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1
Già richiamava il bel nascente raggio
a l'opre ogni animal ch'in terra alberga,
quando venendo a i due guerrieri il saggio
portò il foglio e lo scudo e l'aurea verga.
- Accingetevi - disse - al gran viaggio
prima che 'l dì, che spunta, omai più s'erga.
Eccovi qui quanto ho promesso e quanto
può de la maga superar l'incanto. -
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Verg. Aen. 9.392-393:
vestigia retro / observata legit
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2
Erano essi già sorti e l'arme intorno
a le robuste membra avean già messe,
onde per vie che non rischiara il giorno
tosto seguono il vecchio, e son l'istesse
vestigia ricalcate or nel ritorno
che furon prima nel venire impresse;
ma giunti al letto del suo fiume: - Amici,
io v'accommiato: - ei disse - ite felici. -
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3
Gli accoglie il rio ne l'alto seno, e l'onda
soavemente in su gli spinge e porta,
come suol inalzar leggiera fronda
la qual da violenza in giù fu torta,
e poi gli espon sovra la molle sponda.
Quinci miràr la già promessa scorta,
vider picciola nave e in poppa quella
che guidar li dovea fatal donzella.
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4
Crinita fronte essa dimostra, e ciglia
cortesi e favorevoli e tranquille;
e nel sembiante a gli angioli somiglia,
tanta luce ivi par ch'arda e sfaville.
La sua gonna or azzurra ed or vermiglia
diresti, e si colora in guise mille,
sì ch'uom sempre diversa a sé la vede
quantunque volte a riguardarla riede.
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Lucr. 2.801-805:
pluma columbarum quo pacto in sole videtur, /
quae sita cervices circum collumque coronat; /
namque alias fit uti claro sit rubra pyropo, /
inter dum quodam sensu fit uti videatur /
inter caeruleum virides miscere smaragdos
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5
Così piuma talor, che di gentile
amorosa colomba il collo cinge,
mai non si scorge a se stessa simile,
ma in diversi colori al sol si tinge.
Or d'accesi rubin sembra un monile,
or di verdi smeraldi il lume finge,
or insieme gli mesce, e varia e vaga
in cento modi i riguardanti appaga.
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6
- Entrate, - dice - o fortunati, in questa
nave ond'io l'ocean secura varco,
cui destro è ciascun vento, ogni tempesta
tranquilla, e lieve ogni gravoso incarco.
Per ministra e per duce or me vi appresta
il mio signor, del favor suo non parco. -
Così parlò la donna, e più vicino
fece poscia a la sponda il curvo pino.
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Petr. RVF 189.3-4:
[...] et al governo
siede 'l signore, anzi 'l nimico mio
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7
Come la nobil coppia ha in sé raccolta,
spinge la ripa e gli rallenta il morso,
ed avendo la vela a l'aure sciolta,
ella siede al governo e regge il corso.
Gonfio è il torrente sì ch'a questa volta
i navigli portar ben può su 'l dorso,
ma questo è sì leggier che 'l sosterebbe
qual altro rio per novo umor men crebbe.
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Verg. Aen. 5.141:
adductis spumant freta versa lacertis
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8
Veloce sovra il natural costume
spingon la vela inverso il lido i venti:
biancheggian l'acque di canute spume,
e rotte dietro mormorar le senti.
Ecco giungono omai là dove il fiume
queta in letto maggior l'onde correnti,
e ne l'ampie voragini del mare
disperso o divien nulla o nulla appare.
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Verg. Aen. 5.819-821:
caeruleo per summa levis volat aequora curru; /
subsidunt undae tumidumque sub axe tonanti /
sternitur aequor aquis, fugiunt vasto aethere nimbi
Lucr. 1.6-9:
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9
A pena ha tocco la mirabil nave
de la marina allor turbata il lembo,
che spariscon le nubi e cessa il grave
Noto che minacciava oscuro nembo:
spiana i monti de l'onde aura soave
e solo increspa il bel ceruleo grembo,
e d'un dolce seren diffuso ride
il ciel, che sé più chiaro unqua non vide.
