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BERNI LX 1-6 [II xxxi 1-6] |
BOIARDO II xxxi 1-3 |
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1 Disse quel dotto e savio Mantovano Che l'uomo aveva origine celeste, E più tosto divino era ch'umano; Quanto però nol gravava la veste Dura del corpo, che 'l facea men sano, Come fa il corpo la febbre e la peste; E ch'egli avea da Dio vigor di foco Da poter penetrare in ogni loco. 2 Soggiunse poi, che da quella gravezza Del corpo procedean le passïoni; Come dir la paura, l'allegrezza, Odi, appetiti e strane opinïoni: Onde or si brama una cosa, or si sprezza, E fa l'uom centomila mutazioni, Che d'imperfezïon davano indizio, E le riprese come fusser vizio. 3 Io con licenzia sua dirò altrimenti, E Dio ringrazierò che ci abbia dato Queste, sian passioni o sentimenti, O come più chiamarle vi sia grato; Perché date ce l'ha per istrumenti Da fare il viver nostro più beato, O, per dir meglio, sminuir le pene, S'adoperar le sapessimo bene. 4 L'odio c'è dato per odiare il male, Per temerlo ci è data la paura; Il disio per istinto naturale Ha per obbietto il bene, e lo procura. Ma quando l'uom si mette quell'occhiale Che torta gli fa far la guardatura, Si confonde ogni cosa: il buono è tristo, Il brutto bello, e 'l danno utile e acquisto. 5 La perversità nostra è che ci leva, Che imbastardir ci fa dal divin seme: Questo è quel peso che colui voleva Forse dir che ci affoga e che ci preme. Il buon conte d'Anglante si struggeva Di veder Carlo e Francia strutta insieme; E pur doveva meglio, al parer mio, Usare e collocare il suo disio: 6 Dovea desiderar che 'l suo signore, Sendo Cristïan com'era, e sendo anch'egli Cristiano e suo nipote e servidore, Non fusse vinto, ma vincesse quegli Nimici suoi; non si lasciar d'amore Tener così le man dentro a' capegli, Stando quivi quei preghi strani a fare, Dove lo venne Ferraù a trovare. 7 Era in quel bosco un'acqua di fontana; Sopra la ripa il conte è scavalcato, E cinta aveva al fianco Durlindana, E di tutte l'altre armi anch'era armato: Stando così quell'anima mal sana, Giunse anche Ferraù molto affannato, Di sete ardendo e morendo di caldo Per la stretta ch'avuta ha da Rinaldo. |
1 Il sol girando in su quel celo adorno Passa volando e nostra vita lassa, La qual non sembra pur durare un giorno A cui senza diletto la trapassa; Ond'io chieggio pur a voi che sete intorno, Che ciascun ponga ogni sua noia in cassa, Ed ogni affanno ed ogni pensier grave Dentro ve chiuda, e poi perda la chiave. 2 Ed io, quivi a voi tuttavia cantando, Perso ho ogni noia ed ogni mal pensiero, E la istoria passata seguitando, Narrar vi voglio il fatto tutto intiero, Ove io lasciai nel bosco il conte Orlando Con Feraguto, quel saracin fiero, Qual, come gionse in su l'acqua corrente, Orlando il ricognobbe amantinente. 3 Era in quel bosco una acqua di fontana; Sopra alla ripa il conte era smontato, Ed avea cinta al fianco Durindana, E de ogni arnese tutto quanto armato. Or così stando in su quella fiumana, Gionse anche Feragù molto affannato, Di sete ardendo e d'uno estremo caldo Per la battaglia che avea con Ranaldo. |
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