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   BERNI  XLII 1-4 [II xiii 1-4]

   BOIARDO  II xii 1-4
 

PREMESSA

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DEL TESTO

NOTA
AL TESTO

BIBLIOGRAFIA

SIGLE

PERSONE

SOGGETTI

Rime
 

1
Perché con voi convien ch'io mi governi
Nel corso mio, se non vogl'ire al fondo,
Vi prego un'altra volta, lumi eterni,
Che d'ozio e di viltà sgombrate il mondo,
Grazia da' corpi vostri alti e superni
Piova, e faccia il mio canto sì giocondo
E sì altier, ch'a voi la voce saglia,
Perch'io canto d'amore e di battaglia.
2
L'un e l'altro esercizio è giovenile,
Nimico di riposo, atto all'affanno;
L'un e l'altro mestier da uom gentile
Che fatica non fugga e sprezzi 'l danno.
Con questi fassi l'animo virile,
Quantunque oggi assai mal tutte si fanno;
Per gloria già solea la guerra farsi,
Taverna e mercanzia può or chiamarsi.
3
E già fu madre degna ed onorata
Di tanti glorïosi capitani;
E la stagion d'amore anch'è passata,
Poi che con tanti affanni e pensier vani,
Senza aver di diletto una giornata,
Si pasce l'uom del viso e delle mani,
Come sa dir chi n'ha fatta la prova,
Che raro in donna fermezza si trova.
4
Deh non guardate, damigelle, al sdegno
Che l'uom fa molte volte esser audace.
Tutte le donne non vanno ad un segno;
Una è buona e leal, l'altra è fallace;
Ed io per quella che 'l mio core ha in pegno
A tutte l'altre mercé chieggio e pace;
E ciò che sopra pazzamente dico,
Per quelle intendo sol del tempo antico,
5
Fra le qual so che non porrete mai
Quella che sopra vedeste venire.
Vi ricordate ben dove lasciai,
Che di due donne vi volevo dire:
Una prima, che pianto ch'ebbe assai,
In acqua con un drago lasciossi ire;
L'altra ch'al conte si mostrò sì umana:
Quella dal drago morto era Morgana;
 
1
Stella de amor, che 'l terzo cel governi,
E tu, quinto splendor sì rubicondo,
Che, girando in duo anni e cerchi eterni,
De ogni pigrizia fai digiuno il mondo,
Venga da' corpi vostri alti e superni
Grazia e virtute al mio cantar iocondo,
Sì che lo influsso vostro ora mi vaglia,
Poi ch'io canto de amor e di battaglia.
2
L'uno e l'altro esercizio è giovenile,
Nemico di riposo, atto allo affanno;
L'un e l'altro è mestier de omo gentile,
Qual non rifiuti la fatica, o il danno;
E questo e quel fa l'animo virile,
A benché al dì de ancoi, se io non m'inganno,
Per verità de l'arme dir vi posso
Che meglio è il ragionar che averle in dosso,
3
Poi che quella arte degna ed onorata
Al nostro tempo è gionta tra villani;
Né l'opra più de amore anco è lodata,
Poscia che in tanti affanni e pensier vani,
Senza aver de diletto una giornata,
Si pasce di bel viso e guardi umani;
Come sa dir chi n'ha fatto la prova,
Poca fermezza in donna se ritrova.
4
Deh! Non guardate, damigelle, al sdegno
Che altrui fa ragionar come gli piace;
Non son tutte le dame poste a un segno,
Però che una è leal, l'altra fallace;
Ed io, per quella che ha il mio core in pegno,
Cheggio mercede a tutte l'altre e pace;
E ciò che sopra ne' miei versi dico,
Per quelle intendo sol dal tempo antico:
 
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