INDICE
STORIA DEL TESTO
PREMESSA

GUIDA

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DEL TESTO

NOTA AL
TESTO

BIBLIOGRAFIA

SIGLE

PERSONE

SOGGETTI

Rime


 














 


 

DOCUMENTI


  • ARETINO Lettere II 149, A Messer Francesco Calvo 

 

TESTI



 

RIFACIMENTO


ELEMENTI DI DATAZIONE

  • BERNI Innamorato, I 2-4: dedica a Isabella D'Este e Vittoria Colonna (I Libro)
  • BERNI Innamorato, XIII 4-7: Antonio Brocardo vivo [morì alla fine d'agosto del 1531]
  • BERNI Innamorato, XIV 23-28: il sacco di Roma (1527)
  • BERNI Innamorato, XIV 28: il "diluvio" romano (ottobre 1530)
  • BERNI Innamorato, XXX 6-8: elogio di Verona > Rime XLVI e XLVII (è una toppa evidente)
  • BERNI Innamorato, LVII 6-9: elogio di Giovanni dalle Bande Nere (defunto)
  • BERNI Innamorato, LXI 1-7: dedica a Caterina Cybo Varano (III Libro)
  • BERNI Innamorato, LXVII 36-57: stanze autobiografiche con interlocutore maestro Piero Buffet

 

STUDI



 

HARRIS



     Il rifacimento del Berni è caratterizzato da una notevole serie di aggiunte al testo originale del Boiardo: considerando i proemi ai canti e le ottave inserite all'interno del testo, si giunge a contare "un aumento complessivo, nel testo migliore del 1545, di 259 ottave (4688 invece di 4429), di cui però 162 appartengono sempre ad un testo spurio" (p. 137)

     Il rifacimento fu stampato per la prima volta a Milano il primo gennaio 1542 (circa sette anni dopo la morte dell'autore), presso la stamperia dei fratelli Calvo. Riporto di seguito la dicitura esatta del frontespizio:

ORLANDO IN|NAMORATO | COMPOSTO GIA DAL SIGNOR | MATTEO MARIA BOIARDO | CONTE DISCANDIANO, ET RIFAT-|TO TVTTO DI NVOVO DA | M. FRANCESCO BERNI. | Com Priuilegij di Sua Santita. del Imperator'. | et de la S.ria di Venezia. | Stampato In Milano nelle case | di Andrea Calvo. | M.D.XXXXII.
In fine: Finiscono li tri Libri del Signor Matteo Maria | Boiardo Conte di Scandiano, & | Rifati tutti di nouo da M. | Francesco Berni. (p. 141)

Immagini:

     "Della 'edizione' Milanese si fece una emissione a Venezia, con la ristampa del primo e dell'ultimo quaderno del testo, per gli eredi di Giunta, con data falsa dell'Ottobre 1541" (p. 145) Il frontespizio è il seguente:
ORLANDO | INNAMORATO NVOVA-|MENTE COMPOSTO | DA M. FRANCESCO | BERNI | FIORENTINO | | Stampato in Vinetia per gli heredi di Lu=|cantonio Giunta. Con Priuilegio dell'Illustris|simo Senato Veneto per anni .X. | M D XXXXI
In fine: Finiscono li tre libri de Orlando Innamorato Composto da | M. Francesco Berni. Stampati nouamente In Venetia | per gli heredi di Lucantonio Giunta, nell'anno del Signore. M D XLI. | nel mese di Ottobre. (p. 145)

Immagini:

