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TESTI PROEMI MANCANTI
SOSPETTI DI TAGLI E INTERPOLAZIONI SPURIE
STUDI ROMEI Berni e berneschi L'assenza di documentazione relativa alle 'stanze vergeriane' ci costringe spesso a procedere per congettura. Premesso questo le riflessioni compiute da Romei sull'argomento risultano in parziale disaccordo con le conclusioni a cui è giunto Virgili. Secondo il primo dal documento vergeriano emergono delle informazioni relative al rifacimento bernesco che non possono essere tralasciate. Sicuramente la più eclatante riguarda la dichiarazione del Vergerio su un fine nascosto del rifacimento, il quale andrebbe ben al di là della semplice riscrittura linguistica e letteraria e che sarebbe da ricercare nella volontà di trasmettere un messaggio dottrinale, di propaganda riformista, che manifesta una risentita coscienza religiosa. A questo punto Romei mette in guardia contro ciò che dell'opuscolo è privo di credibilità: i dettagli che il Vergerio ci fornisce sulle diciotto stanze sono sicuramente errati; le stanze, nella loro totalità, non sono autentiche (come Virgili afferma a gran voce nel suo lunghissimo saggio); parlare di un Berni protestante avvalendosi delle dichiarazioni contenute in questo dubbio frammento è decisamente pericoloso e privo di solide basi. Ma di contro Romei afferma che "gli argomenti del Virgili, per quanto come al solito diligentissimi, risultano in conclusione assai fragili e del tutto inconsistenti quando presumono una fantastica e macchinosa congiura, orchestrata dall'Aretino con la complicità del Vergerio, ai danni del Berni, della sua opera, della sua fama." E prosegue affermando di non credere "che le stanze vergeriane siano molto meno attendibili di quelle corrispondenti del testo vulgato (I xx 1-6 [...]) e non [esclude] che se le prime sono state alterate per passione protestante, le seconde non siano state smorzate per prudenza cattolica". Gli "sembra probabile, in ogni caso, che il Vergerio lavorasse su qualcosa di concreto, forse una tradizione manoscritta che giungeva al suo esilio oltremontano già compromessa (egli, fra l'altro, mostra di non essere a conoscenza – non certo per malizia, come suppone il Virgili – dell'avvenuta pubblicazione dell'Innamorato)" (p. 27). La negazione pregiudiziale dell'autenticità delle stanze avrebbe pochi fondamenti in special modo per ciò che concerne quelle conclusive, ricche di riferimenti personali e tematicamente coerenti con il Dialogo contra i poeti (la citazione delle stanze 15-17 che seguono è ripresa dall'edizione curata dal Camerini: F. BERNI, Opere, Milano, Sonzogno, 1874):
Allineando il riformismo gibertino con le idee (già espresse nel Dialogo) contro un umanesimo esclusivamente letterario e ibrido di mitologia pagana e rito cristiano, queste discusse stanze vanno oltre, dichiarando l'assoluta inconciliabilità fra classicismo e fede ed aggredendo un umanesimo corrotto per volgersi interamente verso una totalizzante ascesi. A questo punto ciò che emerge dalle "fole" cavalleresche non è altro che una pura "dottrina evangelica" (pp. 27-28) Ritornando alla disinformazione del Vergerio circa la già
avvenuta pubblicazione del rifacimento, argomento accennato poco sopra,
non si comprendono i motivi di una dissimulazione, poiché alla causa
vergeriana avrebbe potuto giovare proprio la denuncia di una stampa censurata.
