Inf. 9.97:
Che giova ne le fata dar di cozzo?
Ov. Met. 2.791-792:
quacumque ingreditur, florentia proterit arva / exuritque herbas
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1
Ma il gran mostro infernal, che vede queti
que' già torbidi cori e l'ire spente,
e cozzar contra 'l fato e i gran decreti
svolger non può de l'immutabil Mente,
si parte, e dove passa i campi lieti
secca, e pallido il sol si fa repente;
e d'altre furie ancora e d'altri mali
ministra, a nova impresa affretta l'ali.
|
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2
Ella, che dall'essercito cristiano
per industria sapea de' suoi consorti
il figliuol di Bertoldo esser lontano,
Tancredi e gli altri più temuti e forti,
disse: - Che più s'aspetta? or Solimano
inaspettato venga e guerra porti.
Certo (o ch'io spero) alta vittoria avremo
di campo mal concorde e in parte scemo. -
|
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3
Ciò detto, vola ove fra squadre erranti,
fattosen duce, Soliman dimora,
quel Soliman di cui non fu tra quanti
ha Dio rubelli, uom più feroce allora
né se per nova ingiuria i suoi giganti
rinovasse la terra, anco vi fòra.
Questi fu re de' Turchi ed in Nicea
la sede de l'imperio aver solea,
|
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4
e distendeva incontra a i greci lidi
dal Sangario al Meandro il suo confine,
ove albergàr già Misi e Frigi e Lidi,
e le genti di Ponto e le bitine;
ma poi che contra i Turchi e gli altri infidi
passàr ne l'Asia l'arme peregrine,
fur sue terre espugnate, ed ei sconfitto
ben fu due fiate in general conflitto.
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5
Ma riprovata avendo in van la sorte
e spinto a forza dal natio paese,
ricoverò del re d'Egitto in corte,
ch'oste gli fu magnanimo e cortese;
ed ebbe a grado che guerrier sì forte
gli s'offrisse compagno a l'alte imprese,
proposto avendo già vietar l'acquisto
di Palestina a i cavalier di Cristo.
|
|
6
Ma prima ch'egli apertamente loro
la destinata guerra annunziasse,
volle che Solimano, a cui molto oro
diè per tal uso, gli Arabi assoldasse.
Or mentre ei d'Asia e dal paese moro
l'oste accogliea, Soliman venne e trasse
agevolmente a sé gli Arabi avari,
ladroni in ogni tempo o mercenari.
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7
Così fatto lor duce, or d'ogni intorno
la Giudea scorre, e fa prede e rapine
sì che 'l venire è chiuso e 'l far ritorno
da l'essercito franco a le marine;
e rimembrando ognor l'antico scorno
e de l'imperio suo l'alte ruine,
cose maggior nel petto acceso volve,
ma non ben s'assecura o si risolve.
|
Verg. Aen. 7.415-418:
Allecto torvam faciem et furialia membra /
exuit, in vultus sese transformat anilis /
et frontem obscenam rugis arat, induit albos /
cum vitta crinis
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8
A costui viene Aletto, e da lei tolto
è 'l sembiante d'un uom d'antica etade:
vòta di sangue, empie di crespe il volto,
lascia barbuto il labro e 'l mento rade,
dimostra il capo in lunghe tele avolto,
la veste oltra 'l ginocchio al piè gli cade,
la scimitarra al fianco, e 'l tergo carco
de la faretra, e ne le mani ha l'arco.
|
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9
- Noi - gli dice ella - or trascorriam le vòte
piaggie e l'arene sterili e deserte,
ove né far rapina omai si pote,
né vittoria acquistar che loda merte.
Goffredo intanto la città percote,
e già le mura ha con le torri aperte;
e già vedrem, s'ancor si tarda un poco,
insin di qua le sue ruine e 'l foco.
|
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10
Dunque accesi tuguri e greggie e buoi
gli alti trofei di Soliman saranno?
Così racquisti il regno? e così i tuoi
oltraggi vendicar ti credi e 'l danno?
Ardisci, ardisci; entro a i ripari suoi
di notte opprimi il barbaro tiranno.
Credi al tuo vecchio Araspe, il cui consiglio
e nel regno provasti e ne l'essiglio.
|
Verg. Aen. 7.456-457:
sic effata facem iuveni coniecit et atro /
lumine fumantis fixit sub pectore taedas.
|
11
Non ci aspetta egli e non ci teme, e sprezza
gli Arabi ignudi in vero e timorosi,
né creder mai potrà che gente avezza
a le prede, a le fughe, or cotanto osi;
ma feri li farà la tua fierezza
contra un campo che giaccia inerme e posi. -
Così gli disse, e le sue furie ardenti
spirogli al seno, e si mischiò tra' venti.
|
Verg. Aen. 9.21-22:
sequor omina tanta, / quisquis in arma vocas
|
12
Grida il guerrier, levando al ciel la mano:
- O tu, che furor tanto al cor m'irriti
(ned uom sei già, se ben sembiante umano
mostrasti), ecco io ti seguo ove m'inviti.
Verrò, farò là monti ov'ora è piano,
monti d'uomini estinti e di feriti,
farò fiumi di sangue. Or tu sia meco,
e tratta l'armi mie per l'aer cieco. -
|
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13
Tace, e senza indugiar le turbe accoglie
e rincora parlando il vile e 'l lento,
e ne l'ardor de le sue stesse voglie
accende il campo a seguitarlo intento.
Dà il segno Aletto de la tromba, e scioglie
di sua man propria il gran vessillo al vento.
