubibus exit.
29
Argo non mai, non vide Cipro o Delo
d'abito o di beltà forme sì care:
d'auro ha la chioma, ed or dal bianco velo
traluce involta, or discoperta appare.
Così, qualor si rasserena il cielo,
or da candida nube il sol traspare,
or da la nube uscendo i raggi intorno
più chiari spiega e ne raddoppia il giorno.
Petr. RVF 227.1-4:
Aura che quelle chiome bionde et crespe
circondi et movi, et se' mossa da loro,
soavemente, et spargi quel dolce oro,
et poi 'l raccogli, e 'n bei nodi il rincrespe
Petr. RVF 11.10:
et l'amoroso sguardo in sé raccolto
30
Fa nove crespe l'aura al crin disciolto,
che natura per sé rincrespa in onde;

stassi l'avaro sguardo in sé raccolto,
e i tesori d'amore e i suoi nasconde.
Dolce color di rose in quel bel volto
fra l'avorio si sparge e si confonde,
ma ne la bocca, onde esce aura amorosa,
sola rosseggia e semplice la rosa.
  31
Mostra il bel petto le sue nevi ignude,
onde il foco d'Amor si nutre e desta.
Parte appar de le mamme acerbe e crude,
parte altrui ne ricopre invida vesta:
invida, ma s'a gli occhi il varco chiude,
l'amoroso pensier già non arresta,
ché non ben pago di bellezza esterna
ne gli occulti secreti anco s'interna.
  32
Come per acqua o per cristallo intero
trapassa il raggio, e no 'l divide o parte,
per entro il chiuso manto osa il pensiero
sì penetrar ne la vietata parte.
Ivi si spazia, ivi contempla il vero
di tante meraviglie a parte a parte;
poscia al desio le narra e le descrive,
e ne fa le sue fiamme in lui più vive.
  33
Lodata passa e vagheggiata Armida
fra le cupide turbe, e se n'avede.
No 'l mostra già, benché in suo cor ne rida,
e ne disegni alte vittorie e prede.
Mentre, sospesa alquanto, alcuna guida
che la conduca al capitan richiede,
Eustazio occorse a lei, che del sovrano
principe de le squadre era germano.
  34
Come al lume farfalla, ei si rivolse
a lo splendor de la beltà divina,
e rimirar da presso i lumi volse
che dolcemente atto modesto inchina;
e ne trasse gran fiamma e la raccolse
come da foco suole esca vicina,
e disse verso lei, ch'audace e baldo
il fea de gli anni e de l'amore il caldo:
  35
- Donna, se pur tal nome a te conviensi,
ché non somigli tu cosa terrena,
né v'è figlia d'Adamo in cui dispensi
cotanto il Ciel di sua luce serena,
che da te si ricerca? ed onde viensi?
qual tua ventura o nostra or qui ti mena?
Fa' che sappia chi sei; fa' ch'io non erri
ne l'onorarti; e s'è ragion, m'atterri. -

Verg. Aen. 1.335:
Haud equidem tali me dignor honore
Petr. RVF 294.3-4:
or son fatto io per l'ultimo suo passo
non pur mortal, ma morto, et ella è diva.
36
Risponde: - Il tuo lodar troppo alto sale,
né tanto in suso il merto nostro arriva.
Cosa vedi, signor, non pur mortale,
ma già morta a i diletti, al duol sol viva
;
mia sciagura mi spinge in loco tale,
vergine peregrina e fuggitiva.
Ricovro al pio Goffredo, e in lui confido,
tal va di sua bontate intorno il grido.
  37
Tu l'adito m'impetra al capitano,
s'hai, come pare, alma cortese e pia. -
Ed egli: - È ben ragion ch'a l'un germano
l'altro ti guidi, e intercessor ti sia.
Vergine bella, non ricorri in vano,
non è vile appo lui la grazia mia;
spender tutto potrai, come t'aggrada,
ciò che vaglia il suo scettro o la mia spada. -







Petr. RVF 167.9:
Ma 'l suon che di dolcezza i sensi lega
38
Tace, e la guida ove tra i grandi eroi
allor dal vulgo il pio Buglion s'invola.
Essa inchinollo riverente, e poi
vergognosetta non facea parola.
Ma quei rossor, ma quei timori suoi
rassecura il guerriero e riconsola,
sì che i pensati inganni al fine spiega
in suon che di dolcezza i sensi lega.