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10
Trascorse oltre Ascalona ed a mancina
andò la navicella invèr ponente,
e tosto a Gaza si trovò vicina
che fu porto di Gaza anticamente,
ma poi, crescendo de l'altrui ruina,
città divenne assai grande e possente;
ed eranvi le piagge allor ripiene
quasi d'uomini sì come d'arene.
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11
Volgendo il guardo a terra i naviganti
scorgean di tende numero infinito:
miravan cavalier, miravan fanti
ire e tornar da la cittade al lito,
e da cameli onusti e da elefanti
l'arenoso sentier calpesto e trito;
poi del porto vedean ne' fondi cavi
sorte e legate a l'ancore le navi,
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12
altre spiegar le vele, e ne vedieno
altre i remi trattar veloci e snelle,
e da essi e da' rostri il molle seno
spumar percosso in queste parti e in quelle.
Disse la donna allor: - Benché ripieno
il lido e 'l mar sia de le genti felle,
non ha insieme però le schiere tutte
il potente tiranno anco ridutte.
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13
Sol dal regno d'Egitto e dal contorno
raccolte ha queste; or le lontane attende,
ché verso l'oriente e 'l mezzogiorno
il vasto imperio suo molto si stende.
Sì che sper'io che prima assai ritorno
fatto avrem noi che mova egli le tende:
egli o quel ch'in sua vece esser soprano
de l'essercito suo de' capitano. -
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14
Mentre ciò dice, come aquila sòle
tra gli altri augelli trapassar secura
e sorvolando ir tanto appresso il sole
che nulla vista più la raffigura,
così la nave sua sembra che vòle
tra legno e legno, e non ha tema o cura
che vi sia chi l'arresti o chi la segua;
e da lor s'allontana e si dilegua.
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15
E 'n un momento incontra Raffia arriva,
città la qual in Siria appar primiera
a chi d'Egitto move; indi a la riva
sterilissima vien di Rinocera.
Non lunge un monte poi le si scopriva
che sporge sovra 'l mar la chioma altera
e i piè si lava ne l'instabil onde,
che l'ossa di Pompeo nel grembo asconde.
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Lucan. Phars. 10.509-511:
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16
Poi Damiata scopre, e come porte
al mar tributo di celesti umori
per sette il Nilo sue famose porte
e per cento altre ancor foci minori;
e naviga oltre la città dal forte
greco fondata a i greci abitatori,
ed oltra Faro, isola già che lunge
giacque dal lido, al lido or si congiunge.
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17
Rodi e Creta lontane inverso al polo
non scerne, e pur lungo Africa se 'n viene,
su 'l mar culta e ferace, a dentro solo
fertil di mostri e d'infeconde arene.
La Marmarica rade, e rade il suolo
dove cinque cittadi ebbe Cirene.
Qui Tolomitta e poi con l'onde chete
sorger si mira il fabuloso Lete.
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18
La maggior Sirte a' naviganti infesta,
trattasi in alto, invèr le piaggie lassa,
e 'l capo di Giudeca indietro resta,
e la foce di Magra indi trapassa.
Tripoli appar su 'l lido, e 'ncontra a questa
giace Malta fra l'onde occulta e bassa;
e poi riman con l'altre Sirti a tergo
Alzerbe, già de' Lotofagi albergo.
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19
Nel curvo lido poi Tunisi vede
che d'ambo i lati del suo golfo ha un monte.
Tunisi, ricca ed onorata sede
a par di quante n'ha Libia più conte.
A lui di costa la Sicilia siede,
ed il gran Lilibeo gli inalza a fronte.
Or quivi addita la donzella a i due
guerrieri il loco ove Cartagin fue.
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Sann. Part. Virg. 2.210-221:
Par. 16.76-78:
Petr. Tr. Temp. 112-114:
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20
Giace l'alta Cartago: a pena i segni
de l'alte sue ruine il lido serba.