Marcia il campo veloce, anzi sì corre
che de la fama il volo anco precorre.
|
|
14
Va seco Aletto, e poscia il lascia e veste,
d'uom che rechi novelle, abito e viso;
e ne l'ora che par che il mondo reste
fra la notte e fra 'l dì dubbio e diviso,
entra in Gierusalemme, e tra le meste
turbe passando al re dà l'alto aviso
del gran campo che giunge e del disegno,
e del notturno assalto e l'ora e 'l segno.
|
Hom. Il. 11.70-74:
[...] Intanto
Giove dall'alto romoreggia, e piove
di sangue una rugiada, annunziatrice
delle molte che all'Orco in quel conflitto
anime generose avrìa sospinto.
|
15
Ma già distendon l'ombre orrido velo
che di rossi vapor si sparge e tigne;
la terra in vece del notturno gelo
bagnan rugiade tepide e sanguigne;
s'empie di mostri e di prodigi il cielo,
s'odon fremendo errar larve maligne:
votò Pluton gli abissi, e la sua notte
tutta versò da le tartaree grotte.
|
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16
Per sì profondo orror verso le tende
de gli inimici il fer Soldan camina;
ma quando a mezzo dal suo corso ascende
la notte, onde poi rapida dechina,
a men d'un miglio, ove riposo prende
il securo Francese, ei s'avicina.
Qui fe' cibar le genti, e poscia d'alto
parlando confortolle al crudo assalto:
|
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17
- Vedete là di mille furti pieno
un campo più famoso assai che forte,
che quasi un mar nel suo vorace seno
tutte de l'Asia ha le ricchezze absorte?
Questo ora a voi (né già potria con meno
vostro periglio) espon benigna sorte:
l'arme e i destrier d'ostro guerniti e d'oro
preda fian vostra, e non difesa loro.
|
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18
Né questa è già quell'oste onde la persa
gente e la gente di Nicea fu vinta,
perché in guerra sì lunga e sì diversa
rimasa n'è la maggior parte estinta;
e s'anco integra fosse, or tutta immersa
in profonda quiete e d'arme è scinta.
Tosto s'opprime chi di sonno è carco,
ché dal sonno a la morte è un picciol varco.
|
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19
Su, su, venite: io primo aprir la strada
vuo' su i corpi languenti entro a i ripari;
ferir da questa mia ciascuna spada,
e l'arti usar di crudeltate impari.
Oggi fia che di Cristo il regno cada,
oggi libera l'Asia, oggi voi chiari. -
Così gli infiamma a le vicine prove,
indi tacitamente oltre lor move.
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20
Ecco tra via le sentinelle ei vede
per l'ombra mista d'una incerta luce,
né ritrovar, come secura fede
avea, pote improviso il saggio duce.
Volgon quelle gridando indietro il piede,
scorto che sì gran turba egli conduce,
sì che la prima guardia è da lor desta,
e com' può meglio a guerreggiar s'appresta.
|
Verg. Aen. 5.149-150:
consonat omne nemus, vocemque inclusa volutant /
litora, pulsati colles clamore resultant
Verg. Aen. 7.514-515:
protinus omne / contremuit nemus et silvae insonuere profundae
Verg. Aen. 12.928-929:
totusque remugit / mons circum et vocem late nemora alta remittunt
|
21
Dan fiato allora a i barbari metalli
gli Arabi, certi omai d'essere sentiti.
Van gridi orrendi al cielo, e de' cavalli
co 'l suon del calpestio misti i nitriti.
Gli alti monti muggìr, muggìr le valli,
e risposer gli abissi a i lor muggiti,
e la face inalzò di Flegetonte
Aletto, e 'l segno diede a quei del monte.
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Sil. Ital. Pun. 15.712-714:
ut torrens, ut tempestas, ut flamma corusci /
fulminis, ut Borean pontus fugit, ut cava currunt /
nubila, cum pelago caelum permiscuit Eurus.
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22
Corre inanzi il Soldano, e giunge a quella
confusa ancora e inordinata guarda
rapido sì che torbida procella
da' cavernosi monti esce più tarda.
Fiume ch'arbori insieme e case svella,
folgore che le torri abbatta ed arda,
terremoto che 'l mondo empia d'orrore,
son picciole sembianze al suo furore.
|
Inf. 16.124-125:
Sempre a quel ver c'ha faccia di menzogna
de' l'uom chiuder le labbra fin ch'el puote.
|
23
Non cala il ferro mai ch'a pien non colga,
né coglie a pien che piaga anco non faccia,
né piaga fa che l'alma altrui non tolga;
e più direi, ma il ver di falso ha faccia.
E par ch'egli o s'infinga o non se 'n dolga
o non senta il ferir de l'altrui braccia,
se ben l'elmo percosso in suon di squilla
rimbomba e orribilmente arde e sfavilla.
|
|
24
Or quando ei solo ha quasi in fuga vòlto
quel primo stuol de le francesche genti,
giungono in guisa d'un diluvio accolto
di mille rivi gli Arabi correnti.
Fuggono i Franchi allora a freno sciolto,
e misto il vincitor va tra' fuggenti,
e con lor entra ne' ripari, e 'l tutto
di ruine e d'orror s'empie e di lutto.
|
Verg. Aen. 7.785-788:
cui triplici crinita iuba galea alta Chimaeram /
sustinet Aetnaeos efflantem faucibus ignis; /
tam magis illa fremens et tristibus effera flammis /
quam magis effuso crudescunt sanguine pugnae.
Verg. Aen. 2.475:
et linguis micat ore trisulcis
|
25
Porta il Soldan su l'elmo orrido e grande
serpe che si dilunga e il collo snoda,
su le zampe s'inalza e l'ali spande
e piega in arco la forcuta coda.
Par che tre lingue vibri e che fuor mande
livida spuma, e che 'l suo fischio s'oda.
Ed or ch'arde la pugna, anch'ei s'infiamma
nel moto, e fumo versa insieme e fiamma.
|
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26
E si mostra in quel lume a i riguardanti
formidabil così l'empio Soldano,
come veggion ne l'ombra i naviganti
fra mille lampi il torbido oceano.