Boiar. Innam. 1.24:

Ar. Fur. 38.12.2-8:
39
- Principe invitto, - disse - il cui gran nome
se 'n vola adorno di sì ricchi fregi
che l'esser da te vinte e in guerra dome
recansi a gloria le provincie e i regi,
noto per tutto è il tuo valor; e come
sin da i nemici avien che s'ami e pregi,
così anco i tuoi nemici affida, e invita
di ricercarti e d'impetrarne aita.
  40
Ed io, che nacqui in sì diversa fede
che tu abbassasti e ch'or d'opprimer tenti,
per te spero acquistar la nobil sede
e lo scettro regal de' miei parenti;
e s'altri aita a i suoi congiunti chiede
contro il furor de le straniere genti,
io, poi che 'n lor non ha pietà più loco,
contra il mio sangue il ferro ostile invoco.
  41
Io te chiamo, in te spero; e in quella altezza
puoi tu sol pormi onde sospinta io fui,
né la tua destra esser dèe meno avezza
di sollevar che d'atterrar altrui,
né meno il vanto di pietà si prezza
che 'l trionfar de gl'inimici sui;
e s'hai potuto a molti il regno tòrre,
fia gloria egual nel regno or me riporre.
  42
Ma se la nostra fé varia ti move
a disprezzar forse i miei preghi onesti,
la fé, c'ho certa in tua pietà, mi giove,
né dritto par ch'ella delusa resti.
Testimone è quel Dio ch'a tutti è Giove
ch'altrui più giusta aita unqua non dèsti.
Ma perché il tutto a pieno intenda, or odi
le mie sventure insieme e l'altrui frodi.
  43
Figlia i' son d'Arbilan, che 'l regno tenne
del bel Damasco e in minor sorte nacque,
ma la bella Cariclia in sposa ottenne,
cui farlo erede del suo imperio piacque.
Costei co 'l suo morir quasi prevenne
il nascer mio, ch'in tempo estinta giacque
ch'io fuori uscia de l'alvo; e fu il fatale
giorno ch'a lei diè morte, a me natale.
  44
Ma il primo lustro a pena era varcato
dal dì ch'ella spogliossi il mortal velo,
quando il mio genitor, cedendo al fato,
forse con lei si ricongiunse in Cielo,
di me cura lassando e de lo stato
al fratel, ch'egli amò con tanto zelo
che, se in petto mortal pietà risiede,
esser certo dovea de la sua fede.





Petr. RVF 102.9-11:
Et così aven che l'animo ciascuna
sua passïon sotto 'l contrario manto
ricopre co la vista or chiara or bruna
45
Preso dunque di me questi il governo,
vago d'ogni mio ben si mostrò tanto
che d'incorrotta fé, d'amor paterno
e d'immensa pietade ottenne il vanto,
o che 'l maligno suo pensiero interno
celasse allor sotto contrario manto,
o che sincere avesse ancor le voglie,
perch'al figliuol mi destinava in moglie.


Petr. RVF 360.134:
Quanto à del pellegrino e del gentile
46
Io crebbi, e crebbe il figlio; e mai né stile
di cavalier, né nobil arte apprese,
nulla di pellegrino o di gentile
gli piacque mai, né mai troppo alto intese;
sotto diforme aspetto animo vile,
e in cor superbo avare voglie accese:
ruvido in atti, ed in costumi è tale
ch'è sol ne' vizi a se medesmo eguale.
  47
Ora il mio buon custode ad uom sì degno
unirmi in matrimonio in sé prefisse,
e farlo del mio letto e del mio regno
consorte; e chiaro a me più volte il disse.
Usò la lingua e l'arte, usò l'ingegno
perché 'l bramato effetto indi seguisse,
ma promessa da me non trasse mai,
anzi ritrosa ognor tacqui o negai.
  48
Partissi alfin con un sembiante oscuro,
onde l'empio suo cor chiaro trasparve;
e ben l'istoria del mio mal futuro
leggergli scritta in fronte allor mi parve.
Quinci i notturni miei riposi furo
turbati ognor da strani sogni e larve,
ed un fatale orror ne l'alma impresso
m'era presagio de' miei danni espresso.