Inoltre dedicare al Sanga, morto ventidue anni prima dell'uscita dell'opuscolo,
le stanze in questione per dar credito ad un falso è congettura
non poco azzardata. Ed ancora. L'opuscolo si avvale dell'autorità
dei celebri sonetti "babilonesi" del Petrarca, affiancando a quest'ultimo
il Berni, autore conosciuto soprattutto per le sue disimpegnate e sconvenienti
rime giocose, al quale si attribuisce una sconcertante conversione: che
senso aveva costruire addirittura un falso per accaparrarsi un così
screditato campione? A questo punto Romei conclude: "il discorso del Vergerio
dà l'impressione di un'interpretazione in buona fede di dati erronei
o incompleti, ma con un fondo di verità" (p. 44, nota 66)
VIRGILI Nel 1554 fu stampato un opuscolo di Pier Paolo Vergerio contenente, oltre ai tre sonetti 'babilonesi' e brani di lettere latine del Petrarca, diciotto stanze del Berni che avrebbero dovuto precedere il ventesimo canto del rifacimento. Considerando che il canto in questione è preceduto da sole sei stanze se ne deduce che almeno alcune, delle diciotto pubblicate dal Vergerio, dovevano essere state in qualche modo eliminate dal rifacimento e quindi completamente nuove. L'opuscolo risulta diviso in due parti: una concernente le vicende di quella che avrebbe dovuto essere la prima edizione del rifacimento e che non fu mai effettuata (1531), l'altra concernente i documenti e le prove di quello che si afferma nella prima parte. Quest'ultima comprende una lettera nella quale si dice testualmente che "il Berni, negli ultimi anni della sua vita, [...] 'fatto nuova creatura, gittate via molte vanità cortigiane, si diede a cercare e tirare avanti la gloria di Dio, ardendo di desiderio che tutto il mondo venisse a conoscere [...] la sincerità dell'Evangelio di Iesu Cristo, la quale era stata per lunghi tempi calpestata, e la falsità ed abbominazione dell'Anticristo [si intenda il papa], la qual regnava. Ma veggendo egli che questo gran tiranno non permettea onde alcuno potesse comporre all'aperta di quei libri, per li quali altri possa penetrare nella cognizione del vero, andando attorno per le man d'ognuno un certo libro profano chiamato Innamoramento d'Orlando che era inetto e mal composto, il Berni s'immaginò di fare un bel trattetto; e ciò fu che egli si pose a racconciare le rime e le altre parti di quel libro [...]; e poi aggiungedovi di suo alcune stanze, pensò di entrare con quella occasione e con quel mezzo [...] ad insegnare la verità dell'Evangelio, e scoprire gl'inganni del papato a quella maggior parte dell'Italia ch'egli avesse potuto. Ma l'astuzia del Diavolo [si intenda sempre il papa], che è sottilissima, avendosi accorto del danno che occultamente se gli apparecchiava, seppe operare onde il libro, il quale era già ben acconcio e accresciuto e presso che finito di stampare, fosse soppresso'" (pp. 354-355) A questo punto bisogna vedere se quanto afferma il Vergerio è degno di fede. Sicuramente il rifacimento, che è a noi pervenuto, non è come quello che il Berni avrebbe voluto stampare nel 1531. Ne è una prova preziosa la lettera che l'Aretino, nel 1540, scrisse al Calvo [Aretino Lettere II 149 pp. 630-632], che aveva intenzione di pubblicare il rifacimento, nella quale si concede la stampa a quest'ultimo solo dopo aver eliminato ogni 'maladicentia' ed i 'pregiudizi de gli amici', i quali riguardavano proprio l'autore di questa lettera. Il fatto è che il rifacimento, quale ci è giunto, non ha più alcuna traccia di queste maldicenze mentre mantiene certe espressioni che non potevano certo soddisfare la Curia romana. Nonostante questo, diversamente da quanto afferma il Vergerio, l'edizione del Calvo non ebbe nessuna difficoltà ad uscire e non subì nessuna persecuzione, al contrario poté godere addirittura dei privilegi del papa. Ma è vero anche che il rifacimento che giunse nelle mani dell'Aretino poteva già essere stato modificato in precedenza e quindi già diverso da quello pronto nel 1531 (pp. 352-358) Leggendo la parte aggiunta dal Berni nel canto XIV (23-24) si nota che Roma è chiamata "la città del successor di Piero" e il papa "vicario di Dio, nostro pastore". Tali espressioni, di dottrina assolutamente cattolica e di fedeltà al papato, contrastano nettamente con quanto è affermato dal Vergerio. Tuttavia è sicuramente vero che il Berni sfruttò la tela del Boiardo per dare sue opinioni riguardo a cose e persone contemporanee (pp. 366-370) Tornando alle diciotto stanze inserite nell'opuscolo si nota che solo quattordici sono realmente nuove, in quanto le prime quattro hanno un riscontro con le sei, che precedono il ventesimo canto, presenti nelle edizioni anteriori al 1554 che si fecero del rifacimento. Confrontando le quattro stanze del Vergerio con queste sei si nota che le prime sono molto probabilmente un "raffazzonamento" del Vergerio, in quanto lo stile e la forma non sono consoni al Berni, mentre lo sono nelle sei stanze del rifacimento. Sembra quindi che il Vergerio abbia modellato queste stanze piegandole ai suoi fini (pp. 370-380) Passando alle quattordici stanze nuove si legge in esse
"'una libera confessione della pura dottrina di Iesu
Christo [...]'" dove il Berni "'dà
tutto l'onore della redenzione e salute nostra a Dio per Iesu Christo,
affermando questo essere l'eterno Agnello, e sacrificio, e l'eterno pontefice;
e d'altra parte il papa essere l'Anticristo, il Dio della distruzione,
il padre delle ipocrisie e delle eresie.'" (p. 380) Questo è
ciò che dice il Vergerio nel suo Opuscolo e che dovrebbe
aver detto il Berni nelle quattordici stanze nuove. In particolare, in
una di queste stanze, si parla di "certi plebei"
che dicono "che or ora il papa / Vuol riformarsi
con gli altri prelati" e questi "plebei"
dovrebbero essere proprio il Giberti, il Priuli, il Contarini; tutti intimi
amici del Berni con i quali egli partecipava ai colloqui, alle idee, "a
quei propositi di riforma [...] italiana e cattolica, e [...] proprio in
quest'anno 1531, nel quale avrebbero dovute essere stampate queste ottave
ribelli; coi quali uomini vedremo il Berni, anche negli anni seguenti,
in [ottimi] termini" (pp. 380-381)
Certo il "ciglio erto e severo" dell'inquisitore è un'immagine che storicamente conviene di più al 1554 (il Vergerio, tra l'altro, era stato vittima di persecuzioni) che non al 1531, ma proseguiamo:
"Queste sono le Stanze, nelle quali [...] può concedersi che sia qua e là, e non in tutte forse né certo in una sola intera, qualche lontano bagliore dello stile del Berni" (p. 389) È vero però che il rifacimento smentisce queste stanze e le smentisce proprio parlando del sacco di Roma, scritto nello stesso anno ed inserito poche pagine prima del ventesimo canto (pp. 380-389) Pier Paolo Vergerio fu, in due diverse fasi della sua vita,
prima cattolico, poi luterano. Era cattolico nel 1541 quando, Nunzio papale
in Germania, bruciava opuscoli luterani; mentre divenne fermamente protestante
successivamente quando si fece lui stesso autore di questi opuscoli e si
adoperò per la loro produzione e diffusione.