Altri danno a la fuga i piè tremanti,
danno altri al ferro intrepida la mano;
e la notte i tumulti ognor più mesce,
ed occultando i rischi, i rischi accresce.
|
Sil. Ital. Pun. 2.318-319:
pubescit castris miles, galeaque teruntur /
nondum signatae flava lanugine malae
|
27
Fra color che mostraro il cor più franco,
Latin, su 'l Tebro nato, allor si mosse,
a cui né le fatiche il corpo stanco,
né gli anni dome aveano ancor le posse.
Cinque suoi figli quasi eguali al fianco
gli erano sempre, ovunque in guerra ei fosse,
d'arme gravando, anzi il lor tempo molto,
le membra ancor crescenti e 'l molle volto.
|
|
28
Ed eccitati dal paterno essempio
aguzzavano al sangue il ferro e l'ire.
Dice egli loro: - Andianne ove quell'empio
veggiam ne' fuggitivi insuperbire,
né già ritardi il sanguinoso scempio,
ch'ei fa de gli altri, in voi l'usato ardire,
però che quello, o figli, è vile onore
cui non adorni alcun passato orrore. -
|
|
29
Così feroce leonessa i figli,
cui dal collo la coma anco non pende
né con gli anni lor sono i feri artigli
cresciuti e l'arme de la bocca orrende,
mena seco a la preda ed a i perigli,
e con l'essempio a incrudelir gli accende
nel cacciator che le natie lor selve
turba e fuggir fa le men forti belve.
|
Verg. Aen. 10.328-330:
ni fratrum stipata cohors foret obvia, Phorci / progenies, septem numero, septenaque tela / coniciunt
|
30
Segue il buon genitor l'incauto stuolo
de' cinque, e Solimano assale e cinge;
e in un sol punto un sol consiglio, e un solo
spirito quasi, sei lunghe aste spinge.
Ma troppo audace il suo maggior figliuolo
l'asta abbandona e con quel fer si stringe,
e tenta in van con la pungente spada
che sotto il corridor morto gli cada.
|
Verg. Aen. 10.693-696:
ille, velut rupes, vastum quae prodit in aequor, / obvia ventorum furiis expostaque ponto, / vim cunctam atque minas perfert caelique marisque / ipsa immota manens
|
31
Ma come a le procelle esposto monte,
che percosso da i flutti al mar sovraste,
sostien fermo in se stesso i tuoni e l'onte
del ciel irato e i venti e l'onde vaste,
così il fero Soldan l'audace fronte
tien salda incontra a i ferri e incontra a l'aste,
ed a colui che il suo destrier percote
tra i cigli parte il capo e tra le gote.
|
Verg. Aen. 10.338-339:
huic frater subit Alcanor fratremque ruentem / sustentat dextra
|
32
Aramante al fratel che giù ruina
porge pietoso il braccio, e lo sostiene.
Vana e folle pietà! ch'a la ruina
altrui la sua medesma a giunger viene,
ché 'l pagan su quel braccio il ferro inchina
ed atterra con lui chi lui s'attiene.
Caggiono entrambi, e l'un su l'altro langue
mescolando i sospiri ultimi e 'l sangue.
|
|
33
Quinci egli di Sabin l'asta recisa,
onde il fanciullo di lontan l'infesta,
gli urta il cavallo addosso e 'l coglie in guisa
che giù tremante il batte, indi il calpesta.
Dal giovenetto corpo uscì divisa
con gran contrasto l'alma, e lasciò mesta
l'aure soavi de la vita e i giorni
de la tenera età lieti ed adorni.
|
Verg. Aen. 10.390-395:
Vos etiam, gemini, Rutulis cecidistis in arvis, /
Daucia, Laride Thymberque, simillima proles, /
indiscreta suis gratusque parentibus error; /
at nunc dura dedit vobis discrimina Pallas. /
Nam tibi, Thymbre, caput Evandrius abstulit ensis; /
te decisa suum, Laride, dextera quaerit.
|
34
Rimanean vivi ancor Pico e Laurente,
onde arricchì un sol parto il genitore:
similissima coppia e che sovente
esser solea cagion di dolce errore.
Ma se lei fe' natura indifferente,
differente or la fa l'ostil furore:
dura distinzion ch'a l'un divide
dal busto il collo, a l'altro il petto incide.
|
Ov. Met. 8.231:
at pater infelix, nec iam pater
Inf. 33.55-57:
Come un poco di raggio si fu messo
nel doloroso carcere, e io scorsi
per quattro visi il mio aspetto stesso
|
35
Il padre, ah non più padre! (ahi fera sorte,
ch'orbo di tanti figli a un punto il face!),
rimira in cinque morti or la sua morte
e de la stirpe sua che tutta giace.
Né so come vecchiezza abbia sì forte
ne l'atroci miserie e sì vivace
che spiri e pugni ancor; ma gli atti e i visi
non mirò forse de' figliuoli uccisi,
|
Bocc. Filoc. 5.33:
ma le notturne tenebre le furono graziose, e quello celarono
|
36
e di sì acerbo lutto a gli occhi sui
parte l'amiche tenebre celaro.
Con tutto ciò nulla sarebbe a lui,
senza perder se stesso, il vincer caro.
Prodigo del suo sangue, e de l'altrui
avidissimamente è fatto avaro;
né si conosce ben qual suo desire
paia maggior, l'uccidere o 'l morire.
|
|
37
Ma grida al suo nemico: - È dunque frale
sì questa mano, e in guisa ella si sprezza,
che con ogni suo sforzo ancor non vale
a provocar in me la tua fierezza? -
Tace, e percossa tira aspra e mortale
che le piastre e le maglie insieme spezza,
e su 'l fianco gli cala e vi fa grande
piaga onde il sangue tepido si spande.
|
Verg. Aen. 10.783-786:
tum pius Aeneas hastam iacit; illa per orbem / aere cavum triplici, per linea terga tribusque / transiit intextum tauris opus, imaque sedit / inguine
Stat. Theb. 3.90-91:
extremisque animae singultibus errans /
alternus nunc ore venit, nunc vulnere sanguis
|
38
A quel grido, a quel colpo, in lui converse
il barbaro crudel la spada e l'ira.