Verg. Aen. 1.353-359:
Petr. RVF 33.12:
quanto cangiata, oimè, da quel di pria!
49
Spesso l'ombra materna a me s'offria,
pallida imago e dolorosa in atto,
quanto diversa, oimè!, da quel che pria
visto altrove il suo volto avea ritratto!
« Fuggi, figlia, » dicea « morte sì ria
che ti sovrasta omai, pàrtiti ratto,
già veggio il tòsco e 'l ferro in tuo sol danno
apparecchiar dal perfido tiranno. »
  50
Ma che giovava, oimè!, che del periglio
vicino omai fosse presago il core,
s'irresoluta in ritrovar consiglio
la mia tenera età rendea il timore?
Prender fuggendo volontario essiglio,
e ignuda uscir del patrio regno fuore,
grave era sì ch'io fea minore stima
di chiuder gli occhi ove gli apersi in prima.
  51
Temea, lassa!, la morte, e non avea
(chi 'l crederia?) poi di fuggirla ardire;
e scoprir la mia tema anco temea,
per non affrettar l'ore al mio morire.
Così inquieta e torbida traea
la vita in un continuo martìre,
qual uom ch'aspetti che su 'l collo ignudo
ad or ad or gli caggia il ferro crudo.
  52
In tal mio stato, o fosse amica sorte
o ch'a peggio mi serbi il mio destino,
un de' ministri de la regia corte,
che 'l re mio padre s'allevò bambino,
mi scoperse che 'l tempo a la mia morte
dal tiranno prescritto era vicino,
e ch'egli a quel crudele avea promesso
di porgermi il venen quel giorno stesso.
  53
E mi soggiunse poi ch'a la mia vita,
sol fuggendo, allungar poteva il corso;
e poi ch'altronde io non sperava aita,
pronto offrì se medesmo al mio soccorso,
e confortando mi rendè sì ardita
che del timor non mi ritenne il morso,
sì ch'io non disponessi a l'aer cieco,
la patria e 'l zio fuggendo, andarne seco.




Lucan. Phars. 3.3-5:
omnis in Ionios spectabat navita fluctus: / solus ab Hesperia non flexit lumina terra / Magnus
54
Sorse la notte oltra l'usato oscura,
che sotto l'ombre amiche ne coperse,
onde con due donzelle uscii secura,
compagne elette a le fortune averse;
ma pure indietro a le mie patrie mura
le luci io rivolgea di pianto asperse,

né de la vista del natio terreno
potea, partendo, saziarle a pieno.
  55
Fea l'istesso camin l'occhio e 'l pensiero,
e mal suo grado il piede inanzi giva,
sì come nave ch'improviso e fero
turbine scioglia da l'amata riva.
La notte andammo e 'l dì seguente intero
per lochi ov'orma altrui non appariva;
ci ricovrammo in un castello al fine
che siede del mio regno in su 'l confine.
  56
È d'Aronte il castel, ch'Aronte fue
quel che mi trasse di periglio e scòrse.
Ma poiché me fuggito aver le sue
mortali insidie il traditor s'accorse,
acceso di furor contr'ambedue,
le sue colpe medesme in noi ritorse;
ed ambo fece rei di quell'eccesso
che commetter in me volse egli stesso.



Verg. Aen. 4.24-27:
sed mihi vel tellus optem prius ima dehiscat / vel pater omnipotens adigat me fulmine ad umbras, / pallentis umbras Erebo noctemque profundam, / ante, pudor, quam te violo aut tua iura resolvo.
57
Disse ch'Aronte i' avea con doni spinto
fra sue bevande a mescolar veneno
per non aver, poi ch'egli fosse estinto,
chi legge mi prescriva o tenga a freno;
e ch'io, seguendo un mio lascivo instinto,
volea raccòrmi a mille amanti in seno.
Ahi, che fiamma del cielo anzi in me scenda,
santa onestà, ch'io le tue leggi offenda!
  58
Ch'avara fame d'oro e sete insieme
del mio sangue innocente il crudo avesse,
grave m'è sì; ma via più il cor mi preme
che 'l mio candido onor macchiar volesse.
L'empio, che i popolari impeti teme,
così le sue menzogne adorna e tesse
che la città, del ver dubbia e sospesa,
sollevata non s'arma a mia difesa.
  59
Né, perch'or sieda nel mio seggio e 'n fronte
già gli risplenda la regal corona,
pone alcun fine a i miei gran danni, a l'onte,
sì la sua feritate oltra lo sprona.
Arder minaccia entro 'l castello Aronte,
se di proprio voler non s'imprigiona;
ed a me, lassa!, e 'nsieme a i miei consorti
guerra annunzia non pur, ma strazi e morti.
Petr. RVF 264.86-87:
Signor mio, ché non togli
omai dal volto mio questa vergogna?
Ar. Fur. 32.20.3:
o tornami nel grado onde m'hai tolto!
60
Ciò dice egli di far perché dal volto
così lavarsi la vergogna crede,
e ritornar nel grado, ond'io l'ho tolto,

