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BERNI XXXVI 1-6 [II vii 1-6] |
BOIARDO II vii 1-2 |
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1 Le cose che son sotto e sopra 'l sole Fatte da Dio, son tutte sante e buone; E se talor d'alcuna l'uom si duole, Sappiate che si duol senza ragione, Ed è, perché non sa quel che si vuole: Fra l'altre molte la tribulazione, La guerra, e finalmente tutto 'l male Che tanto ci conturba, un mondo vale; 2 Perché, quand'è con senno, con prudenza E con grandezza d'animo portato, Il don s'acquista della pazïenza, Ch'è l'istrumento da far un beato; E chi ha quella grazia, può far senza Molte, che stima il popolo insensato; Com'esser bel, potente, ricco e forte, Ed altri ben del corpo e della sorte. 3 Provasi appresso per filosofia, Che quando dui contrari sono accosto, La lor natura e la lor gagliardia Più si conosce, che stando discosto. Intender non potrassi ben, che sia Bianco color, se 'l nero non gli è opposto, Il foco e l'acqua, e' piaceri e le pene, E per dirlo in un tratto, il male e 'l bene. 4 Non si potrà saper s'un è valente, Se non arà contrasti il suo valore. Mentre che guerra a questa e quella gente Ferno i Romani, a questo e quel signore, Venne quella città tanto potente, Che si fa alla memoria ancora onore: Subito che la guerra fu cessata, E la contradizion, fu rovinata. 5 Non arebbe acquistato Carlo Mano Il cognome di Magno glorïoso, Se non era Agolante e 'l re Troiano, E gli altri, onde non stette mai in riposo: Si sarian stati con le mani in mano, Né fora il nome lor tanto famoso, S'addosso al conte Orlando e 'l suo cugino Non era or questo ed or quel Saracino. 6 Dee l'uno obbligo avere al re Almonte, L'altro è tenuto a quel dell'Ulivante, Ed all'indiavolato Rodamonte Adesso è obbligata Bradamante; Ché per lui fur le sue prodezze conte. Io lo lasciai che contra a quelle tante Genti, com'un lïone o com'un orso Contra fiere minor, moveva 'l corso. 7 Non so se fu voler del Padre Eterno Che tanta forza avesse un infedele, O se 'l demonio uscito dell'inferno Combattesse per lui le sue querele, E de' Cristian facesse quel governo, Che mai non ne fu fatto un sì crudele, Da che fu fabbricata la memoria, Come quel dì, di ch'io seguo l'istoria. |
1 Non fu, signor, contato più giamai Battaglia sì diversa e tanto orribile, Perché, come di sopra io vi contai, Rodamonte di Sarza, quel terribile, Contra de Naimo, che avea gente assai, Solo è afrontato, che è cosa incredibile; Ma Turpin, che dal ver non se diparte, Per fatto certo il scrisse alle sue carte. 2 Né so se 'l fu piacer del celo eterno Donar tanta prodezza ad un Pagano, O se 'l demonio, uscito dell'inferno, Combattesse per lui quel giorno al piano; E' pose nostra gente in tal squaderno, Che non fu data, al ricordare umano, Cotal sconfitta a nostra gente santa, Quale in quel giorno che il mio dir vi canta. |
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