Gli aprì l'usbergo, e pria lo scudo aperse
cui sette volte un duro cuoio aggira,
e 'l ferro ne le viscere gli immerse.
Il misero Latin singhiozza e spira,
e con vomito alterno or gli trabocca
il sangue per la piaga, or per la bocca.
|
Cat. Carm. 64.105-109:
Vid. Christ. 1.25-31:
|
39
Come ne l'Apennin robusta pianta
che sprezzò d'Euro e d'Aquilon la guerra,
se turbo inusitato al fin la schianta,
gli alberi intorno ruinando atterra,
così cade egli, e la sua furia è tanta
che più d'un seco tragge a cui s'afferra;
e ben d'uom sì feroce è degno fine
che faccia ancor morendo alte ruine.
|
Purg. 5.108:
ma io farò de l'altro altro governo!
|
40
Mentre il Soldan sfogando l'odio interno
pasce un lungo digiun ne' corpi umani,
gli Arabi inanimiti aspro governo
anch'essi fanno de' guerrier cristiani:
l'inglese Enrico e 'l bavaro Oliferno
moiono, o fer Dragutte, a le tue mani;
a Gilberto, a Filippo, Ariadeno
toglie la vita, i quai nacquer su 'l Reno;
|
Verg. Aen. 2.361-362:
quis cladem illius noctis, quis funera fando / explicet [...]?
|
41
Albazàr con la mazza abbatte Ernesto,
cade sotto Algazelle Otton di spada.
Ma chi narrar potria quel modo o questo
di morte, e quanta plebe ignobil cada?
Sin da quei primi gridi erasi desto
Goffredo, e non istava intanto a bada;
già tutto è armato, e già raccolto un grosso
drapello ha seco, e già con lor s'è mosso.
|
|
42
Egli, che dopo il grido udì il tumulto
che par che sempre più terribil suoni,
avisò ben che repentino insulto
esser dovea de gli Arabi ladroni;
ché già non era al capitano occulto
ch'essi intorno scorrean le regioni,
benché non istimò che sì fugace
vulgo mai fosse d'assalirlo audace.
|
|
43
Or mentre egli ne viene, ode repente
- Arme! arme! - replicar da l'altro lato,
ed in un tempo il cielo orribilmente
intonar di barbarico ululato.
Questa è Clorinda che del re la gente
guida a l'assalto, ed have Argante a lato.
Al nobil Guelfo, che sostien sua vice,
allor si volge il capitano e dice:
|
|
44
- Odi qual novo strepito di Marte
di verso il colle e la città ne viene;
d'uopo là fia che 'l tuo valore e l'arte
i primi assalti de' nemici affrene.
Vanne tu dunque e là provedi, e parte
vuo' che di questi miei teco ne mene;
con gli altri io me n'andrò da l'altro canto
a sostener l'impeto ostile intanto. -
|
|
45
Così fra lor concluso, ambo gli move
per diverso sentiero egual fortuna.
Al colle Guelfo, e 'l capitan va dove
gli Arabi omai non han contesa alcuna.
Ma questi andando acquista forza, e nove
genti di passo in passo ognor raguna,
tal che già fatto poderoso e grande
giunge ove il fero Turco il sangue spande.
|
Vid. Christ. 1.25-31:
Pinifero veluti Vesuli de vertice primum /
it Padus exiguo sulcans salta pinguia rivo; /
hinc magis, atque magis labendo viribus auctus /
surgit, latifluoque sonans se gurgite pandit /
victor. Opes amnes vari: auxiliaribus undis /
hinc addunt, atque inde; suo nec se capit alveo /
turbidus, haud uno dum rumpit in aequora cornu.
|
46
Così scendendo dal natio suo monte
non empie umile il Po l'angusta sponda,
ma sempre più, quanto è più lunge al fonte,
di nove forze insuperbito abonda;
sovra i rotti confini alza la fronte
di tauro, e vincitor d'intorno inonda,
e con più corna Adria respinge e pare
che guerra porti e non tributo al mare.
|
Verg. Aen. 9.781:
quo deinde fugam, quo tenditis? Inquit.
|
47
Goffredo, ove fuggir l'impaurite
sue genti vede, accorre e le minaccia:
- Qual timor - grida - è questo? ove fuggite?
Guardate almen chi sia quel che vi caccia.
Vi caccia un vile stuol, che le ferite
né ricever né dar sa ne la faccia;
e se 'l vedranno incontra sé rivolto,
temeran l'arme lor del vostro volto. -
|
|
48
Punge il destrier, ciò detto, e là si volve
ove di Soliman gli incendi ha scorti.
Va per mezzo del sangue e de la polve
e de' ferri e de' rischi e de le morti;
con la spada e con gli urti apre e dissolve
le vie più chiuse e gli ordini più forti,
e sossopra cader fa d'ambo i lati
cavalieri e cavalli, arme ed armati.
|
Verg. Aen. 12.707-709:
stupet ipse Latinus / ingentis, genitos diversis partibus orbis, / inter se coiisse viros et cernere ferro
|
49
Sovra i confusi monti a salto a salto
de la profonda strage oltre camina.
L'intrepido Soldan che 'l fero assalto
sente venir, no 'l fugge e no 'l declina;
ma se gli spinge incontra, e 'l ferro in alto
levando per ferir gli s'avicina.
Oh quai duo cavalier or la fortuna
da gli estremi del mondo in prova aduna!
|
Petr. RVF 128.93-94:
vertù contra furore / prenderà l'arme
Petr. Tr. Pud. 115:
Passo qui cose glorïose e magne
|
50
Furor contra virtute or qui combatte
d'Asia in un picciol cerchio il grande impero.
Chi può dir come gravi e come ratte
le spade son? quanto il duello è fero?
