Banca Dati "Nuovo Rinascimento"


LETTURE DEL SONETTO
I' ho già fatto un gozzo in questo stento
DI MICHELANGELO BUONARROTI


DANILO ROMEI, "Bernismo" di Michelangiolo, in Berni e berneschi del Cinquecento, Firenze, Edizioni Centro 2 P, 1984, pp. 139-182





p. 139


Stante la seriosa e inamena caligine in cui versa tanta parte della critica letteraria, si deve riconoscenza a ogni fonte e occasione di sia pur breve letizia. Anche quando sia involontaria, naturalmente. E dunque saremo grati d'un lampo giocondo a Robert J. Clements per le pagine che ha dedicato a Berni and Michelangelo's Bernesque verse, fra le più spropositate e stravaganti che mi sia mai capitato di leggere (in qualsiasi lingua). Locus autem et regio quasi ridiculi, è saggio ammonimento di Cicerone, turpidudine et deformitate quadam continetur; e non vi è dubbio che una qualche deformità alligni rubesta nella scrittura dell'illustre studioso newyorkese, fortificato quanto si voglia da un'annosa e passionata militanza critica michelangiolesca. Non serve dilungarsi in puntuali commenti e impietose contestazioni; mi basta, per il discorso che intendo svolgere, un'elementare osservazione di cronologia relativa (non nuova, del resto). Il celebre sonetto di Michelangiolo I' ho già fatto un gozzo in questo stento, spacciato senz'altro per bernesco, come, in solido, tutta la sua poesia giocosa, fu composto, senza possibilità d'errore, fra il 1508 e il 1512, all'epoca dell'affrescatura della volta della Sistina. Che il Berni fosse allora uno scherzoso garzoncello, al massimo quindicenne, ha per me un qualche maggior rilievo che per il Clements. [...]




pp. 154-156


[...] Così, è facile reperire documenti epistolari, a specchio del sonetto 5 (I' ho già fatto un gozzo), che manifestino i corporali disagi e le acute insofferenze che affliggono l'eroica impresa della volta della Sistina. Basta scorrere la missiva a Buonarroto del 17 novembre 1509:
Io sto qua in grande afanno e con grandissima fatica di corpo, e non ò amici di nessuna sorte, e no' ne voglio; e non ò tanto tempo che io possa mangiare el bisonio mio. Però non mi sia data più noia, che no' ne potrei soportar più un'oncia.

Ed è documento efficacissimo, non per incondita immediatezza, ma per la straordinaria capacitàà di scrittura: l'oratio soluta, apparentemente dimessa, è un montaggio di accorgimenti di stile, dal polisindeto all'anafora («e non ò... e no' ne voglio; e non ò...»), all'incrementum («grande... grandissima...»), al calcolo consequenziario («tanto tempo che... Però... che...»). Ma il sonetto è tutt'altra cosa (diversa - si badi -, non necessariamente migliore):

   I' ho già fatto un gozzo in questo stento,
come fa l'acqua a' gatti in Lombardia
o ver d'altro paese che si sia
c'a forza 'l ventre appicca sotto 'l mento.   4
	La barba al cielo, e la memoria sento
in sullo scrigno, e 'l petto fo d'arpia,
e 'l pennel sopra 'l viso tuttavia
mel fa, gocciando, un ricco pavimento.        8
	E' lombi entrati mi son nella peccia,
e fo del cul per contrapeso groppa,
e ' passi senza gli occhi muovo invano.      11
	Dinanzi mi s'allunga la corteccia,
e per piegarsi adietro si ragroppa,
e tendomi com'arco soriano.                  14

Si osservi che il montaggio sintattico è almeno in parte analogo a quello del lacerto epistolare: anche qui un enfatico interminabile polisindeto che attraversa ben due terzine e una quartina e disegna una curva prosodica ascendente (pressoché ininterrotta) fra il proposto inaugurale («I' ho già fatto un gozzo...» 'sono pieno') e la finale risoluzione amara e riflessiva:

             Però fallace e strano
surge il iudizio che la mente porta,
ché mal si tra' per cerbottana torta.        17
             La mia pittura morta
difendi orma', Giovanni, e 'l mio onore,
non sendo in loco bon, né io pittore.        20

La differenza sta principalmente nell'iperbole comica che satura ed ingozza il sonetto e che è, in primo luogo, un istituto letterario: di magisterio burchiellesco, direi. (1) È per me evidente che qui il «realismo» non ha luogo alcuno. Anche la «caricatura» mi sembra inadeguata, così come improduttivo il confronto con l'arte figurativa: la ben nota figurina che illustra l'autografo (un autografo celebre) ha poco a che vedere. (2) Più vicino al vero siamo, a mio parere, quando si parla di un «uso estremo delle immagini realistiche [...] in una via antiedonistica e antidescrittiva, violentemente espressiva». È una visione deformante, allucinatoria, quella che il poeta confessa nel «iudizio» che «surge» «fallace e strano». È certo, comunque, che la comicità è, qui, crudele: con una ferocia autolesionista, con un furore di «autodenigrazione» (su cui insiste la lettura di Hugo Friedrich) (3) che fa dell'istituto giocoso uno spietato "scandaglio", volto ad atroce notomia di sé. E mi piace richiamare, per l'affinità tematico-espressiva e per la contiguità cronologica (non certo per un possibile rapporto di derivazione) i due sonetti a Giuliano de' Medici che Niccolò Macchiavelli compose nel 1513 in carcere, sospetto di aver congiurato con il Boscoli contro l'appena restaurato potere mediceo. Anche in essi [...] una rappresentazione comica, a contraggenio, delle proprie miserie e dei propri tormenti, in cui il riso è alternativa al pianto, l'autocaricatura all'autocommiserazione; è, al limite, una questione di ritegno, di pudore, di filtro emotivo ed espressivo; ed è, in fondo, una scelta di dignità.





(1) Penso a modelli come Son diventato in questa malattia e Io son sì magro, che quasi traluco, alle pp. 100 e 114-115 dei Sonetti del Burchiello del Bellincioni e d'altri poeti fiorentini alla burchiellesca, in Londra [ma Lucca e Livorno], 1757. La rima corteccia : peccia è già nel sonetto Di qua da Quercia grossa un trar di freccia, vv. 4-5; l'«arco soriano» almeno nell'incipit Braccia sanesi e archi soriani (ma è sintagma proverbiale e vulgato fin dal Due/Trecento).

(2) Anche per il de Tolnay «la caricatura si limita alla pittura sulla Volta e non include il pittore, che [...] ricorda alcuni schizzi spiritosi di Leonardo da Vinci» (CHARLES DE TOLNAY, Corpus dei disegni di Michelangelo, I, Novara, Istituto Geografico De Agostini - Ente della Casa Buonarroti, 1975, p. 126).

(3) HUGO FRIEDRICH, Epoche della lirica italiana, vol. II, Il Cinquecento, trad. it. di L. BANFI e G. CACCHI BRUSCAGLIONI, Milano, Mursia («Strumenti per una nuova cultura - Guide e manuali», 24), 1975, cap. II, pp. 17-83, passim.




immesso in rete il 20 dicembre 1995