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BERNI LVIII 1-4 [II xxix 1-4] |
BOIARDO II xxix 1 |
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1 Ha qualche volta un ortolan parlato Cose molto a proposito alla gente; E da un mantel rotto e sporco è stato Molte volte coperto un uom prudente. Hammi quel tamburin la vita dato, Che sopra ragionò sì arditamente: Così volesse Dio che assai par suoi Per gli Agramanti nostri avessim noi. 2 Ma in quella vece abbiamo adulatori, Parassiti, ruffian, che i lor peccati Vanno adombrando con vaghi colori, E dicon le bugie per esser grati; Onde procedon poi tutti gli errori Di che i popoli tristi e sventurati Indegnamente patiscon le pene, E pazïenzia a forza aver conviene. 3 Or intendete, re, che giudicate La terra, e sete poi posti in tanto onore: Dice Dio, che temendo a lui serviate, Rallegrandovi seco anche in timore; E che la disciplina omai pigliate, Perché tal volta adirato il Signore Con voi, della via giusta non vi cavi, E dove sete re, vi faccia schiavi. 4 Dovendo tosto, e se non altrimenti, Almen per morte, l'ira sua venire Sopra di voi, svegliati state e attenti, Perch'ell'è ira sopra tutte l'ire; E beati color fiano e contenti, Ch'aranno in lui la sua speme e disire, E star vorran più tosto in ciel che in terra: Ma torniamo a contar la nostra guerra. 5 La più stupenda guerra e la maggiore Che raccontasse mai prosa né verso, Vengo a narrarvi con tanto terrore, Che quasi a cominciarla io mi son perso: Né sotto re né sotto imperadore Fu mai raccolto esercito diverso, O nel moderno tempo o nell'antico, Che comparar si possa a quel ch'io dico. |
1 La più stupenda guerra e la maggiore Che racontasse mai prosa né verso, Vengo a contarvi, con tanto terrore Che quasi al cominciare io me son perso; Né sotto re, né sotto imperatore Fu mai raccolto esercito diverso, O nel moderno tempo, o ne lo antico, Che aguagliar si potesse a quel che io dico. |
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