     Una seconda edizione del rifacimento fu compiuta nel giugno del 1545 a Venezia nella stamperia degli eredi di Lucantonio Giunta. Si tratta, infatti, di una seconda edizione e non terza in quanto quelle "apparentemente diverse di Venezia 1541 e Milano 1542 si rivelano in verità una unica edizione in 2 emissioni. Il testo è in ogni rispetto identico, salvo le inevitabili varianti di stampa, alla edizione precedente, con eccezione di I i 1-82, che sostituiscono le prime 80 ottave dell'edizione 1541-2. A tale sostituzione segue la famosa denuncia [...] di un raffazzonamento alle spese del Berni; manca invece alla fine qualunque avvertimento a proposito dell'identico lavoro condotto sugli ultimi due canti" (p. 149) Di seguito il frontespizio:
ORLANDO | INNAMORATO COMPOSTO | GIA DAL.S.MATTEO MARIA BOIARDO | CONTE DI SCANDIANO, | Et hora rifatto tutto di nuouo da M. Francesco Berni. | Intitolato al Magnifico S. M. | Domenico Sauli. | Aggiunte in questa seconda editione molte stanze | del autore che nelaltra mancauano. | Con priuilegio dell'lustriss. Senato Veneto per anni .X. | MDXLV
In fine: Finiscono li tre libri de Orlando Innamorato Composto da | M. Francesco Berni. Stampati nouamente In Venetia per | li heredi di Lucantonio Giunta, ne l'anno del Signore. | M D XLV Nel mese di Giugnio. (p. 149)
     Per finire trascrivo il frontespizio dell'Opuscolo pubblicato da Pier Paolo Vergerio nel 1554, contenente diciotto stanze inedite, le quali avrebbero dovuto aprire, secondo il Vergerio, il ventesimo canto del rifacimento e che invece portarono, per il loro contenuto religiosamente compromettente, alla soppressione dell'intera opera:
STANZE | DEL BERNA CON | TRE SONETTI DEL PE=|trarca doue si parla dell'|Euangelio, & della Cor|te Romana. | | Nell'anno M.D.LIIII. | | Io ui dico, che se costor taccieranno | i sassi grideranno. | Luc. XIX.  (p. 155)

 

ROMEI Introduzione



     È in un'ottica di adesione al rigorismo 'veronese' del Giberti che il Berni inizia il rifacimento dell'Orlando innamorato che si protrasse "almeno fino al 1530 o 1531, quando [...] otteneva i privilegi [immagine 1 - immagine 2] di una stampa che, nel corso della sua vita, non avrebbe mai visto la luce. Il testo che ci è giunto è degno di ogni sospetto: alla morte del Berni vi mise le mani Gian Alberto Albicante, che, con l'incoraggiamento e l'approvazione di Pietro Aretino, soppresse i 'pregiudizi de gli amici' [...] che nessun restauro filologico sembra in grado di restituirci" (p. 13)

     Sembra che il Berni abbia reputato il rifacimento un'impresa sostanzialmente fallita, "tanto da non effettuare la stampa per cui aveva già ottenuto i privilegi" in diversi stati italiani (pp. 17-18) 
 

ROMEI Orlando



     Il rifacimento dell'Orlando innamorato "ha subito manipolazioni dopo la morte dell'autore. [...] Il 15 febbraio del 1540 Pietro Aretino scrive una lettera a Francesco Calvo [...]. L'Aretino ringrazia il Calvo perché ha saputo che quanto alla stampa dell'Orlando innamorato 'è per farne la volontà' sua; [e aggiunge:] 'Onde per grado de la propria modestia sete obligato o a non dar fuora il libro o a purgarlo da ogni maladicenzia'. L'Aretino, che aveva trovato nel Berni un acerrimo oppositore, ovviamente pensava in primo luogo a se stesso. Ebbene, dei 'pregiudizi de gli amici' e della 'maladicenzia' non c'è traccia nel testo che ci è pervenuto. [...]
     Della 'maladicenzia' [...] sopravvive forse un frammento nelle due ottave in Descrizione del Giovio (Rime XLIII), variante di Innamorato VII [I vii] 35-36 [testo]. [...] Ci sono poi dei 'vuoti'. Mancano due esordi (XII [I xii] e LIII [II xxiv]): il Berni ne ha scritti 67, perché lasciarne due?" (p. 3)

     Interessanti anche le "'stanze vergeriane', nelle quali si leva un'altra voce - quella appunto di Pier Paolo Vergerio il giovane - a denunciare una stampa castrata (e castrata di ben altri attributi che non i soli 'pregiudizi degli amici')" (p. 4) 
 

VIRGILI



     Sul finire del terzo decennio del 1500 si aprì un forte battibecco, a suon di sonetti e lettere, fra il poeta Gian Alberto Albicante e Pietro Aretino, un tempo amici. Questa disputa acquista per noi un significato particolare in quanto ci ricollega alle vicende del rifacimento dopo la morte del suo autore. Infatti, l'editore Francesco Calvo aveva, in questi anni, intenzione di pubblicare per la prima volta il rifacimento del Berni, avvalendosi della collaborazione di un poeta, il quale era proprio Gian Alberto Albicante. Giunto a conoscenza di ciò l'Aretino, che si trovava nel bel mezzo della "zuffa" suddetta, e preoccupandosi per quella stampa del rifacimento, nel quale era sicuramente contenuto anche il suo nome, associato a parole o concetti poco lusinghieri, pensò bene di interrompere quel battibecco volgendolo ai propri fini. Ecco quindi il "divino Aretino" umiliarsi di fronte all'Albicante con efficaci richieste di pace, in cambio di una raccomandazione presso Francesco Calvo. A questo punto ci occorre menzionare una lettera che l'Aretino inviò al Calvo il 16 febbraio del 1540, nella quale, molto gentilmente, si impone all'editore una scelta: "sète obbligato o a non dar fuora il libro, o a purgarlo da ogni maladicentia". Il docile Calvo, forse impaurito dal famoso temperamento dell'Aretino, decise così di stampare il libro privo di quelle maldicenze (pp. 543-546)

