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POLTRONERIA - PERVERSITÀ

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DEL TESTO

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TESTI



 

STUDI



 

MARTI



     Nell'autoritratto che il Berni ha lasciato di sé nelle stanze autobiografiche l'elemento che maggiormente spicca è senza dubbio l'amore per la poltroneria: "'il suo sommo bene era in jacere / nudo, lungo disteso; e 'l suo diletto / era non far mai nulla e starsi in letto'. La quale 'poltroneria', tuttavia, era ampiamente giustificata: 'Tanto era dallo scriver stracco e morto, / sì i membri e i sensi aveva strutti ed arsi, / che non sapeva in più tranquillo posto / da così tempestoso mar ritrarsi, / né più conforme antidoto e conforto / dar a tante fatiche, che lo starsi, / che starsi in letto e non far mai niente / e così il corpo rifare e la mente'. E standosi in letto guardare, dei correnti, 'qual era largo o stretto / e se più lungo l'un dell'altro pare, / s'egli eran pari o caffo, e s'eran sodi, / se v'era dentro tarli o buchi o chiodi'. [...] Se un vero significato interiore [...] si voglia attribuire [a tutto ciò], oltre a quello di una precisa elezione letteraria, occorrerà pensare all'irrequietezza e all'indecisione spirituale tra una vita spensierata e godereccia e le esigenze riformistiche con il loro più affiorante richiamo morale; indecisione, che negli ultimi anni della vita del Berni sembra assumere la forza di un contrasto. L'ozio o la 'poltroneria' [...] non nasce dall'urgenza del superamento della vita d'ogni giorno per il raggiungimento ed il possesso di valori o di miti eterni ed universali (religione, filosofia, poesia), ma rimane l'aspirazione verso un impossibile nulla come regione di immobile rifugio di un'anima, che non ha saputo trovare il suo centro" (p. 222)
 

ROMEI Introduzione



     Il 10 ottobre 1528 il Berni scrisse in una lettera a Maria Caterina Cybo: lasciate "'ch'io vinca un poco questa mia poltroneria, con la quale ho combattuto tanti anni e sempre ho perso, come faceva colui con la cena, [e] la vostra eccellenzia conoscerà ch'io sono un uomo da bene, idest ho voglia di essere un uomo da bene; e che sia vero, son tornato a Verona per stare appresso ad un uomo da bene e provare se li essempli suoi mi possono far qualche giovamento'. Non che fossero venute meno le sue indocili ritrosie (nella stessa lettera confessava di non potersi togliere di mente l'allegra vita della Roma leonina; e di cenni di insofferenza [...] sono  sparse le scritture coeve) né che il Berni si facesse troppe illusioni sul proprio conto (ebbe sempre chiarissima coscienza di un dissidio interiore fra le sue nobili aspirazioni e una radice negativa del proprio essere e del proprio conoscersi, che chiamerà ora 'natura dappoca', poi 'poltroneria', infine 'perversità')" (p. 13)

     "L''ottica crudele' del Berni [...] nel suo scasso impietoso e febbrile ambisce a scoperchiare le storte fondamenta del mondo: in una sorta di allegro trionfo della morte, o, piuttosto, della perversità [...] immortale" (p. 15)
 

VIRGILI



     Il Berni accenna spesso nei suoi scritti (per esempio in alcuni luoghi delle Rime oppure in LXVII 46-56 dell'Orlando rifatto) ad un aspetto dolente della sua personalità: la poltroneria. "Quello a cui l'indole sua si ribellava, [...] e dove egli diventava proprio poltrone, era il lavoro imposto, lo scriver lettere e rispondere, [maggiormente] per conto altrui: e infatti in quel fantastico palazzo del riso, ov'egli avrebbe voluto riposo alla travagliata sua vita,

Sopra tutto le lettere sbandite,
E penne e inchiostro e carta e polvere era.
               (LXVII 55)

     Forse è così che deve essere inteso questo aspetto del suo carattere, che egli menziona frequentemente" (p. 211)