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UMANESIMO BERNESCO

PREMESSA

GUIDA

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DEL TESTO

NOTA AL
TESTO

BIBLIOGRAFIA

SIGLE

PERSONE

SOGGETTI

Rime


 

 

TESTI


  • BERNI Carmina quinque Etruscorum poetarum 
  • BERNI Rime, LI, Capitolo del prete da Povigliano
  • BERNI Innamorato, VI 1-4, esordio: superiorità di Orlando su tutti gli eroi antichi > combattimento con il gigante Zambardo; CITAZIONE: Virgilio
  • BERNI Innamorato, XVI 1-4, esordio: pazzia e infelicità dei mortali [moralità]: "E così si risolve finalmente, / che la minor pazzia ch'un possa fare, / è, ammirare ed appetir niente" (XVI 4 1-3) [moralità oraziana, piuttosto che cristiana] > Agricane che perde tutto in un giorno solo
  • BERNI Innamorato, XXV 1-6, esordio: la "dottrina che s'asconde": invito a una lettura allegorica del testo; FONTI: Dante, Petrarca; CITAZIONE: Omero
  • BERNI Innamorato, XXX 1-9, esordio: invocazione alle "stelle lucenti" di Venere [FONTE: Lucrezio] e Marte, e all'Adige > Verona
  • BERNI Innamorato, XLIII 1-4, esordio: crudeltà di chi separa due amanti [moralità]; accenti inusuali a tratteggiare amore: "Dolce nodo d'amor, caro legame, / che di dui cor fa un, sì forte strigne, / e che due vite fila in uno stame, / una sol'alma con dui corpi cigne: / ben è colui che le divide, infame..." (XLIII 2 1-5); FONTE: Tibullo
  • BERNI Innamorato, LXIV 1-3, esordio: ambiziosa superbia dell'uomo che sfida i limiti che Dio gli ha posto [moralità] > tempesta; FONTE: Orazio

 

FONTI CLASSICHE DEL RIFACIMENTO

vedi [file]


 

STUDI



 

CORSARO



     L'atteggiamento che il Berni ha verso la poesia, i poeti e il relativo umanesimo classicista può essere chiaramente esemplificato con le argomentazioni riportate nel Dialogo contra i poeti. Qui l'inutilità della poesia rappresenta il principale movente dell'opera, nella quale "la funzione estetica della scrittura" viene definita come assolutamente insufficiente. Non solo, i poeti sono per l'autore "gente immorale, ma anche e soprattutto gente che trasgredisce e fa spregio dei comandamenti di Nostro Signore perché atea e pagana, inosservante, blasfema; gente ambiziosa che fa proprio un irrazionale culto della poesia per arricchirsi a spese dei potenti" (p. 1) Lo scadere della letteratura a elemento d'intrattenimento per il signore è la base su cui il Berni fonda la sua concezione di strumento "retorico-formale. La lingua, in quanto elemento di persuasione, è un vuoto contenitore che presta il fianco ad ogni tipo di irregolare falsificazione" (pp. 5-6) Da qui l'assoluta divaricazione fra poesia e verità, che porta il Berni ad un uso delle lettere comico, gergale, paradossale (pp. 1-6)

     Dal Dialogo contra i poeti emergono fondamentalmente "una serie di tensioni negative verso la cultura umanistica di curia con un significativo anticipo rispetto alla data tradizionalmente proposta, quella del sacco, dopo la quale tali istanze saranno accolte con organicità." Questo precoce atteggiamento verte essenzialmente sul rapporto fra "umanesimo classicista e cultura: attraverso la negazione dell'elemento retorico e pagano della poesia, con il parallelo approfondimento della sostanza morale e confessionale dell'agire intellettuale" (pp. 20-21)