Muoiono le città, muoiono i regni,
copre i fasti e le pompe arena ed erba,
e l'uom d'esser mortal par che si sdegni:
oh nostra mente cupida e superba!
Giungon quinci a Biserta, e più lontano
han l'isola de' Sardi a l'altra mano.
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21
Trascorser poi le piaggie ove i Numidi
menàr gia vita pastorale erranti.
Trovàr Bugia ed Algieri, infami nidi
di corsari, ed Oràn trovàr più inanti;
e costeggiàr di Tingitana i lidi,
nutrice di leoni e d'elefanti,
ch'or di Marocco è il regno, e quel di Fessa;
e varcàr la Granata incontro ad essa.
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Verg. Aen. 3.414-419:
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22
Son già là dove il mar fra terra inonda
per via ch'esser d'Alcide opra si finse;
e forse è ver ch'una continua sponda
fosse, ch'alta ruina in due distinse.
Passovvi a forza l'oceano, e l'onda
Abila quinci e quindi Calpe spinse;
Spagna e Libia partio con foce angusta:
tanto mutar può lunga età vetusta!
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23
Quattro volte era apparso il sol ne l'orto
da che la nave si spiccò dal lito,
né mai (ch'uopo non fu) s'accolse in porto,
e tanto del camino ha già fornito.
Or entra ne lo stretto e passa il corto
varco, e s'ingolla in pelago infinito.
Se 'l mar qui è tanto ove il terreno il serra,
che fia colà dov'egli ha in sen la terra?
|
Verg. Aen. 3.192-193:
nec iam amplius ullae / apparent terrae, caelum undique et undique pontus
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24
Più non si mostra omai tra gli alti flutti
la fertil Gade e l'altre due vicine.
Fuggite son le terre e i lidi tutti:
de l'onda il ciel, del ciel l'onda è confine.
Diceva Ubaldo allor: - Tu che condutti
n'hai, donna, in questo mar che non ha fine,
di' s'altri mai qui giunse, o se più inante
nel mondo ove corriamo have abitante. -
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Inf. 26.106-109:
Io e' compagni eram vecchi e tardi
quando venimmo a quella foce stretta
dov' Ercule segnò li suoi riguardi
acciò che l'uom più oltre non si metta [...]
|
25
Risponde: - Ercole, poi ch'uccisi i mostri
ebbe di Libia e del paese ispano,
e tutti scòrsi e vinti i lidi vostri,
non osò di tentar l'alto oceano:
segnò le mète, e 'n troppo brevi chiostri
l'ardir ristrinse de l'ingegno umano;
ma quei segni sprezzò ch'egli prescrisse,
di veder vago e di saper, Ulisse.
|
Inf. 26.97-102:
Inf. 26.124-126:
Inf. 26.136-142:
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26
Ei passò le Colonne, e per l'aperto
mare spiegò de' remi il volo audace;
ma non giovogli esser ne l'onde esperto,
perché inghiottillo l'ocean vorace,
e giacque co 'l suo corpo anco coperto
il suo gran caso, ch'or tra voi si tace.
S'altri vi fu da' venti a forza spinto,
o non tornovvi o vi rimase estinto;
|
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27
sì ch'ignoto è 'l gran mar che solchi: ignote
isole mille e mille regni asconde;
né già d'abitator le terre han vòte,
ma son come le vostre anco feconde:
son esse atte al produr, né steril pote
esser quella virtù che 'l sol n'infonde. -
Ripiglia Ubaldo allor: - Del mondo occulto,
dimmi quai sian le leggi e quale il culto. -
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28
Gli soggiunse colei: - Diverse bande
diversi han riti ed abiti e favelle:
altri adora le belve, altri la grande
comune madre, il sole altri e le stelle;
v'è chi d'abominevoli vivande
le mense ingombra scelerate e felle.
