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TESTI TOPOGRAFIA XXV [I xxv] 1 6-8: ma voi ch'avete gl'intelletti sani, mirate la dottrina che s'asconde sotto queste coperte alte e profonde DANTE Inf. IX 61-63: O voi ch'avete li 'ntelletti sani, mirate la dottrina che s'asconde sotto 'l velame de li versi strani. XXV [I xxv] 6: E così qui non vi fermate in queste scorze di fuor, ma passate più innanzi; ché s'esserci altro sotto non credeste, per Dio, areste fatto pochi avanzi, e di tenerle ben ragione areste sogni d'infermi e fole di romanzi PETRARCA T.C. IV 65-66: Ben è il viver mortal, che sì n'aggrada, sogno d'infermi e fola di romanzi. XXVII [I xxvii] 8: Chi vide irati mai dui can valenti Per cibo, o per amore, o altra gara, Mostrar col grifo aperto i bianchi denti, E far la voce onde l'erre s'impara; E guardarsi con gli occhi fieri e lenti, Col pel levato, e la lana erta e rara; E poi saltarsi alla pelle alla fine, E farsi le pellicce e le schiavine [...] ARIOSTO Fur. II 5: Come soglion talor duo can mordenti, o per invidia o per altro odio mossi, avicinarsi digrignando i denti, con occhi bieci e più che bracia rossi; indi a' morsi venir, di rabbia ardenti, con aspri ringhi e ribuffati dossi: così alle spade e dai gridi e da l'onte venne il Circasso e quel di Chiaramonte. XXX [II i] 2-3: 2 Madre santa d'Enea, figlia di Giove, Degli uomini piacere e degli Dei, Venere bella, che fai l'erbe nuove E le piante, e del mondo vita sei; Da te negli animal virtù si muove, Virtù che nulla foran senza lei; Vincol, pace, piacer, gioia del mondo, Spirto, foco vital, lume giocondo. 3 Fugge all'apparir tuo la pioggia e 'l vento; Zefiro apre la terra e la riveste, E gli uccelletti fan dolce concento; Saltan gli armenti lieti e fanno feste, E da strano piacer commosse drento Van le fiere in amor per le foreste; Lasciata l'ira e la discordia ria, Fanno dolce amicizia e compagnia. LUCRET. De rer. nat. I 1-20: Aeneadum genetrix, hominum divumque voluptas, alma Venus, caeli subter labentia signa quae mare navigerum, quae terras frugiferentis concelebras, per te quoniam genus omne animantum concipitur visitque exortum lumina solis: te, dea, te fugiunt venti, te nubila caeli adventumque tuum, tibi suavis daedala tellus summittit flores, tibi rident aequora ponti placatumque nitet diffuso lumine caelum. Nam simul ac species patefactast verna diei et reserata viget genitabilis aura favoni, aeriae primum volucres te, diva, tuumque significat initum perculsae corda tua vi. Inde ferae pecudes persultant pabula laeta et rapidos tranant amnis: ita capta lepore te sequitur cupide quo quamque inducere pergis. Denique per maria ac montis fluviosque rapaces frondiferasque domos avium camposque virentis omnibus incutiens blandum per pectora amorem efficis ut cupide generatim saecla propagent. XLIII [II xiv] 13: Qual sotto l'ombra d'un olmo o d'un faggio Piagne i perduti figli Filomena, Che l'ha, appostando, l'arator selvaggio Tolti del nido, essendo nati a pena; Ella, mentre che lûce il solar raggio, E la notte da poi, l'aria serena, Chiamando il rubator duro e crudele, Empie di soavissime querele. VERG. Georg. IV 511-515: qualis populea maerens Philomela sub umbra amissos queritur fetus, quos durus arator observans nido inplumis detraxit; at illa flet noctem ramoque sedens miserabile carmen integrat et maestis late loca questibus inplet. LXIV [III iv] 1-3: 1 Rovere dura e di tre doppi rame Intorno al petto ebbe quel primo il quale Dell'oro vinto dall'ingorda fame Commise al mare orrendo il legno frale; Né teme il tempestoso Africo infame, Che combatte con Borea; né so quale Grado di morte temesse quel stolto Che vide il mar gonfiato e vi fu còlto. 2 Iddio prudente adunque tagliò in vano L'una terra dall'altra, e le divise Col largo impraticabile Oceano; Da poi che l'empie navi in tante guise Fatte; il prosuntuoso seme umano Quasi contra sua voglia entro vi mise: Seme prosuntuoso, che a' peccati Corre sempre, che più gli son vietati. 