l'onor del sangue e de la regia sede;
ma il timor n'è cagion che non ritolto
gli sia lo scettro ond'io son vera erede,
ché sol s'io caggio por fermo sostegno
con le ruine mie pote al suo regno.
  61
E ben quel fine avrà l'empio desire
che già il tiranno ha stabilito in mente,
e saran nel mio sangue estinte l'ire
che dal mio lagrimar non fiano spente,
se tu no 'l vieti. A te rifuggo, o sire,
io misera fanciulla, orba, innocente;
e questo pianto, ond'ho i tuoi piedi aspersi,
vagliami sì che 'l sangue io poi non versi.
  62
Per questi piedi ond'i superbi e gli empi
calchi, per questa man che 'l dritto aita,
per l'alte tue vittorie, e per que' tèmpi
sacri cui dèsti e cui dar cerchi aita,
il mio desir, tu che puoi solo, adempi
e in un co 'l regno a me serbi la vita
la tua pietà; ma pietà nulla giove,
s'anco te il dritto e la ragion non move.
  63
Tu, cui concesse il Cielo e dielti in fato
voler il giusto e poter ciò che vuoi,
a me salvar la vita, a te lo stato
(ché tuo fia s'io 'l ricovro) acquistar puoi.
Fra numero sì grande a me sia dato
diece condur de' tuoi più forti eroi,
ch'avendo i padri amici e 'l popol fido,
bastan questi a ripormi entro al mio nido.
  64
Anzi un de' primi, a la cui fé commessa
è la custodia di secreta porta,
promette aprirla e ne la reggia stessa
pòrci di notte tempo, e sol m'essorta
ch'io da te cerchi alcuna aita; e in essa,
per picciola che sia, si riconforta
più che s'altronde avesse un grande stuolo,
tanto l'insegne estima e 'l nome solo. -

Petr. RVF. 215.11:
et un atto che parla con silentio
65
Ciò detto, tace; e la risposta attende,
con atto che 'n silenzio ha voce e preghi.
Goffredo il dubbio cor volve e sospende
fra pensier vari, e non sa dove il pieghi.
Teme i barbari inganni, e ben comprende
che non è fede in uom ch'a Dio la neghi.
Ma d'altra parte in lui pietoso affetto
si desta, che non dorme in nobil petto.
  66
Né pur l'usata sua pietà natia
vuol che costei de la sua grazia degni,
ma il move util ancor, ch'util gli fia
che ne l'imperio di Damasco regni
chi da lui dipendendo apra la via
ed agevoli il corso a i suoi disegni,
e genti ed arme gli ministri ed oro
contra gli Egizi e chi sarà con loro.
Verg. Aen. 7.249-250:
Talibus Ilionei dictis defixa Latinus
obtutu tenet ora soloque immobilis haeret
67
Mentre ei così dubbioso a terra vòlto
lo sguardo tiene
, e 'l pensier volve e gira,
la donna in lui s'affisa, e dal suo volto
intenta pende e gli atti osserva e mira;
e perché tarda oltra 'l suo creder molto
la risposta, ne teme e ne sospira.
Quegli la chiesta grazia al fin negolle,
ma diè risposta assai cortese e molle:
  68
- S'in servigio di Dio, ch'a ciò n'elesse,
non s'impiegasser qui le nostre spade,
ben tua speme fondar potresti in esse
e soccorso trovar, non che pietade;
ma se queste sue greggie e queste oppresse
mura non torniam prima in libertade,
giusto non è, con iscemar le genti,
che di nostra vittoria il corso allenti.
  69
Ben ti prometto (e tu per nobil pegno
mia fé ne prendi, e vivi in lei secura)
che se mai sottrarremo al giogo indegno
queste sacre e dal Ciel dilette mura,
di ritornarti al tuo perduto regno,
come pietà n'essorta, avrem poi cura.
Or mi farebbe la pietà men pio,
s'anzi il suo dritto io non rendessi a Dio. -
  70
A quel parlar chinò la donna e fisse
le luci a terra, e stette immota alquanto;
poi sollevolle rugiadose e disse,
accompagnando i flebil atti al pianto:
- Misera! ed a qual altra il Ciel prescrisse
vita mai grave ed immutabil tanto,
che si cangia in altrui mente e natura
pria che si cangi in me sorte sì dura?
  71
Nulla speme più resta, in van mi doglio:
non han più forza in uman petto i preghi.
Forse lece sperar che 'l mio cordoglio,
che te non mosse, il reo tiranno pieghi?
Né già te d'inclemenza accusar voglio
perché 'l picciol soccorso a me si neghi,
ma il Cielo accuso, onde il mio mal discende,
che 'n te pietate innessorabil rende.