     La prima edizione del rifacimento uscì il 1 gennaio del 1542 dalla tipografia di Andrea Calvo a Milano, riveduta e corretta da Gian Alberto Albicante. Andrea Calvo era infatti il fratello di quel Francesco sopra citato; quest'ultimo, vero padrone della tipografia, volle forse rimanere nell'ombra in questa vicenda inserendo nella stampa il nome del fratello (pp. 555-556)

     La revisione del rifacimento da parte dell'Albicante fu scrupolosa e lunga (occorsero infatti due anni). Oltre ai tagli che il rifacimento subì si possono scoprire anche numerose aggiunte sicuramente nel primo canto, in parte del secondo e negli ultimi due. In questi brani la mano dell'Albicante, con l'aiuto certamente dell'Aretino, è senza dubbio riconoscibile (pp. 561-562)

     Ma c'è un altro punto da trattare: esiste infatti un'edizione del rifacimento datata ottobre 1541. Questa edizione, che secondo la data dovrebbe essere la prima, fu stampata a Venezia con l'autorevolissimo nome dei Giunti. Sembra però che, anche in questo caso, ci fosse lo zampino dell'Aretino. Infatti le due edizioni si scoprono esattamente identiche: gli stessi errori, le stesse lettere sbagliate o fuori riga, gli stessi spazi. Insomma le due stampe sono in realtà una sola e Tommaso Giunti, amico devoto di Pietro Aretino, accettò di inserire l'onorato nome Giunti di Venezia su un libro stampato invece dal Calvo a Milano. A prova di tutto ciò un sonetto dell'Albicante in lode del Berni, che compare sia nell'edizione del Calvo che in quella dei Giunti, e un marchio tipografico anomalo della casa veneziana, che forse la dice lunga sull'accaduto. Infatti, sul frontespizio dell'edizione del 1541 non compare il notissimo marchio dei Giunti ma una specie di piccolo giglio, molto simile ad "un asso di fiori", forse un indizio del pudore di questi. Sapendo inoltre che il Berni chiese nel 1531 il privilegio di stampa al Senato veneto, ottenuto per dieci anni, e considerando la data della stampa milanese avvenuta proprio allo scadere di quei dieci anni (primo gennaio 1542), si può pensare che occorresse proprio la necessità di una prima stampa (falsa), nel luogo dove il Berni aveva ottenuto il privilegio prima di morire, succeduta poi da quella milanese che doveva esser creduta diversa e seconda rispetto alla veneziana. In questo modo il rifacimento corrotto acquistava certamente una maggior credibilità, garantita da due diversi editori, dei quali uno autorevolissimo (pp.562-566) 