La stessa cosa accade in un altro famoso componimento, il Capitolo a Fra Bastian dal Piombo:
Forse questi versi ci fanno supporre che uno dei motivi per cui il Berni
si ritrasse dal pubblicare il rifacimento era proprio il timore di essere
frainteso, il timore che qualcuno potesse dubitare della sincerità
della sua fede. Fra l'altro questi erano tempi (1531) in cui non esisteva
ancora guerra fra le due parti, tra le quali regnava ancora il dialogo,
nel quale si ritrovavano anche alcuni punti in comune. L'argomento principale
di discordia era invece la congiunzione fra la fede e la "vita operosa
[...]; e tra la fede e le opere, l'autorità mediatrice della Chiesa
e del papa" (p. 400) Queste le opinioni sostenute dai cattolici contro
i protestanti. Ma tornando al rifacimento, quale oggi ci è giunto,
non si scorge in esso niente che possa aver fatto dubitare della fede del
Berni; anche il proemio di sei stanze al ventesimo canto non ha niente
di scandaloso in quanto opinioni simili contro frati (ma anche contro preti
o addirittura pontefici) erano alquanto frequenti in Italia in questi periodi.
Può invece aver creato al Berni dei problemi il canto LXVII
dove si condanna il concubinato dei preti, si esalta lo stato coniugale
e si sottolineano "le difficoltà del perfetto stato cristiano nel
celibato, raccomandato pur senza imporlo dall'Apostolo Paolo, per venir
poi da tutto ciò, a quel che sembra, ad invocare il matrimonio dei
preti." (p. 402) A questo punto è interessante vedere se il rifacimento
fu uno dei libri proibiti dalla chiesa. Sicuramente non fu proibito nel
1531, ma successivamente il rigore e la severità andarono gradualmente
crescendo con l'asprezza della guerra fra le due fedi. In un Indice
del 1559 compare, infatti, il nome del Berni ma non è chiaro con
quali opere (il rifacimento non è esplicitamente citato). In un
altro Indice del 1564 (sotto lo stesso papa, Pio IV) il nome del
Berni non compare affatto. Sembra quindi che il rifacimento non fosse mai
stato proibito.
WEAVER La Weaver ritiene che si possa affermare con sicurezza che le due ottave in descrizione di Paolo Giovio, pubblicate per la prima volta ne Il secondo libro dell'opere burlesche di M. Francesco Berni, ecc. (vedi EDIZIONI), fossero un tempo destinate al rifacimento. In esse si trovano i personaggi del poema, il metro è lo stesso e molto probabilmente furono eliminate dal punto del rifacimento nel quale si descrive il medico di Gradasso, Feradotto (I vii 35-36). Questo passo (ottava 35 del rifacimento) stimolò forse l'associazione fra il medico dell'opera e il medico Paolo Giovio (prima ottava), "laureato in medicina ma [...] diventato famoso per i suoi scritti storici [...]. La seconda ottava include un altro riferimento allo storico comasco alludendo con il v. 6 [ad una sua opera] [...], ma non potrebbe sostituire l'ottava 36 e deve trattarsi di una terza ottava, che veniva tra le due oggi rimaste nel poema e che è stata eliminata, forse perché [...] caricatura troppo spinta che offendeva (o avrebbe offeso) il Giovio". "In queste ottave sparse il riferimento a Paolo Giovio è ovvio, mentre in quelle del poema non c'è allusione chiara al medico e storico moderno" (p. 131). Per la Weaver la mancata presenza delle due ottave nel rifacimento è dovuta semplicemente ad una revisione compiuta dallo stesso Berni in fase di scrittura dell'opera (pp. 130-131) |