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1
Mentre in tal guisa i cavalieri alletta
ne l'amor suo l'insidiosa Armida,
né solo i diece a lei promessi aspetta
ma di furto menarne altri confida,
volge tra sé Goffredo a cui commetta
la dubbia impresa ov'ella esser dée guida,
ché de gli aventurier la copia e 'l merto
e 'l desir di ciascuno il fanno incerto.
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2
Ma con provido aviso al fin dispone
ch'essi un di loro scelgano a sua voglia,
che succeda al magnanimo Dudone
e quella elezion sovra sé toglia.
Così non averrà ch'ei dia cagione
ad alcun d'essi che di lui si doglia,
e insieme mostrerà d'aver nel pregio,
in cui deve a ragion, lo stuolo egregio.
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Cic. Ad Att. 16.7:
nemo doctus umquam (multa autem de hoc genere scripta sunt) mutationem consili inconstantiam dixit esse.
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3
A sé dunque li chiama, e lor favella:
- Stata è da voi la mia sentenza udita,
ch'era non di negare a la donzella,
ma di darle in stagion matura aita.
Di novo or la propongo, e ben pote ella
esser dal parer vostro anco seguita,
ché nel mondo mutabile e leggiero
costanza è spesso il variar pensiero.
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4
Ma se stimate ancor che mal convegna
al vostro grado il rifiutar periglio,
e se pur generoso ardire sdegna
quel che troppo gli par cauto consiglio,
non sia ch'involontari io vi ritegna,
né quel che già vi diedi or mi ripiglio;
ma sia con esso voi, com'esser deve,
il fren del nostro imperio lento e leve.
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Bocc. Decam. 10.2.23:
da questa ora innanzi sia e l'andare e lo stare nel piacer vostro
Bocc. Decam. 1.7.26:
nel suo albitrio rimise l'andare e lo stare.
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5
Dunque lo starne o 'l girne i' son contento
che dal vostro piacer libero penda:
ben vuo' che pria facciate al duce spento
successor novo, e di voi cura ei prenda,
e tra voi scelga i diece a suo talento;
non già di diece il numero trascenda,
ch'in questo il sommo imperio a me riservo:
non fia l'arbitrio suo per altro servo. -
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6
Così disse Goffredo; e 'l suo germano,
consentendo ciascun, risposta diede:
- Sì come a te conviensi, o capitano,
questa lenta virtù che lunge vede,
così il vigor del core e de la mano,
quasi debito a noi, da noi si chiede.
E saria la matura tarditate,
ch'in altri è providenza, in voi viltate.
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7
E poi che 'l rischio è di sì leve danno
posto in lance co 'l pro che 'l contrapesa,
te permettente, i diece eletti andranno
con la donzella a l'onorata impresa. -
Così conclude, e con sì adorno inganno
cerca di ricoprir la mente accesa
sotto altro zelo; e gli altri anco d'onore
fingon desio quel ch'è desio d'amore.
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Verg. Aen. 5.344:
gratior et pulchro veniens in corpore virtus
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8
Ma il più giovin Buglione, il qual rimira
con geloso occhio il figlio di Sofia,
la cui virtute invidiando ammira
che 'n sì bel corpo più cara venia,
no 'l vorrebbe compagno, e al cor gli inspira
cauti pensier l'astuta gelosia,
onde, tratto il rivale a sé in disparte,
ragiona a lui con lusinghevol arte:
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9
- O di gran genitor maggior figliuolo,
che 'l sommo pregio in arme hai giovenetto,
or chi sarà del valoroso stuolo,
di cui parte noi siamo, in duce eletto?
Io, ch'a Dudon famoso a pena, e solo
per l'onor de l'età, vivea soggetto;
io, fratel di Goffredo, a chi più deggio
cedere omai? se tu non sei, no 'l veggio.
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10
Te, la cui nobiltà tutt'altre agguaglia,
gloria e merito d'opre a me prepone,
né sdegnerebbe in pregio di battaglia
minor chiamarsi anco il maggior Buglione.
Te dunque in duce bramo, ove non caglia
a te di questa sira esser campione,
né già cred'io che quell'onor tu curi
che da' fatti verrà notturni e scuri;
|
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11
né mancherà qui loco ove s'impieghi
con più lucida fama il tuo valore.
Or io procurerò, se tu no 'l neghi,
ch'a te concedan gli altri il sommo onore;
ma perché non so ben dove si pieghi
l'irresoluto mio dubbioso core,
impetro or io da te, ch'a voglia mia
o segua poscia Armida o teco stia. -
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12
Qui tacque Eustazio, e questi estremi accenti
non proferì senza arrossarsi in viso,
e i mal celati suoi pensier ardenti
l'altro ben vide, e mosse ad un sorriso;
ma perch'a lui colpi d'amor più lenti
non hanno il petto oltra la scorza inciso,
né molto impaziente è di rivale,
né la donzella di seguir gli cale.
