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BERNI LI 1-6 [II xxii 1-6] |
BOIARDO II xxii 1-3 |
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1 Chi ruba un corno, un cavallo, un anello, E simil cose, ha qualche discrezïone, E potrebbe chiamarsi ladroncello; Ma quel che ruba la riputazione, E dell'altrui fatiche si fa bello, Si può chiamare assassino e ladrone; E di tanto più odio e pena è degno, Quanto più del dover trapassa il segno. 2 Rubare ad un qualche cosa, ove sia Danno di quella cosa solamente, E che non ne sia tanta carestia, Che non si rïacquisti agevolmente, È mala cosa; pur la passa via: Ma quel danno più preme e più si sente, E dà dispetto e dispiacer maggiore, Che con l'util ne porta anche l'onore. 3 Ma non sia chi né l'un né l'altro pensi Che lungo tempo debbia esser segreto: Ogni segreto rivelar conviensi, Parlar convien chi stato un pezzo è cheto; E così par che Dio parta e dispensi, Perché si osservi il suo giusto decreto; Ch'a' larghi e lunghi e profondi occhi suoi Cosa nascosta non si fa tra noi. 4 Parla la terra, la polvere e' sassi, Quando parla non posson le persone. Chi dell'onore altrui coprendo vassi; Somiglia quell'uccel che del pavone, E l'asino, onde ancor gran riso fassi, Che si vestì le spoglie del lïone; E con tanta vergogna loro e scorno Alla fine ambedui nudi restorno. 5 Fu giustizia di Dio che quel Brunello Fusse dal re mandato alla giustizia, Della quale era degno sol per quello Ch'aveva fatto con tanta malizia Della spada, del corno e dell'anello: Ma crebbe all'error suo troppa ingiustizia Quel voler tor la gloria di Ruggiero, Contra ad ogni giustizia e contra 'l vero. 6 Il diavol l'aiutò, ché forse tanta Pena non era quella al malandrino: E lo salvò per dargliene altrettanta. Ma per tornare al lasciato cammino, Diciam del re Agramante che si vanta Di disfar Carlo, e metterlo a bottino: Già d'arme ha il mare e la terra coperta, E son trentadui re dentro a Biserta. |
1 Se a quei che trïonfarno il mondo in gloria, Come Alessandro e Cesare romano, Che l'uno e l'altro corse con vittoria Dal mar di mezo a l'ultimo oceàno, Non avesse soccorso la memoria, Serìa fiorito il suo valore invano; Lo ardire e senno e le inclite virtute Serian tolte dal tempo e al fin venute. 2 Fama, seguace de gli imperatori, Ninfa, che e gesti e' dolci versi canti, Che dopo morte ancor gli uomini onori E fai coloro eterni che tu vanti, Ove sie giunta? A dir gli antichi amori Ed a narrar battaglie de' giganti, Mercé del mondo che al tuo tempo è tale, Che più di fama e di virtù non cale. 3 Lascia a Parnaso quella verde pianta, Ché de salirvi ormai perso è il camino, E meco al basso questa istoria canta Del re Agramante, il forte Saracino, Qual per suo orgoglio e suo valor si vanta Pigliar re Carlo ed ogni paladino. D'arme ha già il mare e la terra coperta: Trentaduo re son dentro da Biserta. |
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