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BERNI LVI 1-5 [II xxvii 1-5] |
BOIARDO II xxvii 1-3 |
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1 Avarizia crudel, poi che conviene Ch'ancor la terza volta inetto io sia, Dimmi, ond'ha meritate tante pene L'anima che t'è data in signoria? Perché sei sì nimica d'ogni bene? Perché guasti l'umana compagnia, Anzi la compagnia pur naturale? Perché sei sì radice d'ogni male? 2 Vorrei che mi dicesse un di costoro Che si marita, o ver che piglia moglie, Perc'ha rispetto alla roba e 'l tesoro Più che non ha a sé stesso e le sue voglie; Così si da marito e moglie all'oro, L'oro è quel che marito e donna toglie; Non il giudicio né la elezïone, Ma l'avarizia marcia e l'ambizione. 3 Ditemi, padri ch'avete figliuole, E v'ha Dio di d'allogarle il modo dato Onestamente, qual ragion poi vuole Che le date ad un qualche infranciosato? O ad un vecchio, perché all'ombra e 'l sole Abbia terra e tesoro? Onde il peccato A giusta penitenzia poi vi mena, E da Dio ve n'è data degna pena. 4 Diventerà di fatto quella un mostro, Piena di mal francese e sporcherìa, E l'altra una di quelle che v'ha môstro Nel canto a dietro la novella mia: Così l'onor, la carne e 'l sangue vostro E l'anima di piaghe piena fia; Per darle a gran maestri e ricche genti, Sarete in vita vostra mal contenti. 5 Un altro, sotto spezie di severo, Ma con effetto d'avaro e furfante, Metteranne una frotta in monastero, E vorrà che per forza elle sian sante: Ell'aran, fate conto, altro pensiero (Com'han le donne quasi tutte quante), E si provederan di preti e frati, Ed ecco in susta i vescovi e gli abati. 6 Torniamo alla novella ch'io lasciai Di Fuggiforca, il quale essendo preso Da Brandimarte, che nol pensò mai, E già sendosi a lui per morto arreso, Con lagrime e sospiri e pianti assai Standogli in terra innanzi a' piè disteso, Altro non fa, dolente, che pregare Che non lo voglia alla Liza menare. |
1 Un dicitor che avea nome Arïone, Nel mar Cicilïano, o in quei confini, Ebbe voce sì dolce al suo sermone, Che allo ascoltar venian tóni e delfini. Cosa è ben degna de amirazïone Che 'l pesce in mar ad ascoltar se inchini; Ma molto ha più di grazia la mia lira, Che voi, segnori, ad ascoltar retira. 2 Così dal cel lo stimo in summa graccia, E la mente vi pongo e lo intelletto Nel dire a modo che vi satisfaccia, E che vi doni allo ascoltar diletto. Pur ho speranza che io non vi dispiaccia, Come mi par comprender ne lo spetto, Se ne la istoria ancora io me ritorni Di cui gran parte ho detto in molti giorni. 3 Nel canto qui di sopra io vi lasciai Di Fugiforca, il quale, essendo preso Per Brandimarte, menava gran guai, Ed essendosi a lui per morto reso, Con molto pianto e con lacrime assai, Standoli avante alla terra disteso, Per pietate e mercè l'avea a pregare Che non lo voglia alla Liza menare. |
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