     A questo punto, quindi, il "paganesimo eretico dei poeti" diventa il principale argomento di polemica, che a sua volta pone in evidenza il profondo aspetto religioso dell'opera (p. 23)
     Da qui la questione si allarga investendo criticamente "il progetto culturale dei papi Medici, indifferenti alle contraddizioni implicite nel confronto di un classicismo miscredente con l'ansia ormai urgente di una rinnovata religiosità" (p. 25)
     Se pensiamo, poi, al periodo in cui il Dialogo è stato composto (fine '25 - inizio '26) appare chiara l'influenza dell'ambiente, in cui il Berni lavorava, dominato dal suo padrone Giovan Matteo Giberti. L'intransigenza religiosa di quest'ultimo (nonché di un altro suo collaboratore e principale interlocutore del Dialogo, Giovan Battista Sanga) si collega sicuramente ad un generale ripensamento dell'umanesimo che va a scontrarsi con l'ufficiale cultura umanistica della curia romana (pp. 30-32)

     Rinnegando la sua produzione burlesca precedente il Berni cerca, in questi anni, l'unione "fra letteratura, morale storica e spiritualità cristiana" (ricordiamo, per esempio, il Comento al capitolo della primiera o il rifacimento dell'Orlando innamorato) (p. 34)
     Nonostante l'importanza poetica delle sue opere giovanili, è necessario separarle da buona parte della produzione posteriore dominata da una negatività di fondo, giustificata "in senso contenutistico" e dietro alla quale il paradosso e il riso non celano tanto un generale disimpegno, quanto un'amara consapevolezza dell'impossibilità di cambiamento e di azione sulla realtà (p. 38)

     Corsaro conclude affermando che al "fondo della rinuncia alla poesia è dunque la radicalizzazione di un'esperienza culturale. Il poeta umanista, di fronte ai venti della Riforma, più tardi di fronte al sacco di Roma, è costretto a sciogliere ogni ambiguità: vuoi schierandosi dalla parte di una poesia laica, [...] vuoi riproponendo con consapevolezza inquieta la questione della inutilità della poesia, ossia della sua incapacità di rappresentare la funzione alta delle lettere. Ed è verso questa opzione negativa che alcuni, come Berni, propendono" (pp. 56-57)
 

ROMEI Introduzione



     "Nulla di certo si sa della sua formazione culturale, ma non c'è dubbio che il Berni, anche frequentatore di generi 'popolareschi', avesse alle spalle una solida educazione umanistica, espressa finanche in eleganti carmi latini, di un'accesa passionalità catulliana" (p. 5)

     La "dignità di cultura e di sentire, presto riflessa nella precoce padronanza di straordinari mezzi espressivi, non consente in alcun modo di confonderlo [...] nella folla pittoresca e un po' sordida dei clienti-buffoni di cui tanto si dilettava Sua Santità, ed è la premessa indispensabile del successo che ne avrebbe fatto il capostipite di una delle 'maniere' più fortunate del Cinquecento" (pp. 5-6)

     "Di queste prime prove il carattere di spicco è l'impudente e aggressiva omosessualità, la scanzonata misoginia. [...] L'eros maschile era perfettamente legittimato sul versante della poesia classica - e dunque candidamente [...] esibito nei Carmina, forti di una solenne autorizzazione catulliana" (p. 6)

     Nell'attività poetica del Berni "il capitolo è la forma nuova [...], a partire proprio dai capitoli del '21-22, con l'ibrida avanguardia del Lamento di Nardino (VI).
     Sono composizioni di apparenza stravagante, che assumono, per una sorta di sublimazione retorica, l'ostinato e risibile impegno di celebrare magnificamente oggetti vilissimi: i 'ghiozzi', le 'anguille', i 'cardi', le 'pesche', l''orinale', la 'gelatina', l''ago', la 'primiera'. Per questo verso, i capitoli rivelano una trasparente dipendenza dai modi dell'encomio paradossale classico e umanistico e trovano precedenti immediati ed illustri: [...] solo dieci anni prima, tornando proprio da Roma, il dotto Erasmo da Rotterdam aveva scritto l'irriverente Elogio della follia".
     "[...] Gli squalificati bersagli della lode manifestavano subito, con divertito effetto di sorpresa, la loro vera natura di metafore sessuali, e degli oggetti più osceni ed infami, delle operazioni più turpi e deteriori. Il Berni aveva subdolamente incrociato la struttura dell'encomio paradossale con le malizie del canto carnascialesco fiorentino, di rito appunto mediceo e segnatamente laurenziano [...], inaugurando un genere nuovo. E la trovata [...] ebbe un successo strepitoso" (pp. 6-7)