     Ma "la soverchieria dell'Aretino", come la chiama il Virgili, "non passò poi così liscia" (p. 571) Tre anni più tardi, infatti, nel giugno 1545, comparve a Venezia un'altra edizione giuntina che riportava sul frontespizio le seguenti parole: "Aggiunte in questa seconda edizione molte stanze dell'autore che nella prima mancavano" (p. 571) E questa volta i Giunti dissero il vero, poiché questa stampa era veramente la seconda e non la terza. Non solo, il piccolo marchio stilizzato dell'edizione del 1541 fu sostituito con quello originale e decorato della stamperia Giunti con tanto di iniziali del titolare (Luca Antonio). Ora, se la stampa del 1541 fosse stata una falsificazione i Giunti sicuramente se ne sarebbero lamentati in questa del 1545, ma in essa non c'è traccia di lamentele. È molto probabile invece che questi, tre anni dopo, volessero o riparare all'infamia a cui avevano collaborato oppure (e ciò è più credibile), "allettati dal lucro [...] che non avrebbe mancato di dare questa seconda edizione, si ritraessero dalla partita giocata a disdoro del povero Berni" (p. 575)
     È inutile dire che nella stampa del 1545 non c'è traccia dell'Albicante. "Le prime ottantadue stanze sono [infatti] diverse da quelle sconcissime che corrispondono loro nella prima edizione, e queste della seconda sono certamente del Berni" (p. 577) Quanto alle stanze propriamente nuove, in questo primo canto, ne troviamo solo tre, quelle cioè che dedicano il rifacimento ad Isabella D'Este e Vittoria Colonna. Dalla stanza ottantatreesima, poi, ricominciano le conformità con la passata edizione, ma compare anche un discorso molto importante: "Le poche stanze che seguono sino alla fine del primo Canto, e dubitiamo d'alcune ancora del secondo, non sono del presente autore M. Francesco Berni, ma di chi prosuntuosamente gli ha voluto fare tanta ingiuria" (p. 577)
     Nonostante questo rimangono purtroppo nel rifacimento molti tratti anomali, punti vuoti o sottratti, che non è possibile rintracciare e dei quali non è lecito incolpare né l'Aretino né altri (pp. 571-580) 
 

WEAVER



     Elissa Weaver afferma di non poter stabilire con precisione la data di inizio del rifacimento, pur precisando che l'autore si trovava sicuramente a Verona mentre scriveva alcune parti, fra le quali il lungo esordio in elogio della città (XXX [II i] 1-9).
     Al contrario l'identificazione della data conclusiva presenta minori problemi, potendosi avvalere delle date dei privilegi di stampa che il Berni richiese per la pubblicazione del poema, definito ormai compiuto. Si tratta del privilegio del papa, datato 18 novembre 1530, e del senato veneziano, datato agosto 1531; esiste anche un privilegio del ducato di Milano che probabilmente appartiene agli stessi anni, poiché fu rilasciato da Francesco II Sforza, tornato signore di Milano alla fine di dicembre del 1529. Da tutto ciò si deduce che il Berni terminò il poema verso la fine del 1530, apportando sostanziali aggiunte anche nel 1531, come si desume da elementi riconducibili a quella data (l'esordio del tredicesimo canto del primo libro accenna alla disputa che si svolse fra il Bembo ed Antonio Brocardo nell'aprile-luglio 1531; non solo, i suddetti versi parlano del Brocardo come vivente: poiché questi morì fra la fine di luglio e la fine di agosto dello stesso anno, il passo non può che essere anteriore; anche le stanze autobiografiche accolgono versi in cui il Berni afferma di essere al servizio del Giberti da ormai sette anni: poiché tale servizio ebbe inizio nel 1524, il nostro autore li scrisse sicuramente nel 1531).
     Come sappiamo, il rifacimento non fu mai stampato dal Berni per motivi che oggi purtroppo ci sfuggono. Forse è possibile dedurre qualche indizio da due capitoli che il Berni scrisse al cardinale Ippolito De' Medici nel 1532-33. Uno dei capitoli in questione è il Capitolo di Gradasso, nel quale un encomio paradossale è rivolto al nano del cardinale paragonato al guerriero pagano della poesia cavalleresca. "Nel capitolo il poeta dichiara che il nano vince il paragone con quell'altro Gradasso e con tutti gli eroi dei romanzi, e allo stesso tempo forse Berni vuol dire anche di aver abbandonato lui questi personaggi. [...] Gli eroi dell'epopea di Orlando si scartano come le carte da gioco, si abbandonano nel confronto con il nuovo Gradasso. [...] Allo stesso tempo, e coerentemente con i soliti doppi sensi della poesia giocosa berniana, si tratta molto probabilmente di un riferimento personale del poeta ai paladini del Rifacimento, metonimia per il poema, anch'esso abbandonato proprio in quel periodo" (p. 121) L'altro, e forse il più interessante, è il Capitolo al cardinale De' Medici, nel quale, "oltre all'allusione alla rinuncia, vi è qualche indicazione delle opposizioni alla pubblicazione del poema che Berni avrebbe incontrato. Il poeta si scusa di non poter fare un elogio adeguato al cardinale, dicendo di aver capito, per una prova recentemente fallita, di essere negato alla stile aulico:
Provai un tratto a scrivere elegante,
in prosa e in versi, e fecine parecchi,
e ebbi voglia anch'io d'esser gigante;

ma messer Cinzio mi tirò gli orecchi,
e disse: - Bernia, fa pur dell'Anguille,
ché questo è il proprio umor dove tu pecchi:

arte non è da te cantar d'Achille;
ad un pastor poveretto tuo pari
convien far versi da boschi e da ville -.
               [LVII 37-45]