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13
Ben altamente ha nel pensier tenace
l'acerba morte di Dudon scolpita,
e si reca a disnor ch'Argante audace
gli soprastia lunga stagion in vita;
e parte di sentir anco gli piace
quel parlar ch'al dovuto onor l'invita,
e 'l giovenetto cor s'appaga e gode
del dolce suon de la verace lode.
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Petr. Tr. Mort. 1.139-140:
Debito al mondo e debito a l'etate / cacciar me innanzi
Petr. RVF 252.9:
et per prender il ciel, debito a lui
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14
Onde così rispose: - I gradi primi
più meritar che conseguir desio,
né, pur che me la mia virtù sublimi,
di scettri altezza invidiar degg'io;
ma s'a l'onor mi chiami, e che lo stimi
debito a me, non ci verrò restio,
e caro esser mi dée che sia dimostro
sì bel segno da voi del valor nostro.
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Par. 7.13-14:
Ma quella reverenza che s'indonna
di tutto me
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15
Dunque io no 'l chiedo e no 'l rifiuto; e quando
duce io pur sia, sarai tu de gli eletti. -
Allora il lascia Eustazio, e va piegando
de' suoi compagni al suo voler gli affetti;
ma chiede a prova il principe Gernando
quel grado, e bench'Armida in lui saetti,
men può nel cor superbo amor di donna
ch'avidità d'onor che se n'indonna.
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16
Sceso Gernando è da' gran re norvegi,
che di molte provincie ebber l'impero;
e le tante corone e' scettri regi
e del padre e de gli avi il fanno altero.
Altero è l'altro de' suoi propri pregi,
più che de l'opre che i passati fèro,
ancor che gli avi suoi cento e più lustri
stati sian chiari in pace e 'n guerra illustri.
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17
Ma il barbaro signor, che sol misura
quanto l'oro o 'l domino oltre si stenda,
e per sé stima ogni virtute oscura
cui titolo regal chiara non renda,
non può soffrir che 'n ciò ch'egli procura
seco di merto il cavalier contenda,
e se ne cruccia sì ch'oltra ogni segno
di ragione il trasporta ira e disdegno.
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18
Tal che 'l maligno spirito d'Averno,
ch'in lui strada sì larga aprir si vede,
tacito in sen gli serpe ed al governo
de' suoi pensieri lusingando siede.
E qui più sempre l'ira e l'odio interno
inacerbisce, e 'l cor stimola e fiede;
e fa che 'n mezzo a l'alma ognor risuona
una voce ch'a lui così ragiona:
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19
« Teco giostra Rinaldo: or tanto vale
quel suo numero van d'antichi eroi?
Narri costui, ch'a te vuol farsi eguale,
le genti serve e i tributari suoi;
mostri gli scettri, e in dignità regale
paragoni i suoi morti a i vivi tuoi.
Ah quanto osa un signor d'indegno stato,
signor che ne la serva Italia è nato!
|
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20
Vinca egli o perda omai, ché vincitore
fu insino allor ch'emulo tuo divenne,
che dirà il mondo? (e ciò fia sommo onore):
" Questi già con Gernando in gara venne. "
Poteva a te recar gloria e splendore
il nobil grado che Dudon pria tenne;
ma già non meno esso da te n'attese:
costui scemò suo pregio allor che 'l chiese.
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Petr. RVF 28.91:
Pon' mente al temerario ardir di Xerse
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21
E se, poi ch'altri più non parla o spira,
de' nostri affari alcuna cosa sente,
come credi che 'n Ciel di nobil ira
il buon vecchio Dudon si mostri ardente,
mentre in questo superbo i lumi gira
ed al suo temerario ardir pon mente,
che seco ancor, l'età sprezzando e 'l merto,
fanciullo osa agguagliarsi ed inesperto?
|
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22
E l'osa pure e 'l tenta, e ne riporta
in vece di castigo onor e laude,
e v'è chi ne 'l consiglia e ne l'essorta
(o vergogna comune!) e chi gli applaude.
Ma se Goffredo il vede, e gli comporta
che di ciò ch'a te déssi egli ti fraude,
no 'l soffrir tu; né già soffrirlo déi,
ma ciò che puoi dimostra e ciò che sei. »
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Petr. RVF 344.13-14:
il duol ne l'alma accolto
per la lingua et per li occhi sfogo et verso.
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23
Al suon di queste voci arde lo sdegno
e cresce in lui quasi commossa face;
né capendo nel cor gonfiato e pregno,
per gli occhi n'esce e per la lingua audace.
