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STUDI NENCIONI Nella sua lettura del rifacimento Nencioni insiste in modo particolare sugli aspetti linguistici e stilistici. Muovendo dal raffronto intertestuale consentito (in parte) dall'edizione curata dal Ferrari [SIGLA], segnala fra gli interventi berneschi sull'originale: sostituzioni di forme ferraresi con forme fiorentine, di forme arcaiche con forme moderne, costrutti asindetici con costrutti sindetici. Ma riconosce soprattutto l'importanza dell'eliminazione nel rifacimento della rima sdrucciola e tronca, facendo notare come questo aspetto fosse una costante dello stile bernesco (d'impronta petrarcheggiante), adottato sia nei sonetti che nei capitoli, e quindi assolutamente coerente. Ecco quindi come una precisa opzione culturale, che crea un "livellamento parossitono", abbia comportato l'alterazione dell'ordine delle parole e la sostituzione di "forme verbali epitetiche con forme prolungate dall'enclisi della particella pronominale (ad es. 'calossi', 'dileguossi', 'trovossi' invece di 'se atuffoe', 'si dileguoe', 'si trovoe' in III vii 28 [Berni III vii 34]); espediente, quest'ultimo, che è servito anche all'eliminazione delle nude rime tronche ([...] in III iii 45 [Berni III iii 48])" (pp. XI-XIII) È quindi di fondamentale importanza notare nel Berni
l'ambivalenza linguistica, che ricorre all'autorità delle tre corone
fondendola nella "vivezza del parlato; un parlato però assunto in
un manieristico compiacimento e quindi divaricato fra gli estremi del motteggiare
popolaresco e della trovata verbale. Elementi lessicali come 'badalone'
e 'ragazzone' di I iii 8, 'mignone' di I vii 69 3, locuzioni come 'fare
sciarra' di I v 44 1, 'spennacchiato' di I xxix 53 3 sono dati presenti
nel Morgante [...]. Resterebbe deluso però chi si aspettasse
una sostituzione dell'elemento emiliano col fiorentino [...]. Non si tratta
quasi mai di ciò [...]; pressione, quindi, non linguistica ma poetica
e coincidente col gusto di drogare la limpidità boiardesca. Non
di una traduzione dunque, ma di un rifacimento si tratta [...]. Dal che
discende che sarebbe insensato pensare ad una equivalenza, sia pure intenzionale,
tra il sugo emiliano del Boiardo e il sugo fiorentino del Berni: diversi,
con la materia linguistica, i toni e i sensi, e diversa la distribuzione
delle 'poussées' inventive del Berni, di quelle 'vivezze' o 'fioriture'
[...] (come le chiama il Ferrari) con cui egli nel serio e nel faceto ha
voluto lasciare un segno tutto suo. [...]
Se il Boiardo, nonostante la sua crudezza linguistica, non raggiunge mai il "buffonesco", il Berni, al contrario, nel raffinare ed erudire certe parti del testo abbassa il "tono" in altre; è il caso "del duello fra Grandonio e Astolfo di I iii 1-6, che nel Rifacimento (I ii 4-8) condensa le provocazioni verbali e l'urto dei duellanti, per amplificare con paragoni grotteschi la fragorosa sconfitta del Saracino" (p. XVIII). Oppure è interessante il dialogo fra Orlando e Agricane (I xviii 41-43 e I xix 12-13; Berni I xviii 46-48 e I xix 15-16) nel quale "se nel Boiardo c'è una sosta meditativa, il Berni la ristucca con un belletto devozionale e catechistico che preannuncia la crociata controriformistica" (p. XVIII). Ed infine il confronto di I xviii 55 con I xviii 60 del Berni: il Boiardo termina l'ottava con un unico verso finale in modo da gonfiare temporalmente la scena narrata; l'altro, al contrario, la taglia utilizzando tre versi per il congedo del canto. Il Nencioni conclude dicendo che il "Berni non credeva più, non sentiva più l'epicità cavalleresca del Boiardo, che doveva apparire dissolta, oltre tutto, dall'ironia dell'Ariosto" (pp. XVIII-XXII) L'ambito entro il quale il Berni, secondo Nencioni, si
è mosso è un "genere misto" che, nell'interrompere l'unità
del Boiardo e dell'Ariosto e nel depurare la fiorentinità del Pulci,
ha contaminato, sfaldato il "codice in una pluralità di codici,
a loro volta proiettati verso nuove polarizzazioni" (p. XXIII). Ritiene
perciò indispensabile per un'adeguata comprensione critica del Rifacimento
la comparazione con l'originale, senza escludere però un'attenta
analisi di tutte le fonti, i modelli linguistici dell'opera bernesca. Tutto
questo non per stilare una classifica emulativa, ma per comprendere "l'importanza