     "La poesia del Berni si trascina dietro da ben più d'un secolo un'etichetta di realismo popolaresco [...]. Ma la lettura dei capitoli di lode [...] la smentisce clamorosamente: è una poesia enigmatica, che punta tutto sull'ambiguità, una poesia ingegnosa e sorprendente, costruita su una cifra di acutezza intellettuale che l'esito furbesco delle metafore e il travestimento plebeo del linguaggio (ma disseminato di prestiti colti [...]) non possono in alcun modo smentire. [...]
     Ed è certamente un umanesimo trasgressivo. Il Berni in questo momento coltiva - all'unisono, si direbbe - la poesia latina dei Carmina, una poesia grave in volgare [...] e la scapestrata poesia del gioco" (pp. 7-8)

     È indubbiamente rintracciabile nelle opere degli anni gibertini "l'impronta di colui che, nella sua diocesi di Verona, ammetterà soltanto un severo umanesimo cristiano, applicato alla catechesi e all’interpretazione dei sacri testi" (p. 11)

     Il Giberti organizzò nella sua città un cenacolo di intellettuali "impegnati in un umanesimo cristiano che sanciva [...] l'indissolubilità di 'litterae et boni mores' e l'assoggettamento della letteratura al fine superiore dell'apostolato" (p. 13)

     Dopo le invettive del 1527, fra le quali la maggiore è quella contro Pietro Aretino (XXXII), proseguì la "produzione giocosa" affidata al sonetto e al capitolo.
     "Ma il componimento più fortunato della serie sarebbe rimasto un capitolo (scarso seguito trovarono i sonetti), il celebratissimo del Prete da Povigliano, che alla consueta ingegnosità descrittiva accompagnava una sapienza narrativa di evidente apporto umanistico (si può richiamare fino alla satira I 5 di Orazio) e trovava modo di ospitare, fra le sue raffinate esibizioni, perfino una dotta disquisizione filologica (LI 178-89)" (pp. 14-16)
 

ROMEI Orlando



     Il Petrarca accenna nei Trionfi (T.C. III 69-71) una sprezzante polemica con la letteratura romanzesca e canterina. "I 'sogni' dei cavalieri 'erranti' sono degno pasto del 'vulgo' ignorante: la cultura è ben altra cosa. E non si dimentichi che la polemica viene fatta propria e sviluppata dalla schiera dei commentatori dei Trionfi e custodita [...] dall'umanesimo, che persevera nel disdegno di questa materia da cantimbanchi. E non si dimentichi che il Berni nasce umanista. Umanista – beninteso – in pieno sfascio" (p. 13)
 

VIRGILI



     Si riscontrano nelle opere latine del Berni fortissime conformità con la letteratura catulliana. Entrambe i poeti "esuberano di [...] temperamento poetico: nature ambedue di primo impeto, multiformi, mobilissime, governate dalla fantasia, dal sentimento, dalla subita impressione, e l'impressione ultima è sempre quella che prevale e fa tacere tutte le altre. L'uno e l'altro si vedono [...] trascorrere dal più profondo abbattimento alla spensieratezza più gaia, dall'ira all'amore, dalla tempesta alla calma: l'uno e l'altro di tutto quello che toccano fanno poesia; e dopo essersi mescolati nel fango delle più abiette passioni, si levano ai più squisiti e delicati affetti che onorino l'umana natura" (p. 90)