Ciò che di riprensibile e d'indegno
crede in Rinaldo, a suo disnor non tace;
superbo e vano il finge, e 'l suo valore
chiama temerità pazza e furore.
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|
24
E quanto di magnanimo e d'altero
e d'eccelso e d'illustre in lui risplende,
tutto adombrando con mal arti il vero,
pur come vizio sia, biasma e riprende,
e ne ragiona sì che 'l cavaliero,
emulo suo, publico il suon n'intende;
non però sfoga l'ira o si raffrena
quel cieco impeto in lui ch'a morte il mena,
|
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25
ché 'l reo demon che la sua lingua move
di spirto in vece, e forma ogni suo detto,
fa che gl'ingiusti oltraggi ognor rinove,
esca aggiungendo a l'infiammato petto.
Loco è nel campo assai capace, dove
s'aduna sempre un bel drapello eletto,
e quivi insieme in torneamenti e in lotte
rendon le membra vigorose e dotte.
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26
Or quivi, allor che v'è turba più folta,
pur, com'è suo destin, Rinaldo accusa,
e quasi acuto strale in lui rivolta
la lingua, del venen d'Averno infusa;
e vicino è Rinaldo e i detti ascolta,
né pote l'ira omai tener più chiusa,
ma grida: - Menti, - e adosso a lui si spinge,
e nudo ne la destra il ferro stringe.
|
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27
Parve un tuono la voce, e 'l ferro un lampo
che di folgor cadente annunzio apporte.
Tremò colui, né vide fuga o scampo
da la presente irreparabil morte;
pur, tutto essendo testimonio il campo,
fa sembianti d'intrepido e di forte,
e 'l gran nemico attende, e 'l ferro tratto
fermo si reca di difesa in atto.
|
|
28
Quasi in quel punto mille spade ardenti
furon vedute fiammeggiar insieme,
ché varia turba di mal caute genti
d'ogn'intorno v'accorre, e s'urta e preme.
D'incerte voci e di confusi accenti
un suon per l'aria si raggira e freme,
qual s'ode in riva al mare, ove confonda
il vento i suoi co' mormorii de l'onda.
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Verg. Aen. 9.441-442:
ac rotat ensem / fulmineum
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29
Ma per le voci altrui già non s'allenta
ne l'offeso guerrier l'impeto e l'ira.
Sprezza i gridi e i ripari e ciò che tenta
chiudergli il varco, ed a vendetta aspira;
e fra gli uomini e l'armi oltre s'aventa,
e la fulminea spada in cerchio gira,
sì che le vie si sgombra e solo, ad onta
di mille difensor, Gernando affronta.
|
|
30
E con la man, ne l'ira anco maestra,
mille colpi vèr lui drizza e comparte:
or al petto, or al capo, or a la destra
tenta ferirlo, ora a la manca parte,
e impetuosa e rapida la destra
è in guisa tal che gli occhi inganna e l'arte,
tal ch'improvisa e inaspettata giunge
ove manco si teme, e fère e punge.
|
Verg. Aen. 2.532:
concidit ac multo vitam cum sanguine fudit
|
31
Né cessò mai sin che nel seno immersa
gli ebbe una volta e due la fera spada.
Cade il meschin su la ferita, e versa
gli spirti e l'alma fuor per doppia strada.
L'arme ripone ancor di sangue aspersa
il vincitor, né sovra lui più bada;
ma si rivolge altrove, e insieme spoglia
l'animo crudo e l'adirata voglia.
|
|
32
Tratto al tumulto il pio Goffredo intanto,
vede fero spettacolo improviso:
steso Gernando, il crin di sangue e 'l manto
sordido e molle, e pien di morte il viso;
ode i sospiri e le querele e 'l pianto
che molti fan sovra il guerrier ucciso.
Stupido chiede: - Or qui, dove men lece,
chi fu ch'ardì cotanto e tanto fece? -
|
|
33
Arnalto, un de' più cari al prence estinto,
narra (e 'l caso in narrando aggrava molto)
che Rinaldo l'uccise e che fu spinto
da leggiera cagion d'impeto stolto,
e che quel ferro, che per Cristo è cinto,
ne' campioni di Cristo avea rivolto,
e sprezzato il suo impero e quel divieto
che fe' pur dianzi e che non è secreto;
|
|
34
e che per legge è reo di morte e deve,
come l'editto impone, esser punito,
sì perché il fallo in se medesmo è greve,
sì perché 'n loco tale egli è seguito;
che se de l'error suo perdon riceve,
fia ciascun altro per l'essempio ardito,
e che gli offesi poi quella vendetta
vorranno far ch'a i giudici s'aspetta;
|
|
35
onde per tal cagion discordie e risse
germoglieran fra quella parte e questa.
