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papa (Giulio De' Medici) (Firenze, 26 maggio 1478 - Roma, 25 settembre 1534) |
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TESTI
STUDI LONGHI "Il sonetto è il portavoce elettivo di ogni sorta
di attacco personale; regola i conti con gli avversari dell'autore; è
arma di offesa, di difesa, di rappresaglia, di vendetta. [...] I sonetti
del Berni che più pienamente rispondono a questa caratterizzazione
sono tutti ascrivibili, non a caso, al drammatico anno 1527. Lo spregiudicato
sonetto [...] Può far il ciel però, papa Chimenti,
nell'impiego senza scrupolo dell'insulto diretto, rivolto alla persona
di Clemente VII, e nel dileggio degli illustri ammiragli comandanti la
flotta della Lega santa, esprime il sentimento di un'opposizione politica
vigile e accesa. [...] Composto per ordine del Giberti [con l'intento di
persuadere il papa verso determinate scelte politiche necessarie al benessere
e alla difesa di Roma] e attaccato alla statua di Pasquino, esso ne venne
subito discretamente spiccato, e mostrato al solo Clemente. [L'analisi
compiuta dalla Longhi su questo sonetto non è esatta] Tale riguardosa
delicatezza [...] è forse un'invenzione a posteriori, blandamente
riparatoria dell'oltranza polemica del testo; mentre indubitabile appare
l'origine pasquinesca del componimento" (pp. 7-8)
ROMEI Introduzione Nel 1523 il Berni viene allontanato da Roma a causa di un amore omosessuale (e forse anche per aver composto il capitolo contro il papa). Torna a Roma dopo la morte di Adriano VI e l’elezione di Clemente VII (novembre 1523). Inizia a lavorare presso la segreteria del nuovo datario Giovan Matteo Giberti (p. 9) In riferimento al sonetto Può far il ciel però,
papa Chimenti, citato dalla Longhi, Romei esprime un'idea completamente
diversa sulla vicenda. Il Berni dimostrò, infatti, di non credere
nei progetti politici del suo padrone Giberti, esprimendo "un ironico distacco
– se non un netto dissenso – non solo dalle titubanze del papa (XXIV),
che poteva essere condiviso – o addirittura ispirato – dal datario, ma
anche dalla politica della Lega Santa [XXX], voluta in prima persona dal
Giberti [...], condividendo, semmai, l'ostilità degli uomini d'affari
fiorentini verso una politica di guerra che rovinava i commerci" (p. 10),
come appare dal sonetto sopra citato ai vv. 12-17, nel quale si prevede
addirittura la tragica fine di tali manovre politiche (vv. 24-26)
ROMEI Orlando Il LIX [II 30] 1-3 è
un esordio che tratta i temi della prudenza e della decisione (forse il
Berni si riferisce a Clemente VII che aveva tenuto, in questi anni, un
atteggiamento poco risoluto)
VIRGILI Giulio De' Medici, prima della nomina papale, fu arcivesco di Firenze – per volontà del cugino papa Leone X – e poi governatore della città in nome del papa (p. 26, p. 102) Divenuto papa amò sempre circondarsi di uomini "piacevoli e arguti" che spesso lo intrattenevano durante i pasti con i loro "motti e facezie"; fra questi uomini c'era sicuramente anche il Berni, che divenne al papa carissimo e dal quale ottenne titoli ed onori (il titolo di protonotario apostolico nel 1527 ne è un chiaro esempio). Se pensiamo poi ai tempi che correvano in questi anni dominati da guerre, carestie e pestilenze ci accorgiamo come tali intrattenimenti dovevano essere per il papa necessari svaghi (p. 122) Clemente VII divenne papa in un periodo veramente difficile per l'Italia. La nazione era infatti pressata da due grandi potenze straniere in opposizione: la Francia e la Spagna. Compito arduo del papa sarebbe dovuto essere, quindi, quello di schierarsi con una delle due parti. Il pontefice, fra l'altro, era circondato da consiglieri di opposti orientamenti politici: il suo ministro Giberti era favorevole, come minor male, ad un'alleanza francese; Niccolò Schomberg (arcivescovo di Capua), molto influente, lo spingeva invece a mantenere la posizione imperiale (a rimanere cioè saldo alla lega, conclusa dal suo predecessore, Adriano VI, con Carlo V, l'arciduca Ferdinando, l'Inghilterra, Venezia e Milano contro la Francia). Clemente VII, in mezzo a questi opposti consigli e seguendo la sua natura, tentennava un po' da una parte e un po' dall'altra, "dava a tutti udienza, a tutti risposte e bei detti" (p. 100), senza giungere mai ad una conclusione. Cercava, come poteva, di rimanere neutrale, ingenuamente persuaso di mettere pace fra le due potenze (è, fra l'altro, noto un sonetto del Berni [XXIV] nel quale l'atteggiamento del papa è chiaramente deriso) (pp. 100-101) Il 22 maggio 1526 Clemente VII, "dopo una serie di accordi