E 'n somma ognun che 'n qua da Calpe siede
barbaro è di costume, empio di fede.
|
Petr. RVF 4.5-6:
vegnendo in terra a 'lluminar le carte
ch'avean molt'anni già celato il vero
|
29
- Dunque - a lei replicava il cavaliero
- quel Dio che scese a illuminar le carte
vuol ogni raggio ricoprir del vero
a questa che del mondo è sì gran parte?
- No, - rispose ella - anzi la fé di Piero
fiavi introdotta ed ogni civil arte;
né già sempre sarà che la via lunga
questi da' vostri popoli disgiunga.
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Ar. Fur. 33.21.5-6:
Ar. Fur. 15.22.7-8:
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30
Tempo verrà che fian d'Ercole i segni
favola vile a i naviganti industri,
e i mar riposti, or senza nome, e i regni
ignoti ancor tra voi saranno illustri.
Fia che 'l più ardito allor di tutti i legni
quanto circonda il mar circondi e lustri,
e la terra misuri, immensa mole,
vittorioso ed emulo del sole.
|
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31
Un uom de la Liguria avrà ardimento
a l'incognito corso esporsi in prima;
né 'l minaccievol fremito del vento,
né l'inospito mar, né 'l dubbio clima,
né s'altro di periglio e di spavento
più grave e formidabile or si stima,
faran che 'l generoso entro a i divieti
d'Abila angusti l'alta mente accheti.
|
Petr. Tr. Mor. 1.17-18:
ma ciascuna per sé parea ben degna
di poema chiarissimo e d'istoria.
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32
Tu spiegherai, Colombo, a un novo polo
lontane sì le fortunate antenne,
ch'a pena seguirà con gli occhi il volo
la fama c'ha mille occhi e mille penne.
Canti ella Alcide e Bacco, e di te solo
basti a i posteri tuoi ch'alquanto accenne,
ché quel poco darà lunga memoria
di poema dignissima e d'istoria. -
|
Inf. 26.133-135:
quando n'apparve una montagna, bruna
per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avëa alcuna.
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33
Così disse ella; e per l'ondose strade
corre al ponente e piega al mezzogiorno,
e vede come incontra il sol giù cade
e come a tergo lor rinasce il giorno.
E quando a punto i raggi e le rugiade
la bella aurora seminava intorno,
lor s'offrì di lontano oscuro un monte
che tra le nubi nascondea la fronte.
|
Verg. Aen. 3.578-582:
Ar. Fur. 12.1.3-4:
|
34
E 'l vedean poscia procedendo avante,
quando ogni nuvol già n'era rimosso,
a l'acute piramidi sembiante,
sottile invèr la cima e 'n mezzo grosso,
e mostrarsi talor così fumante
come quel che d'Encelado è su 'l dosso,
che per propria natura il giorno fuma
e poi la notte il ciel di fiamme alluma.
|
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35
Ecco altre isole insieme, altre pendici
scoprian alfin, men erte ed elevate;
ed eran queste l'isole Felici,
così le nominò la prisca etate,
a cui tanto stimava i cieli amici
che credea volontarie e non arate
quivi produr le terre, e 'n più graditi
frutti non culte germogliar le viti.
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Hor. Epod. 16.41-48:
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36
Qui non fallaci mai fiorir gli olivi
e 'l mèl dicea stillar da l'elci cave,
e scender giù da lor montagne i rivi
con acque dolci e mormorio soave,
e zefiri e rugiade i raggi estivi
temprarvi sì che nullo ardor v'è grave;
e qui gli elisi campi e le famose
stanze de le beate anime pose.
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37
A queste or vien la donna, ed: - Omai séte
dal fin del corso - lor dicea - non lunge.
L'isole di Fortuna ora vedete,
di cui gran fama a voi ma incerta giunge.