Petr. RVF 278.1:
Ne l'età sua più bella et più fiorita
Petr. RVF 315.1:
Tutta la mia fiorita et verde etade
Petr. RVF 336.3:
qual io la vidi in su l'età fiorita,
tutta accesa de' raggi di sua stella.
72
Non tu, signor, né tua bontade è tale,
ma 'l mio destino è che mi nega aita.
Crudo destino, empio destin fatale,
uccidi omai questa odiosa vita.
L'avermi priva, oimè!, fu picciol male
de' dolci padri in loro età fiorita,
se non mi vedi ancor, del regno priva,
qual vittima al coltello andar cattiva.


Verg. Aen. 2.69-70:
heu, quae nunc tellus, inquit, quae me aequora possunt / accipere? Aut quid iam misero mihi denique restat [...]?
73
Ché, poi che legge d'onestate e zelo
non vuol che qui sì lungamente indugi,
a cui ricovro intanto? ove mi celo?
o quai contra il tiranno avrò rifugi?
Nessun loco sì chiuso è sotto il cielo
ch'a l'òr non s'apra: or perché tanti indugi?
Veggio la morte, e se 'l fuggirla è vano,
incontro a lei n'andrò con questa mano. -





Petr. RVF 157.12-14:
perle et rose vermiglie, ove l'accolto
dolor formava ardenti voci et belle,
fiamma i sospir', le lagrime cristallo.
74
Qui tacque, e parve ch'un regale sdegno
e generoso l'accendesse in vista;
e 'l piè volgendo di partir fea segno,
tutta ne gli atti dispettosa e trista.
Il pianto si spargea senza ritegno,
com'ira suol produrlo a dolor mista,
e le nascenti lagrime a vederle
erano a i rai del sol cristallo e perle
.
  75
Le guancie asperse di que' vivi umori
che giù cadean sin de la veste al lembo,
parean vermigli insieme e bianchi fiori,
se pur gli irriga un rugiadoso nembo,
quando su l'apparir de' primi albori
spiegano a l'aure liete il chiuso grembo;
e l'alba, che li mira e se n'appaga,
d'adornarsene il crin diventa vaga.
  76
Ma il chiaro umor, che di sì spesse stille
le belle gote e 'l seno adorno rende,
opra effetto di foco, il qual in mille
petti serpe celato e vi s'apprende.
O miracol d'Amor, che le faville
tragge del pianto, e i cor ne l'acqua accende!
Sempre sovra natura egli ha possanza,
ma in virtù di costei se stesso avanza.