Passo qui cose orribili che fatte
furon, ma le coprì quell'aer nero,
d'un chiarissimo sol degne e che tutti
siano i mortali a riguardar ridutti.
|
|
51
Il popol di Giesù, dietro a tal guida
audace or divenuto, oltre si spinge,
e de' suoi meglio armati a l'omicida
Soldano intorno un denso stuol si stringe.
Né la gente fedel più che l'infida,
né più questa che quella il campo tinge,
ma gli uni e gli altri, e vincitori e vinti,
egualmente dan morte e sono estinti.
|
Verg. Aen. 10.356-361:
magno discordes aethere venti / proelia ceu tollunt animis et viribus aequis; / non ipsi inter se, non nubila, non mare cedit; / anceps pugna diu, stant obnixa omnia contra: / haud aliter Troianae acies aciesque Latinae / concurrunt, haeret pede pes densusque viro vir
|
52
Come pari d'ardir, con forza pare
quinci Austro in guerra vien, quindi Aquilone,
non ei fra lor, non cede il cielo o 'l mare,
ma nube a nube e flutto a flutto oppone;
così né ceder qua, né là piegare
si vede l'ostinata aspra tenzone:
s'affronta insieme orribilmente urtando
scudo a scudo, elmo ad elmo e brando a
[brando.
|
|
53
Non meno intanto son feri i litigi
da l'altra parte, e i guerrier folti e densi.
Mille nuvole e più d'angeli stigi
tutti han pieni de l'aria i campi immensi,
e dan forza a i pagani, onde i vestigi
non è chi indietro di rivolger pensi;
e la face d'inferno Argante infiamma,
acceso ancor de la sua propria fiamma.
|
|
54
Egli ancor dal suo lato in fuga mosse
le guardie, e ne' ripari entrò d'un salto;
di lacerate membra empiè le fosse,
appianò il calle, agevolò l'assalto,
sì che gli altri il seguiro e fèr poi rosse
le prime tende di sanguigno smalto.
E seco a par Clorinda o dietro poco
se 'n gio, sdegnosa del secondo loco.
|
Verg. Aen. 10.755-756:
Iam gravis aequabat luctus et mutua Mavors / funera
|
55
E già fuggiano i Franchi allor che quivi
giunse Guelfo opportuno e 'l suo drapello,
e volger fe' la fronte a i fuggitivi
e sostenne il furor del popol fello.
Così si combatteva, e 'l sangue in rivi
correa egualmente in questo lato e in quello.
Gli occhi fra tanto a la battaglia rea
dal suo gran seggio il Re del Ciel volgea.
|
Par. 31.28-29:
Oh trina luce che 'n unica stella
scintillando a lor vista, sì li appaga!
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56
Sedea colà dond'Egli e buono e giusto
dà legge al tutto e 'l tutto orna e produce
sovra i bassi confin del mondo angusto,
ove senso o ragion non si conduce;
e de l'Eternità nel trono augusto
risplendea con tre lumi in una luce.
Ha sotto i piedi il Fato e la Natura,
ministri umili, e 'l Moto e Chi 'l misura,
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Petr.Tr. Cup. 1.28:
d'intorno innumerabili mortali
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57
e 'l Loco e Quella che, qual fumo o polve,
la gloria di qua giuso e l'oro e i regni,
come piace là su, disperde e volve,
né, diva, cura i nostri umani sdegni.
Quivi ei così nel suo splendor s'involve,
che v'abbaglian la vista anco i più degni:
d'intorno ha innumerabili immortali,
disegualmente in lor letizia eguali.
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58
Al gran concento de' beati carmi
lieta risuona la celeste reggia.
Chiama Egli a sé Michele, il qual ne l'armi
di lucido adamante arde e lampeggia,
e dice lui: - Non vedi or come s'armi
contra la mia fedel diletta greggia
l'empia schiera d'Averno, e insin dal fondo
de le sue morti a turbar sorga il mondo?
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59
Va', dille tu che lasci omai le cure
de la guerra a i guerrier, cui ciò conviene,
né il regno de' viventi, né le pure
piaggie del ciel conturbi ed avenene.
Torni a le notti d'Acheronte oscure,
suo degno albergo, a le sue giuste pene;
quivi se stessa e l'anime d'abisso
crucii. Così commando e così ho fisso. -
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60
Qui tacque, e 'l duce de' guerrieri alati
s'inchinò riverente al divin piede;
indi spiega al gran volo i vanni aurati,
rapido sì ch'anco il pensiero eccede.
Passa il foco e la luce, ove i beati
hanno lor gloriosa immobil sede,
poscia il puro cristallo e 'l cerchio mira
che di stelle gemmato incontra gira;
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61
quinci, d'opre diversi e di sembianti,
da sinistra rotar Saturno e Giove
e gli altri, i quali esser non ponno erranti
s'angelica virtù gli informa e move;
vien poi da' campi lieti e fiammeggianti
d'eterno dì là donde tuona e piove,
ove se stesso il mondo strugge e pasce,
e ne le guerre sue more e rinasce.
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Purg. 2.34-36:
Vedi come l'ha dritte verso 'l cielo,
trattando l'aere con l'etterne penne,
che non si mutan come mortal pelo
Verg.Aen. 8.622-623:
qualis cum caerula nubes / solis inardescit radiis longeque refulget
Verg. Geor. 1.365-367:
Par. 15.13-15:
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62
Venia scotendo con l'eterne piume
la caligine densa e i cupi orrori;
s'indorava la notte al divin lume
che spargea scintillando il volto fuori.
Tale il sol ne le nubi ha per costume
spiegar dopo la pioggia i bei colori;
tal suol, fendendo il liquido sereno,
stella cader de la gran madre in seno.
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63
Ma giunto ove la schiera empia infernale
il furor de' pagani accende e sprona,
si ferma in aria in su 'l vigor de l'ale,
e vibra l'asta, e lor così ragiona:
- Pur voi dovreste omai saper con quale
folgore orrendo il Re del mondo tuona,
o nel disprezzo e ne' tormenti acerbi
de l'estrema miseria anco superbi.