3 Omai non è difficile a' mortali Più cosa alcuna: insin al cielo andiamo Con la stoltizia, tanto grandi ha l'ali, Tanto con la superbia alto voliamo: Né medïante gli empi nostri mali Por le saette a Giove giù lasciamo; Ognor l'ira del ciel chiamiamo in terra La fame a darci, e la peste e la guerra. HORAT. Carm. I iii 8-40: Illi robur et aes triplex circa pectus erat, qui fragilem truci commisit pelago ratem primus, nec timuit praecipitem Africum decertantem Aquilonibus, nec tristis Hyadas, nec rabiem Noti, quo non arbiter Hadriae maior, tollere seu ponere volt freta. Quem mortis timuit gradum qui siccis oculis monstra natantia, qui vidit mare turbidum et infamis scopulis Acroceraunia? Nequiquam deus abscidit prudens Oceano dissociabili terras, si tamen impiae non tangenda rates transiliunt vada. Audax omnia perpeti gens humana ruit per vetitum nefas: audax Iapeti genus ignem fraude mala gentibus intulit; post ignem aetheria domo subductum macies et nova febrium terris incubuit cohors semotique prius tarda necessitas leti corripuit gradum. Expertus vacuum Daedalus aera pennis non homini datis; perrupit Acheronta Hercules labor. Nil mortalibus ardui est; caelum ipsum petimus stultitia neque per nostrum patimur scelus iracunda Iovem ponere fulmina. AUTORI ARIOSTO ARIOSTO Fur. II 5: Come soglion talor duo can mordenti, o per invidia o per altro odio mossi, avicinarsi digrignando i denti, con occhi bieci e più che bracia rossi; indi a' morsi venir, di rabbia ardenti, con aspri ringhi e ribuffati dossi: così alle spade e dai gridi e da l'onte venne il Circasso e quel di Chiaramonte. XXVII [I xxvii] 8: Chi vide irati mai dui can valenti Per cibo, o per amore, o altra gara, Mostrar col grifo aperto i bianchi denti, E far la voce onde l'erre s'impara; E guardarsi con gli occhi fieri e lenti, Col pel levato, e la lana erta e rara; E poi saltarsi alla pelle alla fine, E farsi le pellicce e le schiavine [...] DANTE DANTE Inf. IX 61-63: O voi ch'avete li 'ntelletti sani, mirate la dottrina che s'asconde sotto 'l velame de li versi strani. XXV [I xxv] 1 6-8: ma voi ch'avete gl'intelletti sani, mirate la dottrina che s'asconde sotto queste coperte alte e profonde LUCREZIO LUCRET. De rer. nat. I 1-20: Aeneadum genetrix, hominum divumque voluptas, alma Venus, caeli subter labentia signa quae mare navigerum, quae terras frugiferentis concelebras, per te quoniam genus omne animantum concipitur visitque exortum lumina solis: te, dea, te fugiunt venti, te nubila caeli adventumque tuum, tibi suavis daedala tellus summittit flores, tibi rident aequora ponti placatumque nitet diffuso lumine caelum. Nam simul ac species patefactast verna diei et reserata viget genitabilis aura favoni, aeriae primum volucres te, diva, tuumque significat initum perculsae corda tua vi. Inde ferae pecudes persultant pabula laeta et rapidos tranant amnis: ita capta lepore te sequitur cupide quo quamque inducere pergis. Denique per maria ac montis fluviosque rapaces frondiferasque domos avium camposque virentis omnibus incutiens blandum per pectora amorem efficis ut cupide generatim saecla propagent. XXX [II i] 2-3: 2 Madre santa d'Enea, figlia di Giove, Degli uomini piacere e degli Dei, Venere bella, che fai l'erbe nuove E le piante, e del mondo vita sei; Da te negli animal virtù si muove, Virtù che nulla foran senza lei; Vincol, pace, piacer, gioia del mondo, Spirito, foco vital, lume giocondo. 3 Fugge all'apparir tuo la pioggia e 'l vento; Zefiro apre la terra e la riveste, E gli uccelletti fan dolce concento; Saltan gli armenti lieti e fanno feste, E da strano piacer commosse drento Van le fiere in amor per le foreste; Lasciata l'ira e la discordia ria, Fanno dolce amicizia e compagnia. ORAZIO HORAT. Carm. I iii 8-40: Illi robur et aes triplex circa pectus erat, qui fragilem truci commisit pelago ratem primus, nec timuit praecipitem Africum decertantem Aquilonibus, nec tristis Hyadas, nec rabiem Noti, quo non arbiter Hadriae maior, tollere seu ponere volt freta. Quem mortis timuit gradum qui siccis oculis monstra natantia, qui vidit mare turbidum et infamis scopulis Acroceraunia? Nequiquam deus abscidit prudens Oceano dissociabili terras, si tamen impiae non tangenda rates transiliunt vada. Audax omnia perpeti gens humana ruit per vetitum nefas: audax Iapeti genus ignem fraude mala gentibus intulit; post ignem aetheria domo subductum macies et nova febrium terris incubuit cohors semotique prius tarda necessitas leti corripuit gradum. Expertus vacuum Daedalus aera pennis non homini datis; perrupit Acheronta Hercules labor. Nil mortalibus ardui est; caelum ipsum petimus stultitia neque per nostrum patimur scelus iracunda Iovem ponere fulmina. LXIV [III iv] 1-3: 1 Rovere dura e di tre doppi rame Intorno al petto ebbe quel primo il quale Dell'oro vinto dall'ingorda fame Commise al mare orrendo il legno frale; Né teme il tempestoso Africo infame, Che combatte con Borea; né so quale Grado di morte temesse quel stolto Che vide il mar gonfiato e vi fu còlto. 