Ben son elle feconde e vaghe e liete,
ma pur molto di falso al ver s'aggiunge. -
Così parlando, assai presso si fece
a quella che la prima è de le diece.
|
Verg. Aen. 1.203:
et haec olim meminisse iuvabit
Inf. 16.82-84:
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38
Carlo incomincia allor: - Se ciò concede,
donna, quell'alta impresa ove ci guidi,
lasciami omai por ne la terra il piede
e veder questi inconosciuti lidi,
veder le genti e 'l culto di lor fede
e tutto quello ond'uom saggio m'invìdi,
quando mi gioverà narrar altrui
le novità vedute e dir: « Io fui! » -
|
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39
Gli rispose colei: - Ben degna in vero
la domanda è di te, ma che poss'io,
s'egli osta inviolabile e severo
il decreto de' Cieli al bel desio?
ch'ancor vòlto non è lo spazio intero
ch'al grande scoprimento ha fisso Dio,
né lece a voi da l'ocean profondo
recar vera notizia al vostro mondo.
|
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40
A voi per grazia e sovra l'arte e l'uso
de' naviganti ir per quest'acque è dato,
e scender là dove è il guerrier rinchiuso
e ridurlo del mondo a l'altro lato.
Tanto vi basti, e l'aspirar più suso
superbir fòra e calcitrar co 'l fato. -
Qui tacque, e già parea più bassa farsi
l'isola prima e la seconda alzarsi.
|
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41
Ella mostrando gìa ch'a l'oriente
tutte con ordin lungo eran dirette,
e che largo è fra lor quasi egualmente
quello spazio di mar che si framette.
Pònsi veder d'abitatrice gente
case e culture ed altri segni in sette;
tre deserte ne sono, e v'han le belve
securissima tana in monti e in selve.
|
Verg. Aen. 1.159-169:
|
42
Luogo è in una de l'erme assai riposto,
ove si curva il lido e in fuori stende
due larghe corna, e fra lor tiene ascosto
un ampio sen, e porto un scoglio rende,
ch'a lui la fronte e 'l tergo a l'onda ha opposto
che vien da l'alto e la respinge e fende.
S'inalzan quinci e quindi, e torreggianti
fan due gran rupi segno a' naviganti.
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43
Tacciono sotto i mar securi in pace;
sovra ha di negre selve opaca scena,
e 'n mezzo d'esse una spelonca giace,
d'edera e d'ombre e di dolci acque amena.
Fune non lega qui, né co 'l tenace
morso le stanche navi ancora frena.
La donna in sì solinga e queta parte
entrava, e raccogliea le vele sparte.
|
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44
- Mirate - disse poi - quell'alta mole
ch'a quel gran monte in su la cima siede.
Quivi fra cibi ed ozio e scherzi e fole
torpe il campion de la cristiana fede.
Voi con la guida del nascente sole
su per quell'erto moverete il piede;
né vi gravi il tardar, però che fòra,
se non la matutina, infausta ogn'ora.
|
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45
Ben co 'l lume del dì ch'anco riluce
insino al monte andar per voi potrassi. -
Essi al congedo de la nobil duce
poser nel lido desiato i passi,
e ritrovàr la via ch'a lui conduce
agevol sì ch'i piè non ne fur lassi;
ma quando v'arrivàr, da l'oceano
era il carro di Febo anco lontano.
|
Claud. Rap. Pros. 1.165-166:
Sed quamvis nimio fervens exuberet aestu, /
scit nivibus servare fidem pariterque favillis.
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46
Veggion che per dirupi e fra ruine
s'ascende a la sua cima alta e superba,
e ch'è fin là di nevi e di pruine
sparsa ogni strada: ivi ha poi fiori ed erba.
Presso al canuto mento il verde crine
frondeggia, e 'l ghiaccio fede a i gigli serba
ed a le rose tenere: cotanto
puote sovra natura arte d'incanto.
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Inf. 6.13-15:
Cerbero, fiera crudele e diversa,
con tre gole caninamente latra
sovra la gente che quivi è sommersa.
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47
I duo guerrier, in luogo ermo e selvaggio
chiuso d'ombre, fermàrsi a piè del monte;
e come il ciel rigò co 'l novo raggio
il sol, de l'aurea luce eterno fonte:
- Su su - gridaro entrambi, e 'l lor viaggio
ricominciàr con voglie ardite e pronte.