Rammentò i merti de l'estinto, e disse
tutto ciò ch'o pietate o sdegno desta.
Ma s'oppose Tancredi e contradisse,
e la causa del reo dipinse onesta.
Goffredo ascolta, e in rigida sembianza
porge più di timor che di speranza.
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|
36
Soggiunse allor Tancredi: - Or ti sovegna,
saggio signor, chi sia Rinaldo e quale:
qual per se stesso onor gli si convegna,
e per la stirpe sua chiara e regale,
e per Guelfo suo zio. Non dée chi regna
nel castigo con tutti esser eguale:
vario è l'istesso error ne' gradi vari,
e sol l'egualità giusta è co' pari. -
|
|
37
Risponde il capitan: - Da i più sublimi
ad ubidire imparino i più bassi.
Mal, Tancredi, consigli e male stimi
se vuoi ch'i grandi in sua licenza io lassi.
Qual fòra imperio il mio s'a vili ed imi,
sol duce de la plebe, io commandassi?
Scettro impotente e vergognoso impero:
se con tal legge è dato, io più no 'l chero.
|
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38
Ma libero fu dato e venerando,
né vuo' ch'alcun d'autorità lo scemi.
E so ben io come si deggia e quando
ora diverse impor le pene e i premi,
ora, tenor d'egualità serbando,
non separar da gli infimi i supremi. -
Così dicea; né rispondea colui,
vinto da riverenza, a i detti sui.
|
Cic. De Off. 1.88:
ut adhibeatur rei publicae causa severitas, sine qua administrari civitas non potest.
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39
Raimondo, imitator de la severa
rigida antichità, lodava i detti.
- Con quest'arti - dicea - chi bene impera
si rende venerabile a i soggetti,
ché già non è la disciplina intera
ov'uom perdono e non castigo aspetti.
Cade ogni regno, e ruinosa è senza
la base del timor ogni clemenza. -
|
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40
Tal ei parlava, e le parole accolse
Tancredi, e più fra lor non si ritenne,
ma vèr Rinaldo immantinente volse
un suo destrier che parve aver le penne.
Rinaldo, poi ch'al fer nemico tolse
l'orgoglio e l'alma, al padiglion se 'n venne.
Qui Tancredi trovollo, e de le cose
dette e risposte a pien la somma espose.
|
|
41
Soggiunse poi: - Bench'io sembianza esterna
del cor non stimi testimon verace,
ché 'n parte troppo cupa e troppo interna
il pensier de' mortali occulto giace,
pur ardisco affermar, a quel ch'io scerna
nel capitan ch'in tutto anco no 'l tace,
ch'egli ti voglia a l'obligo soggetto
de' rei comune e in suo poter ristretto. -
|
|
42
Sorrise allor Rinaldo, e con un volto
in cui tra 'l riso lampeggiò lo sdegno:
- Difenda sua ragion ne' ceppi involto
chi servo è - disse - o d'esser servo è degno.
Libero i' nacqui e vissi, e morrò sciolto
pria che man porga o piede a laccio indegno:
usa a la spada è questa destra ed usa
a le palme, e vil nodo ella ricusa.
|
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43
Ma s'a i meriti miei questa mercede
Goffredo rende e vuol impregionarme
pur com'io fosse un uom del vulgo, e crede
a carcere plebeo legato trarme,
venga egli o mandi, io terrò fermo il piede.
Giudici fian tra noi la sorte e l'arme:
fera tragedia vuol che s'appresenti
per lor diporto a le nemiche genti. -
|
Hom. Il. 7.249-256:
Ar. Fur. 17.11.1-2:
Sta sulla porta il re d'Algier, lucente
di chiaro acciar che 'l capo gli arma e 'l busto
Ar. Fur. 26.20.7-8:
e talor si credea che fosse Marte
sceso dal quinto cielo in quella parte.
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44
Ciò detto, l'armi chiede; e 'l capo e 'l busto
di finissimo acciaio adorno rende
e fa del grande scudo il braccio onusto,
e la fatale spada al fianco appende,
e in sembiante magnanimo ed augusto,
come folgore suol, ne l'arme splende.
Marte, e' rassembra te qualor dal quinto
cielo di ferro scendi e d'orror cinto.
|
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45
Tancredi intanto i feri spirti e 'l core
insuperbito d'ammollir procura.
- Giovene invitto, - dice - al tuo valore
so che fia piana ogn'erta impresa e dura,
so che fra l'arme sempre e fra 'l terrore
la tua eccelsa virtute è più secura;
ma non consenta Dio ch'ella si mostri
oggi sì crudelmente a' danni nostri.
|
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46
Dimmi, che pensi far? vorrai le mani
del civil sangue tuo dunque bruttarte?
e con le piaghe indegne de' cristiani
trafigger Cristo, ond'ei son membra e parte?