     Il tentativo di 'scrivere elegante', di 'cantar d'Achille' deve essere il Rifacimento" (p. 121), come ci chiarisce anche l'esplicitato desiderio "d'esser gigante", ripreso sia dal rifacimento (II iii 44), sia dal Morgante maggiore (XVIII 113 6) e riferito alle stesse aspirazioni epiche.
     Al verso 40 e seguenti si legge che sarebbe stato "messer Cinzio" a far desistere il Berni dalle aspirazioni auliche per un più consono ritorno al verso umile. Questo passo virgiliano, nel quale "Cinzio" non è altro che Apollo (il dio della poesia), "starebbe ad indicare l'autocritica del poeta, la sua decisione, forse non del tutto autonoma, di ritirare la sua opera".
     "Nei versi che seguono nello stesso Capitolo al cardinale De' Medici il poeta forse accenna a un ostacolo di carattere più pratico, un'insufficienza di natura economica e non artistica, e, forse, all'opposizione del potente nemico, Pietro Aretino:
Ma lasciate ch'io abbia anch'io denari,
non fia più pecoraio ma cittadino,
e metterò gli unquanco a mano e' guari;

com'ha fatto non so chi mio vicino,
che veste d'oro e più non degna il panno,
e dassi del messer e del divino.

Farò versi di voi che fumaranno,
e non vorrò che me n'abbiate grado;
che s'io non dirò il ver, sarà mio danno:
               (vv. 46-54)" (p. 122)

     Tuttavia le presunte motivazioni che spinsero il Berni alla rinuncia non possono essere altro che di natura congetturale (pp. 120-123).

     La rinuncia del Berni alla stampa del rifacimento portò, come sappiamo, a pubblicazioni postume. La prima uscita si ebbe, infatti, a Milano il primo gennaio del 1542 nella tipografia di Andrea Calvo. La vicenda si macchia, però, di giallo con la comparsa, quasi contemporanea e forse anteriore, di un'edizione falsa del rifacimento, uscita a Venezia nell'ottobre del 1541 ed emessa dagli eredi di Lucantonio Giunti. Le due edizioni risultano, infatti, identiche nelle pagine centrali (sono cioè un'unica edizione; la parte in questione va da I ii 49 a III viii 5) mentre sono diverse nelle pagine iniziali e finali (da I i 1 a I ii 48 e da III viii 6 a III ix 37). Non solo, nel 1545 uscì un'altra pubblicazione, sempre dei Giunti di Venezia, la quale dichiara di essere non terza ma seconda (non è possibile che i Giunti fossero ignari delle versioni anteriori) e denuncia la precedente come corrotta. Infatti, in quest'ultima edizione compaiono, per la prima volta, 82 stanze iniziali in sostituzione delle 80 (sicuramente false) della prima uscita. La Weaver cita poi la "nota editoriale che segue le ottave sostituite" (vedi VIRGILI) ed afferma che "il testo del Rifacimento è incompleto, mancando delle ottave autentiche alla fine e all'inizio dopo le 82 stanze restaurate dai Giunta. In quelle parti dove manca il testo autentico si trova il testo delle carte interpolate della prima edizione" (p. 123)
     Assodato il fatto che le pagine centrali sono il frutto di un'unica impressione, la sovrapposizione fotografica delle parti restanti presenta, al contrario, notevoli differenze, indicando cioè che si tratta di due stampe distinte, eseguite una a Milano e l'altra a Venezia. Ed ancora, la storia editoriale del poema e l'analisi tipografica del testo ci portano alla conclusione, in accordo con Virgili, che la prima stampa fu eseguita a Milano dal Calvo. Ora, i Giunti ebbero a disposizione il privilegio veneziano di stampa fino al 18 luglio 1541 (già chiesto dal Berni e valido dieci anni). Se i Calvo volevano pubblicare il rifacimento e salvare i loro interessi dovevano per forza accordarsi con i Giunti (forse ebbero il testo proprio da questi); inoltre, i Calvo dichiararono, sul frontespizio, di essere in possesso dei privilegi del papa, dell'imperatore e del senato veneziano: quest'ultimo non poteva essere che lo stesso utilizzato dai Giunti.
     L'uscita milanese fu molto probabilmente la prima per diverse ragioni: le manomissioni volute dall'Aretino furono effettuate tramite l'Albicante e Francesco Calvo; nella lettera dedicatoria a Guillome du Bellay de Langeais, che precede il testo, il Calvo afferma di credere di essere il primo a stampare il volume; il confronto fra le due versioni ci mostra che nella copia milanese i caratteri, la spaziatura, i titoli, l'altezza dei numeri di pagina, la filigrana della carta sono identici in tutta l'opera; al contrario nella copia veneziana gli elementi tipografici distinguono la parte centrale, identica a quella milanese, da quelle iniziale e finale, nelle quali furono usati quelli tipici della casa editrice dei Giunti. 
     In particolare l'esame della carta, congiunta con l'esame tipografico, evidenzia diversi momenti di composizione della prima edizione. "Ovviamente non si tratta, come volevano dare ad intendere gli stampatori, di due stampe separate consecutive, ma di una prima edizione fatta in tre momenti distinti: il primo, in cui fu composta probabilmente tutta l'opera della quale rimane solo [...] la parte centrale del testo; il secondo, in cui per una parte iniziale e finale del testo originale furono fatte sostituzioni; e il terzo, quando l'altro stampatore, o sulla base delle parti interpolate del primo o su quella di un testo non stampato, usato dalle due tipografie, compose le sue" (pp. 124-126)