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64
Fisso è nel Ciel ch'al venerabil segno
chini le mura, apra Sion le porte.
A che pugnar co 'l fato? a che lo sdegno
dunque irritar de la celeste corte?
Itene, maledetti, al vostro regno,
regno di pene e di perpetua morte;
e siano in quegli a voi dovuti chiostri
le vostre guerre ed i trionfi vostri.
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65
Là incrudelite, là sovra i nocenti
tutte adoprate pur le vostre posse
fra i gridi eterni e lo stridor de' denti,
e 'l suon del ferro e le catene scosse. -
Disse, e quei ch'egli vide al partir lenti
con la lancia fatal pinse e percosse;
essi gemendo abbandonàr le belle
region de la luce e l'auree stelle,
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Verg. Aen. 6.309-312:
Inf. 3.112-114:
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66
e dispiegàr verso gli abissi il volo
ad inasprir ne' rei l'usate doglie.
Non passa il mar d'augei sì grande stuolo
quando a i soli più tepidi s'accoglie,
né tante vede mai l'autunno al suolo
cader co' primi freddi aride foglie.
Liberato da lor, quella sì negra
faccia depone il mondo e si rallegra.
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67
Ma non perciò nel disdegnoso petto
d'Argante vien l'ardire o 'l furor manco,
benché suo foco in lui non spiri Aletto,
né flagello infernal gli sferzi il fianco.
Rota il ferro crudel ove è più stretto
e più calcato insieme il popol franco;
miete i vili e i potenti, e i più sublimi
e più superbi capi adegua a gli imi.
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Inf. 25.85-86:
e quella parte onde prima è preso
nostro alimento, a l'un di lor trafisse
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68
Non lontana è Clorinda, e già non meno
par che di tronche membra il campo asperga.
Caccia la spada a Berlinghier nel seno
per mezzo il cor, dove la vita alberga,
e quel colpo a trovarlo andò sì pieno
che sanguinosa uscì fuor de le terga;
poi fère Albin là 've primier s'apprende
nostro alimento, e 'l viso a Gallo fende.
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Verg. Aen. 10.395-396:
te decisa suum, Laride, dextera quaerit / semianimesque micant digiti ferrumque retractant.
Ov. Met. 6.559-560:
utque salire solet mutilatae cauda colubrae, /
palpitat et moriens dominae vestigia quaerit
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69
La destra di Gerniero, onde ferita
ella fu già, manda recisa al piano:
tratta anco il ferro, e con tremanti dita
semiviva nel suol guizza la mano.
Coda di serpe è tal, ch'indi partita
cerca d'unirsi al suo principio invano.
Così mal concio la guerriera il lassa,
poi si volge ad Achille e 'l ferro abbassa,
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Hom. Il. 14.553-558:
[...] Lo colse il fatal ferro
alla vertebra estrema, ove nel collo
s'innesta il capo, e ne precise il doppio
tendine. Ei cadde, e del meschin la testa,
colla bocca davanti e le narici,
prima a terra n'andò, che la persona.
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70
e tra 'l collo e la nuca il colpo assesta;
e tronchi i nervi e 'l gorgozzuol reciso,
gìo rotando a cader prima la testa,
prima bruttò di polve immonda il viso,
che giù cadesse il tronco; il tronco resta
(miserabile mostro) in sella assiso,
ma libero del fren con mille rote
calcitrando il destrier da sé lo scote.
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Verg. Aen. 10.434-438:
[...] nec multum discrepat aetas,
egregii forma, sed quis Fortuna negarat
in patriam reditus. Ipsos concurrere passus
haud tamen inter se magni regnator Olympi;
mox illos sua fata manent maiore sub hoste.
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71
Mentre così l'indomita guerriera
le squadre d'Occidente apre e flagella,
non fa d'incontra a lei Gildippe altera
de' saracini suoi strage men fella.
Era il sesso il medesmo, e simil era
l'ardimento e 'l valore in questa e in quella.
Ma far prova di lor non è lor dato,
ch'a nemico maggior le serba il fato.
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72
Quinci una e quindi l'altra urta e sospinge,
né può la turba aprir calcata e spessa;
ma 'l generoso Guelfo allora stringe
contra Clorinda il ferro e le s'appressa,
e calando un fendente alquanto tinge
la fera spada nel bel fianco, ed essa
fa d'una punta a lui cruda risposta
ch'a ferirlo ne va tra costa e costa.
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73
Doppia allor Guelfo il colpo e lei non coglie,
ch'a caso passa il palestino Osmida
e la piaga non sua sopra sé toglie,
la qual vien che la fronte a lui recida.
Ma intorno a Guelfo omai molta s'accoglie
di quella gente ch'ei conduce e guida;
e d'altra parte ancor la turba cresce,
sì che la pugna si confonde e mesce.
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74
L'aurora intanto il bel purpureo volto
già dimostrava dal sovran balcone,
e in quei tumulti già s'era disciolto
il feroce Argillan di sua prigione;
e d'arme incerte il frettoloso avolto,
quali il caso gli offerse o triste o buone,
già se 'n venia per emendar gli errori
novi con novi merti e novi onori.
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Hom. Il. 15.313-324:
Verg. Aen. 11.492-497:
|
75
Come destrier che da le regie stalle,
ove a l'uso de l'arme si riserba,
fugge, e libero al fin per largo calle
va tra gli armenti o al fiume usato o a l'erba:
scherzan su 'l collo i crini, e su le spalle
si scote la cervice alta e superba,
suonano i piè nel corso e par ch'avampi,
di sonori nitriti empiendo i campi;
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Inf. 9.93:
ond'esta oltracotanza in voi s'alletta?
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76
tal ne viene Argillano: arde il feroce
sguardo, ha la fronte intrepida e sublime;
leve è ne' salti e sovra i piè veloce,
sì che d'orme la polve a pena imprime,
e giunto fra nemici alza la voce
pur com'uom che tutto osi e nulla stime:
- O vil feccia del mondo, Arabi inetti,
ond'è ch'or tanto ardire in voi s'alletti?
