INDICE |
BERNI XIV 23-31 [I xiv 23-31] |
BOIARDO I xiv 19-21 |
PREMESSA |
22 La misera città già tutta è presa: Oh vista degna di compassïone! In ogni parte è l'alta fiamma accesa, Uccise son le bestie e le persone; Sol la rocca di sopra s'è difesa Nell'alto sasso ch'è sopra 'l girone; Tutte le case intorno in ogni loco Vanno a rovina, e son piene di foco. 23 Io vorrei dir; ma l'animo l'aborre, Le lagrime impediscon le parole, La spaventata memoria stracorre. Ché ricordarsi tanto mal non vuole; Vorrei qui (dico) per esempio porre Quel dì cui più crudel non vide il sole, Più crudele spettacolo e più fiero Della città del successor di Piero, 24 Quando correndo gli anni del Signore Cinquecento appo mille e ventisette, Allo spagnuolo, al tedesco furore, A quel d'Italia in preda Iddio la dètte; Quando il Vicario suo nostro pastore Nelle barbare man prigione stette; Né fu a sesso, né grado alcuno, a stato, Ad età, né a Dio pur perdonato. 25 I casti altari, i tempi sacrosanti, Dove si cantan laudi e sparge incenso, Furno di sangue pien tutti e di pianti. Oh peccato inaudito, infando, immenso! Per terra tratte fur l'ossa de' Santi, E (quel ch'io tremo a dir, quanto più il penso, Vengo bianco, Signore, aggiaccio e torpo) Fu la tua carne calpesta e 'l tuo corpo. 26 Le tue vergini sacre a mille torti, A mille scorni tratte pe' capelli. È leggier cosa dir che i corpi morti Fur pasto delle fiere e degli uccelli; Ma ben grave a sentire esser risorti Anzi al tempo que' ch'eran negli avelli; Anzi al suon dell'estrema orribil tromba Esser stati cavati della tomba. 27 Sì come in molti luoghi vider questi Occhi infelice miei per pena loro, Fin all'ossa sepolte fur molesti Gli scellerati per trovar tesoro. Ah Tevere crudel, che sostenesti, E tu, Sol, di veder sì rio lavoro; Come non ti fuggisti all'orizzonte, E tu non ritornasti verso la fonte? 28 Ma fusse pur che i nostri e' lor peccati Col tuo largo diluvio ultimamente Avessi a guisa di macchie lavati, Sì che il Settimo mio signor Clemente Vivesse anni più lieti e più beati, Che vissuti non ha fin al presente, Dalle fatiche sue posando ormai. Ma torniamo alla strage ch'io lasciai. 29 La damigella non sa più che farsi, Confusa di dolor, piena di scorno: In quella rôcca molto non può starsi; A pena v'è da viver per un giorno: Chi l'avesse veduta lamentarsi, E battersi con mano il viso adorno, Sebben fusse una fiera aspra spietata, L'arebbe co' lamenti accompagnata. 30 In rocca con la donna son salvati Tre re con trenta persone più care, Quasi tutti feriti e mal tratti. Quella fortezza si può bestemmiare; Onde tra lor si son diliberati Ch'ognuno il suo caval debbia ammazzare, Ed aiutarsi fin che Dio lor manda, In qualche modo, soccorso e vivanda. 31 Maraviglia mi fo d'un tanto errore D'Angelica, ch'avendo per tanti anni Fornita la città fin di savore, La rocca avesse sì leggier di panni. Forse che la lo fe' per troppo core; Forse che vi giocarno ancora inganni, Com'avvien che sopr'un l'uom si riposa: Certo è ch'ella lo fe' per qualche cosa. |
19 E tutta la citate hanno già presa: Mai non fu vista tal compassïone. La bella terra da ogni parte è incesa, E sono occise tutte le persone; Sol la rocca di sopra se è diffesa Ne l'alto sasso, dentro dal zirone: Tutte le case in ciascuno altro loco Vanno a roina, e son piene di foco. 20 La damisella non sa che si fare, Poi che è condotta a così fatto scorno; In quella rocca non è che mangiare, Apena évi vivande per un giorno. Chi l'avesse veduta lamentare E battersi con man lo viso adorno, Uno aspro cor di fiera o di dragone Seco avria pianto di compassïone. 21 Dentro alla rocca son tre re salvati Con la donzella, e trenta altre persone, Per la più parte a morte vulnerati. La rocca è forte fora di ragione, Onde tra lor se son deliberati Che ciascuno occidesse il suo ronzone, E far contra de' Tartari contesa, Sin che Dio li mandasse altra diffesa. |
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