Verg. Aen. 4.366-367:
duris genuit te cautibus horrens / Caucasus Hyrcanaeque admorunt ubera tigres.
77
Questo finto dolor da molti elice
lagrime vere, e i cor più duri spetra.
Ciascun con lei s'affligge, e fra sé dice:
« Se mercé da Goffredo or non impetra,
ben fu rabbiosa tigre a lui nutrice,
e 'l produsse in aspr'alpe orrida pietra
o l'onda che nel mar si frange e spuma:
crudel, che tal beltà turba e consuma. »
  78
Ma il giovenetto Eustazio, in cui la face
di pietade e d'amore è più fervente,
mentre bisbiglia ciascun altro, e tace,
si tragge avanti e parla audacemente:
- O germano e signor, troppo tenace
del suo primo proposto è la tua mente,
s'al consenso comun, che brama e prega,
arrendevole alquanto or non si piega.
  79
Non dico io già che i principi, ch'a cura
si stanno qui de' popoli soggetti,
torcano il piè da l'oppugnate mura,
e sian gli uffici lor da lor negletti;
ma fra noi, che guerrier siam di ventura,
senz'alcun proprio peso e meno astretti
a le leggi de gli altri, elegger diece
difensori del giusto a te ben lece;
  80
ch'al servigio di Dio già non si toglie
l'uom ch'innocente vergine difende,
ed assai care al Ciel son quelle spoglie
che d'ucciso tiranno altri gli appende.
Quando dunque a l'impresa or non m'invoglie
quell'util certo che da lei s'attende,
mi ci move il dover, ch'a dar tenuto
è l'ordin nostro a le donzelle aiuto.
  81
Ah! non sia ver, per Dio, che si ridica
in Francia, o dove in pregio è cortesia,
che si fugga da noi rischio o fatica
per cagion così giusta e così pia.
Io per me qui depongo elmo e lorica,
qui mi scingo la spada, e più non fia
ch'adopri indegnamente arme o destriero,
o 'l nome usurpi mai di cavaliero. -

Verg. Aen. 1.559-560:
cuncti simul ore fremebant / Dardanidae
82
Così favella; e seco in chiaro suono
tutto l'ordine suo concorde freme,
e chiamando il consiglio utile e buono
co' preghi il capitan circonda e preme.
- Cedo, - egli disse allora - e vinto sono
al concorso di tanti uniti insieme;
abbia, se parvi, il chiesto don costei,
da i vostri sì, non da i consigli miei.
  83
Ma se Goffredo di credenza alquanto
pur trova in voi, temprate i vostri affetti. -
Tanto ei sol disse, e basta lor ben tanto
perché ciascun quel che concede accetti.
Or che non può di bella donna il pianto,
ed in lingua amorosa i dolci detti?
Esce da vaghe labra aurea catena
che l'alme a suo voler prende ed affrena.






Petr. RVF 126.38-39:
et faccia forza al cielo,
asciugandosi gli occhi col bel velo.
84
Eustazio lei richiama, e dice: - Omai
cessi, vaga donzella, il tuo dolore,
ché tal da noi soccorso in breve avrai
qual par che più 'l richieggia il tuo timore. -
Serenò allora i nubilosi rai
Armida, e sì ridente apparve fuore
ch'innamorò di sue bellezze il cielo
asciugandosi gli occhi co 'l bel velo
.
  85
Rendè lor poscia, in dolci e care note,
grazie per l'alte grazie a lei concesse,
mostrando che sariano al mondo note
mai sempre, e sempre nel suo core impresse;
e ciò che lingua esprimer ben non pote,
muta eloquenza ne' suoi gesti espresse,
e celò sì sotto mentito aspetto
il suo pensier ch'altrui non diè sospetto.
  86
Quinci vedendo che furtuna arriso
al gran principio di sue frodi avea,
prima che 'l suo pensier le sia preciso,
dispon di trarre al fin opra sì rea,
e far con gli atti dolci e co 'l bel viso
più che con l'arti lor Circe o Medea,
e in voce di sirena a i suoi concenti
addormentar le più svegliate menti.