Di transitorio onor rispetti vani,
che qual onda del mar se 'n viene e parte,
potranno in te più che la fede e 'l zelo
di quella gloria che n'eterna in Cielo?
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Gugl.Tir. Hist. 3.24:
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47
Ah non, per Dio!, vinci te stesso e spoglia
questa feroce tua mente superba.
Cedi! non fia timor, ma santa voglia,
ch'a questo ceder tuo palma si serba.
E se pur degna ond'altri essempio toglia
è la mia giovenetta etate acerba,
anch'io fui provocato, e pur non venni
co' fedeli in contesa e mi contenni;
|
Gugl.Tir. Hist. 10.10:
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48
ch'avend'io preso di Cilicia il regno,
e l'insegne spiegatevi di Cristo,
Baldovin sopragiunse, e con indegno
modo occupollo e ne fe' vile acquisto;
ché, mostrandosi amico ad ogni segno,
del suo avaro pensier non m'era avisto.
Ma con l'arme però di ricovrarlo
non tentai poscia, e forse i' potea farlo.
|
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49
E se pur anco la prigion ricusi
e i lacci schivi, quasi ignobil pondo,
e seguir vuoi l'opinioni e gli usi
che per leggi d'onore approva il mondo,
lascia qui me ch'al capitan ti scusi,
e 'n Antiochia tu vanne a Boemondo,
ché né soppòrti in questo impeto primo
a' suoi giudizi assai securo stimo.
|
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50
Ben tosto fia, se pur qui contra avremo
l'arme d'Egitto o d'altro stuol pagano,
ch'assai più chiaro il tuo valore estremo
n'apparirà mentre sarai lontano;
e senza te parranne il campo scemo,
quasi corpo cui tronco è braccio o mano. -
Qui Guelfo sopragiunge e i detti approva,
e vuol che senza indugio indi si mova.
|
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51
A i lor consigli la sdegnosa mente
de l'audace garzon si svolge e piega,
tal ch'egli di partirsi immantinente
fuor di quell'oste a i fidi suoi non nega.
Molta intanto è concorsa amica gente,
e seco andarne ognun procura e prega;
egli tutti ringrazia e seco prende
sol duo scudieri, e su 'l cavallo ascende.
|
|
52
Parte, e porta un desio d'eterna ed alma
gloria ch'a nobil core è sferza e sprone;
a magnanime imprese intent'ha l'alma,
ed insolite cose oprar dispone:
gir fra i nemici, ivi o cipresso o palma
acquistar per la fede ond'è campione,
scorrer l'Egitto, e penetrar sin dove
fuor d'incognito fonte il Nilo move.
|
|
53
Ma Guelfo, poi che 'l giovene feroce
affrettato al partir preso ha congedo,
quivi non bada, e se ne va veloce
ove egli stima ritrovar Goffredo,
il qual, come lui vede, alza la voce:
- Guelfo, - dicendo - a punto or te richiedo,
e mandato ho pur ora in varie parti
alcun de' nostri araldi a ricercarti. -
|
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54
Poi fa ritrarre ogn'altro, e in basse note
ricomincia con lui grave sermone:
- Veracemente, o Guelfo, il tuo nepote
troppo trascorre, ov'ira il cor gli sprone,
e male addursi a mia credenza or pote
di questo fatto suo giusta cagione.
Ben caro avrò ch'ella ci rechi tale,
ma Goffredo con tutti è duce eguale;
|
|
55
e sarà del legitimo e del dritto
custode in ogni caso e difensore,
serbando sempre al giudicare invitto
da le tiranne passioni il core.
Or se Rinaldo a violar l'editto
e de la disciplina il sacro onore
costretto fu, come alcun dice, a i nostri
giudizi venga ad inchinarsi, e 'l mostri.
|
|
56
A sua retenzion libero vegna:
questo, ch'io posso, a i merti suoi consento.
Ma s'egli sta ritroso e se ne sdegna
(conosco quel suo indomito ardimento),
tu di condurlo a proveder t'ingegna
ch'ei non isforzi uom mansueto e lento
ad esser de le leggi e de l'impero
vendicator, quanto è ragion, severo. -
|
|
57
Così disse egli; e Guelfo a lui rispose;
- Anima non potea d'infamia schiva
voci sentir di scorno ingiuriose,
e non farne repulsa ove l'udiva.
E se l'oltraggiatore a morte ei pose,
chi è che meta a giust'ira prescriva?
chi conta i colpi o la dovuta offesa,
mentre arde la tenzon, misura e pesa?
|
|
58
Ma quel che chiedi tu, ch'al tuo soprano
arbitrio il garzon venga a sottoporse,
duolmi ch'esser non può, ch'egli lontano
da l'oste immantinente il passo torse.