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Petr. RVF 28.58-60:
popolo ignudo paventoso et lento,
che ferro mai non strigne,
ma tutt'i colpi suoi commette al vento.
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77
Non regger voi de gli elmi e de gli scudi
séte atti il peso, o 'l petto armarvi e il dorso,
ma commettete paventosi e nudi
i colpi al vento e la salute al corso.
L'opere vostre e i vostri egregi studi
notturni son; dà l'ombra a voi soccorso.
Or ch'ella fugge, chi fia vostro schermo?
D'arme è ben d'uopo e di valor più fermo. -
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Verg. Aen. 10.346-349:
Verg. Aen. 6.54-55:
gelidus Teucris per dura cucurrit / ossa tremor
Verg. Aen. 10.489:
et terram hostilem moriens petit ore cruento
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78
Così parlando ancor diè per la gola
ad Algazèl di sì crudel percossa
che gli secò le fauci, e la parola
troncò ch'a la risposta era già mossa.
A quel meschin sùbito orror invola
il lume, e scorre un duro gel per l'ossa:
cade, e co' denti l'odiosa terra
pieno di rabbia in su 'l morire afferra.
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79
Quinci per vari casi e Saladino
ed Agricalte e Muleasse uccide,
e da l'un fianco a l'altro a lor vicino
con esso un colpo Aldiazìl divide;
trafitto a sommo il petto Ariadino
atterra, e con parole aspre il deride.
Ei, gli occhi gravi alzando a l'orgogliose
parole, in su 'l morir così rispose:
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Verg. Aen. 10.739-744:
ille autem exspirans: non me, quicumque es, inulto, /
victor, nec longum laetabere; te quoque fata /
prospectant paria atque eadem mox arva tenebis. /
Ad quem subridens mixta Mezentius ira: /
nunc morere. Ast de me divum pater atque hominum rex /
viderit. Hoc dicens eduxit corpore telum.
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80
- Non tu, chiunque sia, di questa morte
vincitor lieto avrai gran tempo il vanto;
pari destin t'aspetta, e da più forte
destra a giacer mi sarai steso a canto. -
Rise egli amaramente e: - Di mia sorte
curi il Ciel, - disse - or tu qui mori intanto
d'augei pasto e di cani -; indi lui preme
co 'l piede, e ne trae l'alma e 'l ferro insieme.
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81
Un paggio del Soldan misto era in quella
turba di sagittari e lanciatori,
a cui non anco la stagion novella
il bel mento spargea de' primi fiori.
Paion perle e rugiade in su la bella
guancia irrigando i tepidi sudori,
giunge grazia la polve al crine incolto
e sdegnoso rigor dolce è in quel volto.
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82
Sotto ha un destrier che di candore agguaglia
pur or ne l'Apennin caduta neve;
turbo o fiamma non è che roti o saglia
rapido sì come è quel pronto e leve.
Vibra ei, presa nel mezzo, una zagaglia,
la spada al fianco tien ritorta e breve,
e con barbara pompa in un lavoro
di porpora risplende intesta e d'oro.
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Petr. Tr. Cup. 3.130:
Costei non è chi tanto o quanto stringa
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83
Mentre il fanciullo, a cui novel piacere
di gloria il petto giovenil lusinga,
di qua turba e di là tutte le schiere,
e lui non è chi tanto o quanto stringa,
cauto osserva Argillan tra le leggiere
sue rote il tempo in che l'asta sospinga;
e, colto il punto, il suo destrier di furto
gli uccide e sovra gli è, ch'a pena è surto,
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84
ed al supplice volto, il qual in vano
con l'arme di pietà fea sue difese,
drizzò, crudel!, l'inessorabil mano,
e di natura il più bel pregio offese.
Senso aver parve e fu de l'uom più umano
il ferro, che si volse e piatto scese.
Ma che pro, se doppiando il colpo fero
di punta colse ove egli errò primiero?
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Verg. Aen. 9.435-436:
purpureus veluti cum flos succisus aratro / languescit moriens
Ar. Fur. 18.153.1-2:
Come purpureo fior languendo muore,
che 'l vomere al passar tagliato lassa
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85
Soliman, che di là non molto lunge
da Goffredo in battaglia è trattenuto,
lascia la zuffa, e 'l destrier volve e punge
tosto che 'l rischio ha del garzon veduto;
e i chiusi passi apre co 'l ferro, e giunge
a la vendetta sì, non a l'aiuto,
perché vede, ahi dolor!, giacerne ucciso
il suo Lesbin, quasi bel fior succiso.
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Verg. Aen. 9.433-434:
volvitur Euryalus leto, pulchrosque per artus /
it cruor inque humeros cervix conlapsa recumbit
Ov. Met. 10.194-195:
sic vultus moriens iacet et defecta vigore /
ipsa sibi est oneri cervix humeroque recumbit
Lucan. Phars. 9.1043-1046:
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86
E in atto sì gentil languir tremanti
gli occhi e cader su 'l tergo il collo mira;
così vago è il pallore, e da' sembianti
di morte una pietà sì dolce spira,
ch'ammollì il cor che fu dur marmo inanti,
e il pianto scaturì di mezzo a l'ira.
Tu piangi, Soliman? tu, che destrutto
mirasti il regno tuo co 'l ciglio asciutto?
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Verg. Aen. 12.945-947:
ille, oculis postquam saevi monimenta doloris / exuviasque hausit, furiis accensus et ira / terribilis
Ar. Fur. 16.73:
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87
Ma come vede il ferro ostil che molle
fuma del sangue ancor del giovenetto,
la pietà cede, e l'ira avampa e bolle,
e le lagrime sue stagna nel petto.