Ma esce non so donde, e s'attraversa
fèra serpendo orribile e diversa.
|
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48
Inalza d'oro squallido squamose
le creste e 'l capo, e gonfia il collo d'ira,
arde ne gli occhi, e le vie tutte ascose
tien sotto il ventre, e tòsco e fumo spira;
or rientra in se stessa, or le nodose
ruote distende, e sé dopo sé tira.
Tal s'appresenta a la solita guarda,
né però de' guerrieri i passi tarda.
|
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49
Già Carlo il ferro stringe e 'l serpe assale,
ma l'altro grida a lui: - Che fai? che tente?
per isforzo di man, con arme tale
vincer avisi il difensor serpente? -
Egli scote la verga aurea immortale
sì che la belva il sibilar ne sente,
e impaurita al suon, fuggendo ratta,
lascia quel varco libero e s'appiatta.
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Hom. Il. 20.207-214:
Lucan. Phars. 1.205-212:
|
50
Più suso alquanto il passo a lor contende
fero leon che rugge e torvo guata,
e i velli arrizza, e le caverne orrende
de la bocca vorace apre e dilata.
Si sferza con la coda e l'ire accende,
ma non è pria la verga a lui mostrata
ch'un secreto spavento al cor gli agghiaccia
l'ira e 'l nativo orgoglio, e 'n fuga il caccia.
|
|
51
Segue la coppia il suo camin veloce,
ma formidabile oste han già davante
di guerrieri animai, vari di voce,
vari di moto, vari di sembiante.
Ciò che di mostruoso e di feroce
erra fra 'l Nilo e i termini d'Atlante
par qui tutto raccolto, e quante belve
l'Ercinia ha in sen, quante l'ircane selve.
|
|
52
Ma pur sì fero essercito e sì grosso
non vien che lor respinga o che resista,
anzi (miracol novo) in fuga è mosso
da un picciol fischio e da una breve vista.
La coppia omai vittoriosa il dosso
de la montagna senza intoppo acquista,
se non se in quanto il gelido e l'alpino
de le rigide vie tarda il camino.
|
Purg. 28.7-9:
Un'aura dolce, sanza mutamento
avere in sé, mi feria per la fronte
non di più colpo che soave vento
|
53
Ma poi che già le nevi ebber varcate
e superato il discosceso e l'erto,
un bel tepido ciel di dolce state
trovaro, e 'l pian su 'l monte ampio ed aperto.
Aure fresche mai sempre ed odorate
vi spiran con tenor stabile e certo,
né i fiati lor, sì come altrove sòle,
sopisce o desta, ivi girando, il sole;
|
Lucr. 3.18-22:
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54
né, come altrove suol, ghiacci ed ardori
nubi e sereni a quelle piaggie alterna,
ma il ciel di candidissimi splendori
sempre s'ammanta e non s'infiamma o verna,
e nudre a i prati l'erba, a l'erba i fiori,
a i fior l'odor, l'ombra a le piante eterna.
Siede su 'l lago e signoreggia intorno
i monti e i mari il bel palagio adorno.
|
Purg. 28.25-33:
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55
I cavalier per l'alta aspra salita
sentiansi alquanto affaticati e lassi,
onde ne gian per quella via fiorita
lenti or movendo ed or fermando i passi.
Quando ecco un fonte, che a bagnar gli invita
l'asciutte labbia, alto cader da' sassi
e da una larga vena, e con ben mille
zampilletti spruzzar l'erbe di stille.
|
|
56
Ma tutta insieme poi tra verdi sponde
in profondo canal l'acqua s'aduna,
e sotto l'ombra di perpetue fronde
mormorando se 'n va gelida e bruna,
ma trasparente sì che non asconde
de l'imo letto suo vaghezza alcuna;
e sovra le sue rive alta s'estolle
l'erbetta, e vi fa seggio fresco e molle.
|
|
57
- Ecco il fonte del riso, ed ecco il rio
che mortali perigli in sé contiene.