Ben m'offro io di provar con questa mano
a lui ch'a torto in falsa accusa il morse,
o s'altri v'è di sì maligno dente,
ch'ei punì l'onta ingiusta giustamente.
|
|
59
A ragion, dico, al tumido Gernando
fiaccò le corna del superbo orgoglio.
Sol, s'egli errò, fu ne l'oblio del bando;
ciò ben mi pesa, ed a lodar no 'l toglio. -
Tacque, e disse Goffredo: - Or vada errando,
e porti risse altrove; io qui non voglio
che sparga seme tu di nove liti:
deh, per Dio, sian gli sdegni anco forniti. -
|
|
60
Di procurare il suo soccorso intanto
non cessò mai l'ingannatrice rea.
Pregava il giorno, e ponea in uso quanto
l'arte e l'ingegno e la beltà potea;
ma poi, quando stendendo il fosco manto
la notte in occidente il dì chiudea,
tra duo suoi cavalieri e due matrone
ricovrava in disparte al padiglione.
|
Inf. 5.104:
mi prese del costui piacer sì forte
|
61
Ma benché sia mastra d'inganni, e i suoi
modi gentili e le maniere accorte,
e bella sì che 'l ciel prima né poi
altrui non diè maggior bellezza in sorte,
tal che del campo i più famosi eroi
ha presi d'un piacer tenace e forte;
non è però ch'a l'esca de' diletti
il pio Goffredo lusingando alletti.
|
Petr. RVF 80.8:
entrando a l'amorosa vita
Petr. RVF 25.27:
Et se tornando a l'amorosa vita
Petr. RVF 360.26-27:
con sua falsa dolcezza,
la qual m'attrasse a l'amorosa schiera!
|
62
In van cerca invaghirlo, e con mortali
dolcezze attrarlo a l'amorosa vita,
ché qual saturo augel, che non si cali
ove il cibo mostrando altri l'invita,
tal ei sazio del mondo i piacer frali
sprezza, e se 'n poggia al Ciel per via romita,
e quante insidie al suo bel volo tende
l'infido amor, tutte fallaci rende.
|
|
63
Né impedimento alcun torcer da l'orme
pote, che Dio ne segna, i pensier santi.
Tentò ella mill'arti, e in mille forme
quasi Proteo novel gli apparse inanti,
e desto Amor, dove più freddo ei dorme,
avrian gli atti dolcissimi e i sembianti,
ma qui (grazie divine) ogni sua prova
vana riesce, e ritentar non giova.
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Ar. Fur. 34.15.7-8:
quantunque il fasto o l'alterezza nacque
da la beltà ch'a tutti gli occhi piacque.
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64
La bella donna, ch'ogni cor più casto
arder credeva ad un girar di ciglia,
oh come perde or l'alterezza e 'l fasto!
e quale ha di ciò sdegno e meraviglia!
Rivolger le sue forze ove contrasto
men duro trovi al fin si riconsiglia,
qual capitan ch'inespugnabil terra
stanco abbandoni, e porti altrove guerra.
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65
Ma contra l'arme di costei non meno
si mostrò di Tancredi invitto il core,
però ch'altro desio gli ingombra il seno,
né vi può loco aver novello ardore;
ché si come da l'un l'altro veneno
guardar ne suol, tal l'un da l'altro amore.
Questi soli non vinse: o molto o poco
avampò ciascun altro al suo bel foco.
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66
Ella, se ben si duol che non succeda
sì pienamente il suo disegno e l'arte,
pur fatto avendo così nobil preda
di tanti eroi, si riconsola in parte.
E pria che di sue frodi altri s'aveda,
pensa condurgli in più secura parte,
ove gli stringa poi d'altre catene
che non son quelle ond'or presi li tiene.
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67
E sendo giunto il termine che fisse
il capitano a darle alcun soccorso,
a lui se 'n venne riverente e disse:
- Sire, il dì stabilito è già trascorso,
e se per sorte il reo tiranno udisse
ch'i' abbia fatto a l'arme tue ricorso,
prepareria sue forze a la difesa,
né così agevol poi fòra l'impresa.
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68
Dunque, prima ch'a lui tal nova apporti
voce incerta di fama o certa spia,
scelga la tua pietà fra i tuoi più forti
alcuni pochi, e meco or or gli invia,
ché se non mira il Ciel con occhi torti
l'opre mortali o l'innocenza oblia,
sarò riposta in regno, e la mia terra
sempre avrai tributaria in pace e in guerra. -
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69
Così diceva, e 'l capitano a i detti
quel che negar non si potea concede,
se ben, ov'ella il suo partir affretti,
in sé tornar l'elezion ne vede;
ma nel numero ognun de' diece eletti
con insolita instanza esser richiede,
e l'emulazion che 'n lor si desta
più importuni li fa ne la richiesta.