del Berni per la vicenda ulteriore del poema [...]; non come epigono e
liquidatore di un fenomeno esaurito, quanto come intercettatore ed interprete,
da più fonti e per più vie, di stimoli volti a mettere in
crisi le strutture letterarie del presente e a predisporre quelle del futuro"
(p. XXIV)
VIRGILI Confrontando il poema boiardesco con il rifacimento del Berni ci accorgiamo della notevole differenza della lingua. Succede spesso al Boiardo di avvicinarsi alla bellezza ideale del discorso ma quando "sta per raggiungerla, inciampa in una parola, in un modo [...] improprio". È in questi casi che il Berni subentra e con "un giro diverso, con una particella, un relativo" o con qualche taglio rende al discorso la sua naturale scorrevolezza, snellezza, vitalità. Ma è soprattutto l'urbanità che manca al Boiardo, che invece nasce spontanea e naturale al Berni (pp. 275-276) WEAVER Dagli interventi compiuti dal Berni sul Boiardo "traspare la preoccupazione estetica (e qualche volta morale) per il 'decoro', in tutti i sensi che aveva quella nozione nelle teorie critiche, soprattutto oraziane, del periodo. Non solo il Boiardo non osservava il decoro nella presentazione dei suoi personaggi, nelle loro parole ed azioni, che non si conformavano spesso alla persona o alle situazioni in cui si trovavano, ma il comportamento dei personaggi subiva cambiamenti inaspettati e non giustificati. Seguendo la poetica della tradizione canterina, il Boiardo curava poco il particolare descrittivo o la stretta logica del discorso o dell'azione e li sacrificava spesso agli interessi di un rapido ritmo narrativo, di un costante cambiamento di soggetto, e spesso di una contraffazione comica. Il rifacitore cercò di rimediare, di rendere la presentazione di un personaggio, per esempio, adatta al sesso, allo stato e alla situazione: per questo ciò che si dice di Fiordelisa e Doristella, donne cristiane, che convertiranno il loro paese, l'Armenia, al Cattolicesimo, deve essere rispettoso (II xxvii 32 8 e 33; e in tutto il poema il Berni impone il decoro in fatti di religione), mentre lascia l'attribuzione di lussuria ad Angelica, dato che si addice bene ad un'allettatrice pagana ([Boiardo] I iii 49 3-8 e ix 17, [Berni] III 57 e IX 21). La parola 'puttana' è eliminata una volta perché sconvenevole in bocca a Carlo Magno ([Boiardo] I ii 64-65, [Berni] 66-67) mentre 'falsa puttana' è persino intensificata in 'porca puttana' quando la bella donna alla quale ci si riferisce è un'incantatrice che vuole imprigionare Astolfo ([Boiardo] I ix 69 5, [Berni] 72)" (p. 135) I criteri che hanno dominato questa riscrittura sono, secondo
la Weaver, molteplici ed incostanti e non sono catalogabili né nell'estremità
puritana né in quella empia ed oscena. I "critici che cercavano
regole fisse [...] trovavano invece incongruenze [...]. Il Berni fa sentire
la sua personalità ribellandosi contro le sue stesse norme, tanto
che si può spesso in verità parlare di uno sdoppiamento del
narratore, di due approcci al racconto, quello formale e 'positivo' della
nuova presentazione elegante, intesa a valorizzare l'opera del Boiardo,
e un altro sovversivo che reagisce, resiste di fronte a materia ed atteggiamenti
che non accetta. [...] [Il Berni] è un narratore che partecipa sì
e no secondo i momenti, seguendo non tanto la logica del racconto quanto
la psicologia di un rifacitore spesso disaffezionato. Questo narratore
ostile ha molti tratti, anche se un po' smorzati, dell'urbano, irriverente
e giocoso narratore delle rime berniane" (p. 136)
WOODHOUSE A proposito del confronto linguistico fra l'Innamorato del Boiardo e l'opera bernesca Woodhouse cita il parere di un altro studioso, Ettore Mazzali [E. MAZZALI, Dizionario critico della letteratura italiana, vol. I, Torino, Branca, 1973, p. 191] che instaura tra le due opere un parallelismo piuttosto interessante: "In fondo il Berni riconosce nella lingua del Boiardo quel tipo di discorso composito, fra popolare e cortigiano, che pure egli coltivava, e quindi si limita a operare sul testo boiardesco la stessa codificazione letteraria ch'egli aveva operato sulle matrici rusticali e mercantili della lingua di fondo, usufruita nei capitoli e nei sonetti. Riprende sul testo dell'Innamorato lo stesso procedimento interno alla sua poesia" (p. 10) |