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"BAIE"

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STUDI



 

CORSARO



     L'atteggiamento che il Berni ha verso la poesia ed i poeti può essere chiaramente esemplificato con le argomentazioni riportate nel Dialogo contra i poeti. Qui l'inutilità della poesia rappresenta il principale movente dell'opera, nella quale "la funzione estetica della scrittura" viene definita come assolutamente insufficiente. Non solo, i poeti sono per l'autore "gente immorale, ma anche e soprattutto gente che trasgredisce e fa spregio dei comandamenti di Nostro Signore perché atea e pagana, inosservante, blasfema; gente ambiziosa che fa proprio un irrazionale culto della poesia per arricchirsi a spese dei potenti" (p. 1) Lo scadere della letteratura a elemento d'intrattenimento per il signore è la base su cui il Berni fonda la sua concezione di strumento "retorico-formale. La lingua, in quanto elemento di persuasione, è un vuoto contenitore che presta il fianco ad ogni tipo di irregolare falsificazione" (pp. 5-6) Da qui l'assoluta divaricazione fra poesia e verità, che porta il Berni ad un uso delle lettere comico, gergale, paradossale (pp. 1-6)

     Se pensiamo, poi, al periodo in cui il Dialogo è stato composto (fine '25 - inizio '26) appare chiara l'influenza dell'ambiente, in cui il Berni lavorava, dominato dal suo padrone Giovan Matteo Giberti. L'intransigenza religiosa di quest'ultimo (nonché di un altro suo collaboratore e principale interlocutore del Dialogo, Giovan Battista Sanga) si collega sicuramente ad un generale ripensamento dell'umanesimo che va a scontrarsi con l'ufficiale cultura umanistica della curia romana (pp. 30-32)

     Rinnegando la sua produzione burlesca precedente (le sue "baie") il Berni cerca, in questi anni, l'unione "fra letteratura, morale storica e spiritualità cristiana" (ricordiamo, per esempio, il Comento al capitolo della primiera o il rifacimento dell'Orlando innamorato) (p. 34)
 

ROMEI Introduzione



     Nel 1526 compare il Dialogo contra i poeti che "è, nella sostanza, un opuscolo acremente polemico, con punte di autentica crudeltà [...], che denuncia e condanna l'inane protervia, lo squallore morale, l'empietà della poesia umanistica [...]. Le complicità ideologiche che traspaiono dal dialogo (la disputa rigorista contro la poesia, la disputa sull'imitazione [...]) escludono perentoriamente che vi si possa leggere una poetica delle 'bagatelle', del disimpegno giocoso, o, al contrario, dell'impegno realistico, malgrado le istanze di petrosa concretezza che vi sono espresse [...]: per la poesia non c'è scampo, la giustificazione è soltanto nelle 'opere virtuose', nella rettitudine morale. Quanto a sé, 'se quelle baie' che ha fatto 'se debbono chiamare poesia', il Berni conferma solennemente 'che si spoeta'" (pp. 10-11)
 

VIRGILI



     Negli anni del primo e secondo periodo romano il Berni compose numerosi capitoli e sonetti di genere satirico e paradossale (si pensi alle "pesche", ai "cardi", alla "gelatina", ai "ghiozzi", alle "anguille" e all'"orinale") riscuotendo un enorme favore e assicurandosi una folta schiera di imitatori. Ma sembra che il Berni non fosse poi così entusiasta di questa sua produzione. Probabilmente "vide tutto quello che in [essa] era di passeggero, caduco e non durabile: [per questo] voleva [...] lasciarne meno traccia [possibile]; voleva recitarle da sé, non darle a leggere altrui; affidarle all'orecchio, sempre più benigno giudice e men tenace che l'occhio, vederle insomma disperdersi in quegli echi di sonore risate, che a sentirgliele recitare scoppiavano [...]" (p. 65)

     Molti signori e padroni, soprattutto, avevano una gran voglia di possedere queste "bizzarrie" e gliene facevano gran richiesta. Il Berni, dal canto suo, cercava con vari pretesti di non accontentarli e quando non poteva si raccomandava perché li tenessero segreti e non li facessero girare per molte mani. Preferiva recitarli a memoria evitando perfino di tenerne una copia scritta e tanto meno stampata, come si legge anche nelle stanze autobiografiche ("[...] capitoli a mente / D'orinali e d'anguille recitava" LXVII 41). Non c'era astuzia in questo suo atteggiamento ma, forse, solo coscienza di ciò che in essi era di superficiale e un "rispetto al pudore, troppo spesso e troppo crudamente offeso, in quei versi" (pp. 120-121) 

     Gran parte della produzione letteraria del Berni venne tenuta in scarsa considerazione da lui stesso, che infatti ne gradiva poco la diffusione. Diverso concetto ebbe invece del rifacimento, nel quale il Berni riversò tutto il suo impegno e tutto se stesso. È vero però che neppure il rifacimento vide mai la stampa (forse per altri motivi rispetto a quelli occorsi per le sue "baie") e che nel suo secolo egli divenne famoso soprattutto per le "pesche", le "anguille" e gli "orinali" (pp. 150-151)

     Il trasferimento a Verona, al seguito del Giberti, portò una svolta nella produzione letteraria del Berni. Prima di tutto "non ci occorreranno più [...] quelle sue baie [...]: alle sue bizzarrie si mescola d'ora innanzi [...] qualche cosa di serio"; e dei suoi nuovi proponimenti si ha una chiara prova nella lettera a Caterina Cybo del 10 ottobre 1528 (p. 212)