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70
Ella, che 'n essi mira aperto il core,
prende vedendo ciò novo argomento,
e su 'l lor fianco adopra il rio timore
di gelosia per ferza e per tormento;
sapendo ben ch'al fin s'invecchia Amore
senza quest'arti e divien pigro e lento,
quasi destrier che men veloce corra
se non ha chi lui segua e chi 'l precorra.
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71
E in tal modo comparte i detti sui
e 'l guardo lusinghiero e 'l dolce riso,
ch'alcun non è che non invidii altrui,
né il timor de la speme è in lor diviso.
La folle turba de gli amanti, a cui
stimolo è l'arte d'un fallace viso,
senza fren corre, e non li tien vergogna,
e loro indarno il capitan rampogna.
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72
Ei ch'egualmente satisfar desira
ciascuna de le parti e in nulla pende,
se ben alquanto or di vergogna or d'ira
al vaneggiar de' cavalier s'accende,
poi ch'ostinati in quel desio li mira,
novo consiglio in accordarli prende:
- Scrivansi i vostri nomi ed in un vaso
pongansi, - disse - e sia giudice il caso. -
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73
Subito il nome di ciascun si scrisse,
e in picciol'urna posti e scossi foro,
e tratti a sorte; e 'l primo che n'uscisse
fu il conte di Pembrozia Artemidoro.
Legger poi di Gherardo il nome udisse,
ed uscì Vincilao dopo costoro:
Vincilao che, sì grave e saggio inante,
canuto or pargoleggia e vecchio amante.
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74
Oh come il volto han lieto, e gli occhi pregni
di quel piacer che dal cor pieno inonda,
questi tre primi eletti, i cui disegni
la fortuna in amor destra seconda!
D'incerto cor, di gelosia dan segni
gli altri il cui nome avien che l'urna asconda,
e da la bocca pendon di colui
che spiega i brevi e legge i nomi altrui.
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75
Guasco quarto fuor venne, a cui successe
Ridolfo ed a Ridolfo indi Olderico,
quinci Guglielmo Ronciglion si lesse,
e 'l bavaro Eberardo, e 'l franco Enrico.
Rambaldo ultimo fu, che farsi elesse
poi, fé cangiando, di Giesù nemico
(tanto pote Amor dunque?); e questi chiuse
il numero de' diece, e gli altri escluse.
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Petr. Tr. Cupid. 3.105:
d'amor, di gelosia, d'invidia ardendo
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76
D'ira, di gelosia, d'invidia ardenti,
chiaman gli altri Fortuna ingiusta e ria,
a te accusano, Amor, che le consenti,
che ne l'imperio tuo giudice sia.
Ma perché instinto è de l'umane genti
che ciò che più si vieta uom più desia,
dispongon molti ad onta di fortuna
seguir la donna come il ciel s'imbruna.
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Petr. RVF 22.21:
Come costei ch'i' piango a l'ombra e al sole
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77
Voglion sempre seguirla a l'ombra al sole,
e per lei combattendo espor la vita.
Ella fanne alcun motto, e con parole
tronche e dolci sospir a ciò gli invita,
ed or con questo ed or con quel si duole
che far convienle senza lui partita.
S'erano armati intanto, e da Goffredo
toglieano i diece cavalier congedo.
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78
Gli ammonisce quel saggio a parte a parte
come la fé pagana è incerta e leve,
e mal securo pegno; e con qual arte
l'insidie e i casi aversi uom fuggir deve;
ma son le sue parole al vento sparte,
né consiglio d'uom sano Amor riceve.
Lor dà commiato al fine, e la donzella
non aspetta al partir l'alba novella.
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Ov. Fasti 4.661-662:
interea placidam redimita papavere frontem /
Nox venit, et secum somnia nigra trahit;
Casa Rime 54:
Petr. RVF 73.53:
come Amor m'informa
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79
Parte la vincitrice, e quei rivali
quasi prigioni al suo trionfo inanti
seco n'adduce, e tra infiniti mali
lascia la turba poi de gli altri amanti.
Ma come uscì la notte, e sotto l'ali
menò il silenzio e i levi sogni erranti,
secretamente, com'Amor gl'informa,
molti d'Armida seguitaron l'orma.
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80
Segue Eustazio il primiero, e pote a pena
aspettar l'ombre che la notte adduce;
vassene frettoloso ove ne 'l mena
per le tenebre cieche un cieco duce.