Purg. 32.154-155:
Ma perché l'occhio cupido e vagante / a me rivolse
87
Usa ogn'arte la donna, onde sia colto
ne la sua rete alcun novello amante;
né con tutti, né sempre un stesso volto
serba, ma cangia a tempo atti e sembiante.
Or tien pudica il guardo in sé raccolto,
or lo rivolge cupido e vagante:
la sferza in quegli, il freno adopra in questi,
come lor vede in amar lenti o presti.
  88
Se scorge alcun che dal suo amor ritiri
l'alma, e i pensier per diffidenza affrene,
gli apre un benigno riso, e in dolci giri
volge le luci in lui liete e serene;
e così i pigri e timidi desiri
sprona, ed affida la dubbiosa spene,
ed infiammando l'amorose voglie
sgombra quel gel che la paura accoglie.
  89
Ad altri poi, ch'audace il segno varca
scòrto da cieco e temerario duce,
de' cari detti e de' begli occhi è parca,
e in lui timore e riverenza induce.
Ma fra lo sdegno, onde la fronte è carca,
pur anco un raggio di pietà riluce,
sì ch'altri teme ben, ma non dispera,
e più s'invoglia quanto appar più altera.
  90
Stassi tal volta ella in disparte alquanto
e 'l volto e gli atti suoi compone e finge
quasi dogliosa, e in fin su gli occhi il pianto
tragge sovente e poi dentro il respinge;
e con quest'arti a lagrimar intanto
seco mill'alme semplicette astringe,
e in foco di pietà strali d'amore
tempra, onde pèra a sì fort'arme il core.
  91
Poi, sì come ella a quei pensier s'invole
e novella speranza in lei si deste,
vèr gli amanti il piè drizza e le parole,
e di gioia la fronte adorna e veste;
e lampeggiar fa, quasi un doppio sole,
il chiaro sguardo e 'l bel riso celeste
su le nebbie del duolo oscure e folte,
ch'avea lor prima intorno al petto accolte.

Hor. Carm. 1.22.23-24: dulce ridentem Lalagen amabo, / dulce loquentem.
Petr. RVF 159.14:
et come dolce parla, et dolce ride.
Plaut. Cistellaria 1.69-70:
Namque ecastor Amor et melle et felle est fecundissimus; / gustui dat dulce, amarum ad satietatem usque oggerit
92
Ma mentre dolce parla e dolce ride,
e di doppia dolcezza inebria i sensi,
quasi dal petto lor l'alma divide,
non prima usata a quei diletti immensi.
Ahi crudo Amor, ch'egualmente n'ancide
l'assenzio e 'l mèl che tu fra noi dispensi,

e d'ogni tempo egualmente mortali
vengon da te le medicine e i mali!

Petr. RVF 152.1-4:
Questa humil fera, un cor di tigre o d'orsa,
che 'n vista humana e 'n forma d'angel vène,
in riso e 'n pianto, fra paura et spene
mi rota sì ch'ogni mio stato inforsa.
93
Fra sì contrarie tempre, in ghiaccio e in foco,
in riso e in pianto, e fra paura e spene,
inforsa ogni suo stato
, e di lor gioco
l'ingannatrice donna a prender viene;
e s'alcun mai con suon tremante e fioco
osa parlando d'accennar sue pene,
finge, quasi in amor rozza e inesperta,
non veder l'alma ne' suoi detti aperta.
Inf. 3.79-80:
Allor con li occhi vergognosi e bassi,
temendo no 'l mio dir li fosse grave
[...]
94
O pur le luci vergognose e chine
tenendo, d'onestà s'orna e colora,

sì che viene a celar le fresche brine
sotto le rose onde il bel viso infiora,
qual ne l'ore più fresche e matutine
del primo nascer suo veggiam l'aurora;
e 'l rossor de lo sdegno insieme n'esce
con la vergogna, e si confonde e mesce.
  95
Ma se prima ne gli atti ella s'accorge
d'uom che tenti scoprir l'accese voglie,
or gli s'invola e fugge, ed or gli porge
modo onde parli e in un tempo il ritoglie;
così il dì tutto in vano error lo scorge
stanco, e deluso poi di speme il toglie.
Ei si riman qual cacciator ch'a sera
perda al fin l'orma di seguita fèra.






Petr. RVF 27.14:
et per Jesù cingete ormai la spada.
96
Queste fur l'arti onde mill'alme e mille
prender furtivamente ella poteo,
anzi pur furon l'arme onde rapille
ed a forza d'Amor serve le feo.
Qual meraviglia or fia s'il fero Achille
d'Amor fu preda, ed Ercole e Teseo,
s'ancor chi per Giesù la spada cinge
l'empio ne' lacci suoi talora stringe?