e di leghe fatte e disfatte, giurate e spergiurate da una parte e dall'altra"
(p. 147), decise di schierarsi dalla parte francese, dando vita alla Lega
Santa, composta dal papa, Francesco I, Venezia, Firenze e lo Sforza contro
Carlo V. Purtroppo questa presa di posizione giunse troppo tardi, le forze
imperiali erano ormai preponderanti ed avanzate e troppa la debolezza del
papa. [In realtà non è così: nei primi tempi la superiorità
della Lega era schiacciante - il guaio era che gli altri collegati non
facevano sul serio!] Falliti i tentativi imperiali di dissuadere il papa
dalla nuova Lega, Carlo V stipulò un patto segreto con la famiglia
Colonna. Ecco quindi che i colonnesi, alcuni dei quali residenti a Roma,
finsero di riconciliarsi con lui mediante un trattato, per poi attaccarlo
improvvisamente (assolutamente contrario all'accordo era stato il Giberti).
Invasa Roma senza incontrare resistenza, costrinsero il papa a rifugiarsi
in Castel Sant'Angelo e saccheggiarono il palazzo apostolico. Fu così
che il papa dovette arrendersi staccandosi dalla Lega francese e perdonando
l'insulto della famiglia Colonna.
Il sacco dei colonnesi portò Clemente VII ad un accordo filo-spagnolo, il quale venne, però, interrotto poco tempo dopo dal papa stesso, tornando ad aderire alla Lega Santa. La Francia prometteva grandi elargizioni di denari e d'armi (anche se alle promesse non seguirono i fatti). L'imperatore si trovava angustiato economicamente, tant'è vero che il suo esercito che occupava la Lombardia rifiutava di muoversi da Milano per la mancanza di paghe. Insomma tutto faceva sperare per il meglio, quando Clemente VII, impaurito per varie ragioni, cominciò nuovamente a "tentennare" pensando ad un accordo con Carlo V. Fra l'altro, molti suoi consiglieri, escluso il Giberti, spingevano dalla parte imperiale (in relazione a queste vicende si ricorda un famoso sonetto del Berni intitolato Sonetto di Papa Chimente), invasi di paura per l'avanzata sul territorio italiano dei Lanzichenecchi arruolati a proprie spese dal Frundsberg. Così il papa, abbandonata la Lega e speranzoso di pace, concluse un armistizio (il 16 marzo 1527) con il vicerè di Napoli Charles de Lannoy, che implicava anche i Lanzichenecchi; ma questi, ricongiuntisi con gli spagnoli di Milano, proseguirono imperterriti la loro marcia verso Roma (pp. 167-174) Il 6 maggio del 1527 Roma fu presa al primo assalto e terribilmente saccheggiata per mesi per mano di spagnoli e tedeschi. Il papa era in pratica
prigioniero in Castel Sant'Angelo (p. 183)
Nel canto quattordicesimo del rifacimento il Berni inserisce alcune stanze (XIV 23-28) nelle quali ricorda gli avvenimenti del maggio 1527 (p. 179) Nel gennaio del 1529 Clemente VII fu colto da un'improvvisa malattia che addirittura mise in dubbio la sua vita. Il suo affezionatissimo Giberti partì da Verona, accompagnato dal Berni, raggiungendolo a Roma nel febbraio dello stesso anno. La sperata guarigione si fece attendere fino a marzo e l'occasione fu celebrata dal Berni con tre sonetti (Rime XXXVIII, XXXIX, XL) (p. 216) Sul finire del 1529 il papa si recò a Bologna per incoronare l'imperatore Carlo V e vi rimase fino al marzo del 1530 (pp. 220-221) Verso l'agosto del 1533 il papa accompagnò la nipote Caterina De' Medici a Nizza per la celebrazione delle nozze fra questa ed il figlio di Francesco I di Francia, Enrico (p. 453) Nel 1534 Clemente VII fu di nuovo gravemente malato. Questa volta la malattia lo portò alla morte che avvenne il 25 settembre dello stesso anno (p. 482)
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