Errò la notte tepida e serena;
ma poi ne l'apparir de l'alma luce
gli apparse insieme Armida e 'l suo drapello,
dove un borgo lor fu notturno ostello.
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81
Ratto ei vèr lei si move, ed a l'insegna
tosto Rambaldo il riconosce, e grida
che ricerchi fra loro e perché vegna.
- Vengo - risponde - a seguitarne Armida,
ned ella avrà da me, se non la sdegna,
men pronta aita o servitù men fida. -
Replica l'altro: - Ed a cotanto onore,
di', chi t'elesse? - Egli soggiunge: - Amore.
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82
Me scelse Amor, te la Fortuna: or quale
da più giusto elettore eletto parti? -
Dice Rambaldo allor: - Nulla ti vale
titolo falso, ed usi inutil arti;
né potrai de la vergine regale
fra i campioni legitimi meschiarti,
illegitimo servo. - E chi - riprende
cruccioso il giovenetto - a me il contende?
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83
- Io te 'l difenderò - colui rispose,
e feglisi a l'incontro in questo dire,
e con voglie egualmente in lui sdegnose
l'altro si mosse e con eguale ardire;
ma qui stese la mano, e si frapose
la tiranna de l'alme in mezzo a l'ire,
ed a l'uno dicea: - Deh! non t'incresca
ch'a te compagno, a me campion s'accresca.
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84
S'ami che salva i' sia, perché mi privi
in sì grand'uopo de la nova aita? -
Dice a l'altro: - Opportuno e grato arrivi
difensor di mia fama e di mia vita;
né vuol ragion, né sarà mai ch'io schivi
compagnia nobil tanto e sì gradita. -
Così parlando, ad or ad or tra via
alcun novo campion le sorvenia.
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85
Chi di là giunge e chi di qua, né l'uno
sapea de l'altro, e il mira bieco e torto.
Essa lieta gli accoglie, ed a ciascuno
mostra del suo venir gioia e conforto.
Ma già ne lo schiarir de l'aer bruno
s'era del lor partir Goffredo accorto,
e la mente, indovina de' lor danni,
d'alcun futuro mal par che s'affanni.
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86
Mentre a ciò pur ripensa, un messo appare
polveroso, anelante, in vista afflitto,
in atto d'uom ch'altrui novelle amare
porti, e mostri il dolore in fronte scritto.
Disse costui: - Signor, tosto nel mare
la grande armata apparirà d'Egitto;
e l'aviso Guglielmo, il qual comanda
a i liguri navigli, a te ne manda. -
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87
Soggiunse a questo poi che, da le navi
sendo condotta vettovaglia al campo,
i cavalli e i cameli onusti e gravi
trovato aveano a mezza strada inciampo,
e ch'i lor difensori uccisi o schiavi
restàr pugnando, e nessun fece scampo,
da i ladroni d'Arabia in una valle
assaliti a la fronte ed a le spalle;
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88
e che l'insano ardire e la licenza
di que' barbari erranti è omai sì grande
ch'in guisa d'un diluvio intorno senza
alcun contrasto si dilata e spande,
onde convien ch'a porre in lor temenza
alcuna squadra di guerrier si mande,
ch'assecuri la via che da l'arene
del mar di Palestina al campo viene.
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89
D'una in un'altra lingua in un momento
ne trapassa la fama e si distende,
e 'l vulgo de' soldati alto spavento
ha de la fame che vicina attende.
Il saggio capitan, che l'ardimento
solito loro in essi or non comprende,
cerca con lieto volto e con parole
come li rassecuri e riconsole:
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Verg. Aen. 6.83
o tandem magnis pelagi defuncte periclis
Verg. Aen. 1.195-209:
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90
- O per mille perigli e mille affanni
meco passati in quelle parti e in queste,
campion di Dio, ch'a ristorare i danni
de la cristiana sua fede nasceste;
voi, che l'arme di Persia e i greci inganni,
e i monti e i mari e 'l verno e le tempeste,
de la fame i disagi e de la sete
superaste, voi dunque ora temete?
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91
Dunque il Signor che v'indirizza e move,
già conosciuto in caso assai più rio,
non v'assecura, quasi or volga altrove
la man de la clemenza e 'l guardo pio?
Tosto un dì fia che rimembrar vi giove
gli scorsi affanni, e sciòrre i voti a Dio.
Or durate magnanimi, e voi stessi
serbate, prego, a i prosperi successi. -
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92
Con questi detti le smarrite menti
consola e con sereno e lieto aspetto,
ma preme mille cure egre e dolenti
altamente riposte in mezzo al petto.
Come possa nutrir sì varie genti
pensa fra la penuria e tra 'l difetto,
come a l'armata in mar s'opponga, e come
gli Arabi predatori affreni e dome.
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