2 Iddio prudente adunque tagliò in vano L'una terra dall'altra, e le divise Col largo impraticabile Oceano; Da poi che l'empie navi in tante guise Fatte; il prosuntuoso seme umano Quasi contra sua voglia entro vi mise: Seme prosuntuoso, che a' peccati Corre sempre, che più gli son vietati. 3 Omai non è difficile a' mortali Più cosa alcuna: insin al cielo andiamo Con la stoltizia, tanto grandi ha l'ali, Tanto con la superbia alto voliamo: Né medïante gli empi nostri mali Por le saette a Giove giù lasciamo; Ognor l'ira del ciel chiamiamo in terra La fame a darci, e la peste e la guerra. PETRARCA PETRARCA T.C. IV 65-66: Ben è il viver mortal, che sì n'aggrada, sogno d'infermi e fola di romanzi. XXV [I xxv] 6: E così qui non vi fermate in queste scorze di fuor, ma passate più innanzi; ché s'esserci altro sotto non credeste, per Dio, areste fatto pochi avanzi, e di tenerle ben ragione areste sogni d'infermi e fole di romanzi VIRGILIO VERG. Georg. IV 511-515: qualis populea maerens Philomela sub umbra amissos queritur fetus, quos durus arator observans nido inplumis detraxit; at illa flet noctem ramoque sedens miserabile carmen integrat et maestis late loca questibus inplet. XLIII [II xiv] 13: Qual sotto l'ombra d'un olmo o d'un faggio Piagne i perduti figli Filomena, Che l'ha, appostando, l'arator selvaggio Tolti del nido, essendo nati a pena; Ella, mentre che lûce il solar raggio, E la notte da poi, l'aria serena, Chiamando il rubator duro e crudele, Empie di soavissime querele. STUDI ROMEI Introduzione
Nella prima produzione poetica del Berni "il carattere di spicco è
l'impudente e aggressiva omosessualità, la scanzonata misoginia.
[...] L'eros maschile era perfettamente legittimato sul versante della
poesia classica - e dunque candidamente [...] esibito nei Carmina,
forti di una solenne autorizzazione catulliana" (p. 6)
ROMEI Orlando "E bisogna badare alle puntuali e gravose implicazioni
che queste dichiarazioni sottintendono. La prima che ho citato [...] (XXV
[I xxv] 1 6-8) ostenta subito, in apertura, un'impegnativa (e letterale)
citazione dantesca [...](Inf. IX 61-63). E poi, in chiusura [...](XXV
[I xxv] 6) ostenta un'altrettanto impegnativa (e letterale) citazione,
questa volta del Petrarca [...](T.C. IV 65-66).
I 'sogni' dei cavalieri 'erranti' sono degno
pasto del 'vulgo' ignorante: la cultura è ben altra cosa. E non
si dimentichi che la polemica viene fatta propria e sviluppata dalla schiera
dei commentatori dei Trionfi e custodita come retaggio prezioso
dall'umanesimo, che persevera nel disdegno di questa materia da cantimbanchi.
E non si dimentichi che il Berni nasce umanista. Umanista - beninteso -
in pieno sfascio. Che per nascita, tuttavia, non può non portare
in sé questa rimozione secolare" (pp. 12-13)
VIRGILI Si riscontrano nelle opere latine del Berni fortissime conformità
con la letteratura catulliana. Entrambe i poeti "esuberano di [...] temperamento
poetico: nature ambedue di primo impeto, multiformi, mobilissime, governate
dalla fantasia, dal sentimento, dalla subita impressione, e l'impressione
ultima è sempre quella che prevale e fa tacere tutte le altre. L'uno
e l'altro si vedono [...] trascorrere dal più profondo abbattimento
alla spensieratezza più gaia, dall'ira all'amore, dalla tempesta
alla calma: l'uno e l'altro di tutto quello che toccano fanno poesia; e
dopo essersi mescolati nel fango delle più abiette passioni, si
levano ai più squisiti e delicati affetti che onorino l'umana natura"
(p. 90)
WEAVER L'esordio che apre il secondo libro del rifacimento (XXX
[II i] 1-9) è un "'pastiche' letterario di Dante, Petrarca e
Lucrezio"; il proemio "presenta un'apostrofe al fiume Adige ed un elogio
alla città di Verona [...] in ringraziamento della benefica ospitalità
che offrono al poeta mentre scrive la sua opera" (p. 120)
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