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   BERNI  LVII 1-9 [II xxviii 1-9]

   BOIARDO  II xxviii 1
 

PREMESSA

INDICE
DEL TESTO

NOTA
AL TESTO

BIBLIOGRAFIA

SIGLE

PERSONE

SOGGETTI

Rime
 

1
Donne belle e gentil, certo voi sete
Degne d'esser amate e seguitate,
Perché quell'esca e quegli uncini avete,
Onde incendete gli uomini e tirate;
Ma non però sì sole vi tenete,
Né di questo superbe tanto siate,
Che crediate che sola la bellezza
Sia quella che si seguita e s'apprezza.
2
È la bellezza parte di quel bene
Universal, ch'obbietto è dell'amore:
Ma è molto potente, ond'interviene
Che più che l'altre parti accenda 'l core:
In quello anche virtù gran luogo tiene,
E degna è del suo prezzo e del su'onore;
Però quando voi sete belle e buone,
Fate diventar matte le persone.
3
Sì come quella il cui nome felice,
La cui grazia e valor fanno la Brenta
Più famosa e più bella; ed è chi dice
Che per goder di lei corre sì lenta,
Leggiadra e veramente pia Beatrice,
Per cui dubbio riman, qual più frequenta
La gran città del precursor d'Enea,
Qual più l'onora, Palla, o Citerea.
4
Quella nel grave, saggio e casto petto,
E fra l'ostro e l'avorio ha la sua sede;
Onde or questa risposta ed or quel detto
Fan della molta sua prudenzia fede:
Venere ne' begli occhi ha il suo ricetto,
Occhi che fanno cieco chi gli vede;
Né son le genti ancor ben risolute
Qual sia maggiore in lei, grazia, o virtute.
5
Un foco è la virtù, che fa più lumi,
Un fiume che si sparge in molti rivi;
Ma la somma consiste ne' costumi:
Degli uomini altri son speculativi,
Altri è che in arme il tempo suo consumi,
E col valore a tanta gloria arrivi,
Che faccia giudicar con occhio sano
Più degno d'un gran dotto un capitano.
6
Ed io dirò la mia, non so se matta
O pur prosuntüosa fantasia,
Ch'un cor gentil che per gloria combatta,
Non (com'oggi si fa) per marcanzia,
Che (come si suol dir), voglia la gatta,
Non mandi innanzi, ed egli a dietro stia
(Come fanno oggi i capitan moderni),
Meriti lode, pregi, onori eterni.
7
Però quel generoso, eccelso, egregio
Spirto invitto alle terrestri lutte,
Ch'ebbe della milizia il vanto e 'l pregio,
Perché fur d'essa in lui le lode tutte,
E degno fu di stato e nome regio,
Tante in quel corpo eran virtù ridutte,
M'arse vivendo di fervente amore,
E morto ancor mi vive in mezzo al core.
8
Di te, Giovan De' Medici, parl'io,
Per cui Fiorenza sarà sempre eterna,
Di cui rimaso m'è solo il disio,
La memoria mi pasce e mi governa;
Alla cui morte fu posta in obblio
La guerra, e tosto diventò taverna;
Onde successe tanto danno e male,
Che la memoria sempre fia immortale.
9
Unico onor d'Italia, al cui cadere
Cadde in un tratto Italia tutta e Roma,
Da lance o spade non dovea potere
Esser la virtù tua, la forza doma:
Un moschetto convenne provedere
Per far cader quella onorata chioma
Di così alta e glorïosa pianta,
La qual io adoro come cosa santa;
10
Com'adorava il conte, Brandimarte,
Che tanto impresso l'aveva nel core,
Che dal padre e dal suocero si parte
Per esser de' suoi fatti spettatore;
E cerca or quella ed or quell'altra parte:
Ecco qualmente s'ama anche 'l valore,
E con gusto non men forse e dolcezza,
Donne gentil, che la vostra bellezza.
11
Egli andava a Biserta adesso intorno,
Né d'entrar dentro già voglia mostrava,
Sopra Batoldo di tutt'arme adorno,
Che intorno al verde campo saltellava;
E com'io dissi, avendo a bocca il corno,
Cortesissimamente domandava,
E con leggiadre e modeste parole,
S'alcun romper con lui due lance vuole.
 
 

























































































1
Segnori e dame, Dio vi dia bon giorno
E sempre vi mantenga in zoia e in festa!
Come io promissi a ricontar ritorno
De Brandimarte, che con tal tempesta
Presso a Biserta va suonando il corno
Ed isfida Agramante e la sua gesta,
Dicendo nel suonare: - O re soprano,
Odi mio suono, e nol tenire a vano.
 
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