Or qui tener a fren nostro desio
ed esser cauti molto a noi conviene:
chiudiam l'orecchie al dolce canto e rio
di queste del piacer false sirene,
così n'andrem fin dove il fiume vago
si spande in maggior letto e forma un lago. -
|
|
58
Quivi de' cibi preziosa e cara
apprestata è una mensa in su le rive,
e scherzando se 'n van per l'acqua chiara
due donzellette garrule e lascive,
ch'or si spruzzano il volto, or fanno a gara
chi prima a un segno destinato arrive.
Si tuffano talor, e 'l capo e 'l dorso
scoprono alfin dopo il celato corso.
|
|
59
Mosser le natatrici ignude e belle
de' duo guerrieri alquanto i duri petti,
sì che fermàrsi a riguardarle; ed elle
seguian pur i lor giochi e i lor diletti.
Una intanto drizzossi, e le mammelle
e tutto ciò che più la vista alletti
mostrò dal seno in suso, aperto al cielo;
e 'l lago a l'altre membra era un bel velo.
|
Verg. Aen. 8.589-591:
qualis ubi Oceani perfusus Lucifer unda,
quem Venus ante alios astrorum diligit ignis,
extulit os sacrum caelo tenebrasque resolvit
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60
Qual matutina stella esce de l'onde
rugiadosa e stillante, o come fuore
spuntò nascendo già da le feconde
spume de l'ocean la dea d'amore,
tal apparve costei, tal le sue bionde
chiome stillavan cristallino umore.
Poi girò gli occhi, e pur allor s'infinse
que' duo vedere e in sé tutta si strinse;
|
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61
e 'l crin, ch'in cima al capo avea raccolto
in un sol nodo, immantinente sciolse,
che lunghissimo in giù cadendo e folto
d'un aureo manto i molli avori involse.
Oh che vago spettacolo è lor tolto!
ma non men vago fu chi loro il tolse.
Così da l'acque e da' capelli ascosa
a lor si volse lieta e vergognosa.
|
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62
Rideva insieme e insieme ella arrossia,
ed era nel rossor più bello il riso
e nel riso il rossor che le copria
insino al mento il delicato viso.
Mosse la voce poi sì dolce e pia
che fòra ciascun altro indi conquiso:
- Oh fortunati peregrin, cui lice
giungere in questa sede alma e felice!
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Questo è il porto del mondo; e qui è il ristoro
de le sue noie, e quel piacer si sente
che già sentì ne' secoli de l'oro
l'antica e senza fren libera gente.
L'arme, che sin a qui d'uopo vi foro,
potete omai depor securamente
e sacrarle in quest'ombra a la quiete,
ché guerrier qui solo d'Amor sarete,
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Petr. RVF 226.8:
et duro campo di battaglia il letto.
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e dolce campo di battaglia il letto
fiavi e l'erbetta morbida de' prati.
Noi menarenvi anzi il regale aspetto
di lei che qui fa i servi suoi beati,
che v'accorrà nel bel numero eletto
di quei ch'a le sue gioie ha destinati.
Ma pria la polve in queste acque deporre
vi piaccia, e 'l cibo a quella mensa tòrre. -
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L'una disse così, l'altra concorde
l'invito accompagnò d'atti e di sguardi,
sì come al suon de le canore corde
s'accompagnano i passi or presti or tardi.
Ma i cavalieri hanno indurate e sorde
l'alme a que' vezzi perfidi e bugiardi,
e 'l lusinghiero aspetto e 'l parlar dolce
di fuor s'aggira e solo i sensi molce.
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E se di tal dolcezza entro trasfusa
parte penétra onde il desio germoglie,
tosto ragion ne l'arme sue rinchiusa
sterpa e riseca le nascenti voglie.
L'una coppia riman vinta e delusa,
l'altra se 'n va, né pur congedo toglie.
Essi entràr nel palagio, esse ne l'acque
tuffàrsi: la repulsa a lor sì spiacque.
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