     La Weaver sostiene che il testo interpolato iniziale e finale è essenzialmente falso (era sicuramente in questi punti che si trovavano quelle maldicenze che tanto offesero l'Aretino). Non a caso quando i Giunti ripubblicarono il rifacimento nel 1545 avvertirono della inautenticità delle pagine iniziali della prima edizione, che sostituirono con 82 ottave, e della presenza di altre parti corrotte impossibili da ricostruire. Le ottave introdotte nel '45 sono caratterizzate, infatti, da una notevole coerenza linguistica con la parte centrale del testo, diversamente la parte iniziale dell'edizione del '41-'42, piena di settentrionalismi, sicuramente estranei al Berni. A conferma della sua ipotesi la Weaver fornisce un confronto minuzioso fra il testo del Boiardo, l'edizione del '45, l'edizione del '41-'42 e una serie di quindici ottave (le prime) del rifacimento dell'Orlando innamorato di Ippolito De' Medici, composte forse per esercizio letterario nel 1532-'33. Il confronto garantisce l'autenticità della versione delle prime ottave del '45 poiché quelle del cardinale rivelano una palese dipendenza da esse: verosimilmente il cardinale aveva ricevuto il testo del rifacimento dallo stesso Berni, al suo servizio proprio in quegli anni, e lo aveva imitato (pp. 127-129).

     Invece le pagine centrali sembrerebbero prive di segni di manomissione: la lingua è consona a quella del Berni; non mancano fogli all'interno; non sono presenti, almeno apparentemente, dei tagli, poiché la logica del discorso non è interrotta in nessun punto; insomma, se qualcosa fu tolto da queste ottave non ne rimane traccia (p. 130).

     Catalogate spesso come eliminazioni volute dall'Aretino, le ottave in descrizione di Paolo Giovio - in strettissima relazione con gli argomenti del rifacimento - sono per la Weaver semplici tagli compiuti dal Berni in fase di scrittura dell'opera (p. 130).

     I motivi della scarsissima fortuna, che ha caratterizzato la tradizione editoriale del rifacimento, possono essere, ovviamente, solo ipotizzati. "Forse era l'apertura e la conclusione, inesperte, anzi piuttosto brutte, lavoro del rifacitore dei versi del Berni, a condannare la sua opera all'oblio di due secoli. Forse era la notizia, data dagli editori stessi, che anche la seconda edizione conteneva delle manomissioni non rimediabili ad ostacolare il successo del poema" (p. 140). Il Virgili ha parlato addirittura di complotto ad oltranza e di pressioni ripetute sulle case editrici contro il Berni ad opera del potente Pietro Aretino, giustificando con tutto ciò il fallimento delle vicende editoriali del rifacimento, ma probabilmente queste sono congetture un po' troppo azzardate e poco obbiettive.
     Tuttavia il rifacimento del Berni, opera complessa ed importante documento "della lingua, dei gusti, dei valori estetici e anche dei sentimenti religiosi del periodo, non si riprese dalla sua sfortuna iniziale fino al Settecento; si ricominciò infatti a pubblicarlo dal 1725 in poi" (pp. 140-141)