Corre sovra Argillano e 'l ferro estolle,
parte lo scudo opposto, indi l'elmetto,
indi il capo e la gola; e de lo sdegno
di Soliman ben quel gran colpo è degno.
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Ar. Fur. 37.78.3-6:
o qual mastin ch'al ciottolo che gli abbia
gittato il viandante, corra in fretta,
e morda invano con stizza e con rabbia,
né se ne voglia andar senza vendetta
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88
Né di ciò ben contento, al corpo morto
smontato del destriero anco fa guerra,
quasi mastin che 'l sasso, ond'a lui porto
fu duro colpo, infellonito afferra.
Oh d'immenso dolor vano conforto
incrudelir ne l'insensibil terra!
Ma fra tanto de' Franchi il capitano
non spendea l'ire e le percosse invano.
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89
Mille Turchi avea qui che di loriche
e d'elmetti e di scudi eran coperti,
indomiti di corpo a le fatiche,
di spirto audaci e in tutti i casi esperti;
e furon già de le milizie antiche
di Solimano, e seco ne' deserti
seguìr d'Arabia i suoi errori infelici,
ne le fortune averse ancora amici.
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90
Questi ristretti insieme in ordin folto
poco cedeano o nulla al valor franco.
In questi urtò Goffredo, e ferì il volto
al fier Corcutte ed a Rosteno il fianco,
a Selìn da le spalle il capo ha sciolto,
troncò a Rossano il destro braccio e 'l manco;
né già soli costor, ma in altre guise
molti piagò di loro e molti uccise.
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91
Mentre ei così la gente saracina
percote, e lor percosse anco sostiene,
e in nulla parte al precipizio inchina
la fortuna de' barbari e la spene,
nova nube di polve ecco vicina
che folgori di guerra in grembo tiene,
ecco d'arme improvise uscirne un lampo
che sbigottì de gli infedeli il campo.
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Hom. Il. 2.637-640:
Verg. Georg. 2.43-44:
non, mihi si linguae centum sint oraque centum, / ferrea vox
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92
Son cinquanta guerrier che 'n puro argento
spiegan la trionfal purpurea Croce.
Non io, se cento bocche e lingue cento
avessi, e ferrea lena e ferrea voce,
narrar potrei quel numero che spento
ne' primi assalti ha quel drapel feroce.
Cade l'Arabo imbelle, e 'l Turco invitto
resistendo e pugnando anco è trafitto.
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Verg. Aen. 2.368-369:
crudelis ubique / luctus, ubique pavor et plurima mortis imago
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93
L'orror, la crudeltà, la tema, il lutto,
van d'intorno scorrendo, e in varia imago
vincitrice la Morte errar per tutto
vedresti ed ondeggiar di sangue un lago.
Già con parte de' suoi s'era condutto
fuor d'una porta il re, quasi presago
di fortunoso evento; e quindi d'alto
mirava il pian soggetto e 'l dubbio assalto.
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94
Ma come prima egli ha veduto in piega
l'essercito maggior, suona a raccolta,
e con messi iterati instando prega
ed Argante e Clorinda a dar di volta.
La fera coppia d'esseguir ciò nega,
ebra di sangue e cieca d'ira e stolta;
pur cede al fine, e unite almen raccòrre
tenta le turbe e freno a i passi imporre.
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Petr. RVF 222.9:
Chi pon freno a li amanti, o dà lor legge?
Verg. Aen. 11.876-877:
volvitur ad muros caligine turbidus atra / pulvis
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95
Ma chi dà legge al vulgo ed ammaestra
la viltade e 'l timor? La fuga è presa.
Altri gitta lo scudo, altri la destra
disarma; impaccio è il ferro, e non difesa.
Valle è tra il piano e la città, ch'alpestra
da l'occidente al mezzogiorno è stesa;
qui fuggon essi, e si rivolge oscura
caligine di polve invèr le mura.
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96
Mentre ne van precipitosi al chino,
strage d'essi i cristiani orribil fanno;
ma poscia che salendo omai vicino
l'aiuto avean del barbaro tiranno,
non vuol Guelfo d'alpestro erto camino
con tanto suo svantaggio esporsi al danno.
Ferma le genti; e 'l re le sue riserra,
non poco avanzo d'infelice guerra.
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Verg. Aen. 9.812-814:
tum toto corpore sudor / liquitur et piceum (nec respirare potestas) / flumen agit, fessos quatit aeger anhelitus artus
Lucan. Phars. 6.186-188:
Iamque hebes et crasso non asper sanguine mucro /
percussum Scaevae frangit, non vulnerat hostem; /
perdidit ensis opus, frangit sine vulnere membra
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97
Fatto intanto ha il Soldan ciò che è concesso
fare a terrena forza, or più non pote;
tutto è sangue e sudore, e un grave e spesso
anelar gli ange il petto e i fianchi scote.
Langue sotto lo scudo il braccio oppresso,
gira la destra il ferro in pigre rote:
spezza, e non taglia; e divenendo ottuso
perduto il brando omai di brando ha l'uso.
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Verg. Aen. 10.680-684:
haec memorans animo nunc huc, nunc fluctuat illuc, / an sese mucrone ob tantum dedecus amens / induat et crudum per costas exigat ensem, / fluctibus an iaciat mediis
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98
Come sentissi tal, ristette in atto
d'uom che fra due sia dubbio, e in sé discorre
se morir debba, e di sì illustre fatto
con le sue mani altrui la gloria tòrre,
o pur, sopravanzando al suo disfatto
campo, la vita in securezza porre.
« Vinca » al fin disse « il fato, e questa mia
fuga il trofeo di sua vittoria sia.
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99
Veggia il nemico le mie spalle, e scherna
di novo ancora il nostro essiglio indegno,
pur che di novo armato indi mi scerna
turbar sua pace e 'l non mai stabil regno.
Non cedo io, no; fia con memoria eterna
de le mie offese eterno anco il mio sdegno.
Risorgerò nemico ognor più crudo,
cenere anco sepolto e spirto ignudo. »
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