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INTERVENTI DIDASCALICI
(lettura allegorica del narrato)

PREMESSA

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DEL TESTO

NOTA AL
TESTO

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SOGGETTI

Rime


 

 

TESTI


  • BERNI Innamorato, XXV 1-6, esordio: la "dottrina che s'asconde": invito a una lettura allegorica del testo [contraddizione stridente con quanto dice nel Dialogo contra i poeti ("vorrei una volta che gli uscissino di finzione e dicessino il vero de visu")
  • BERNI Innamorato, XXXIV 1-6, esordio: allegoria del giardino di Falerina
  • BERNI Innamorato, XXXIX 1-4, esordio: torna alla lettura allegorica della favola
  • BERNI Innamorato, XLVII 1-3, esordio: deprecazione dell'amore per le vanità terrene [catechesi]; accenni ancora a un'interpretazione allegorica della narrazione: i "piacer vani e fallaci / di questo mondo, che son figurati / in quelle donne" (XLVII 1 5-7)
  • BERNI Innamorato, XLVIII 1-6, esordio: biasimo della corte [moralità] > i Lestrigoni = i signori: interpretazione allegorica: "Significa la testa... il piè vuol dir... vuol dir le braccia... che vuol dir... gli unghioni aguzzi vuol dir... le ciglie tese vuol dir... il naso lungo vuol dir... i denti... voglion dire..."
  • BERNI Innamorato, LXIII 1-5, esordio: la vita come guerra senza soste contro il vizio [catechesi] > Aquilante contro il coccodrillo [allegoresi]

 

STUDI



 

ROMEI Orlando



     La "compagine quaresimale degli esordi [...] è piccola schiera a fronte del grosso del poema - 2.000 versi contro 40.000, forse - e il grosso del poema appare tutto sommato intatto da questo spirito moralizzatore ed evangelizzante. Era difficile piegare il narrato [...] del Boiardo in funzione d''esempio' (il termine tecnico è fornito dal Berni medesimo: cfr. XIV [I xiv] 23 5). Leggiamo XXV [I xxv] 1-6:

1
Questi draghi fatati, questi incanti,
questi giardini e libri e corni e cani,
ed uomini salvatichi e giganti,
e fiere e mostri c'hanno visi umani,
son fatti per dar pasto a gli ignoranti;
ma voi ch'avete gl'intelletti sani,
mirate la dottrina che s'asconde
sotto queste coperte alte e profonde.
2
Le cose belle, preciose e care,
saporite, soavi e dilicate,
scoperte in man non si debbon portare,
perché da' porci non sieno imbrattate.
Dalla natura si vuole imparare,
che ha le sue frutte e le sue cose armate
di spine e reste ed ossa e buccia e scorza
contra la violenza ed alla forza
3
del ciel, degli animali e degli uccelli;
ed ha nascosto sotto terra l'oro,
e le gioie e le perle e gli altri belli
segreti agli uomin, perché costin loro:
e son ben smemorati e pazzi quelli
che fuor portando palese il tesoro,
par che chiamino i ladri e gli assassini,
e 'l diavol che gli spogli e gli rovini.
4
Poi anche par che la giustizia voglia,
dandosi il ben per premio e guidardone
della fatica, che quel che n'ha voglia,
debba esser valent'uomo, e non poltrone;
e pare anche che gusto e grazia accoglia
a vivande che sien per altro buone,
e le faccia più care e più gradite
un saporetto con che sien condite.
5
Però quando leggete l'Odissea,
e quelle guerre orrende e disperate,
e trovate ferita qualche Dea
o qualche Dio, non vi scandalizzate;
ché quel buon uom altr'intender volea,
per quel che fuor dimostra alle brigate;
alle brigate goffe, agli animali,
che con la vista non passan gli occhiali.
6
E così qui non vi fermate in queste
scorze di fuor, ma passate più innanzi;
ché s'esserci altro sotto non credeste,
per Dio, areste fatto pochi avanzi,
e di tenerle ben ragione areste
sogni d'infermi e fole di romanzi.
Or dell'ingegno ognun la zappa pigli,
e studi e s'affatichi e s'assottigli.

     Il Berni invitava a leggere la libera e sbrigliata fantasia narrativa del Boiardo in chiave di allegoria [...] salvando e ribadendo così l'intenzione didascalica che informa gli esordi e che si estende in questo modo [...] a tutto il narrato.
     Il Berni ripete più volte l'invito, dando prova concreta e dettagliata dell'esercizio da compiere, spremendo il succo morale ('quel poco [...] di buon' che ne riesce a 'stracciare' [XIX 3 3-4]) delle 'fantastiche chimere' del Boiardo:

1
Se di questo gentil giardino ameno,
graziosi lettor, vi desse il core
le tempie ornarvi, o vero empiervi il seno
di qualche dolce frutto, o vago fiore,
non saria l'util vostro forse meno,
né la vittoria e la gloria minore,
nel grado vostro, di quella d'Orlando,
se l'andate fra voi considerando.
2
Detto ve l'ho già che sotto a queste cose
strane che in questo libro scritte sono,
creder bisogna ch'altre sieno ascose;
e che dall'istrumento varii il suono,
e che sotto alle spine stian le rose,
e sempre qualche documento buono
sia coperto co' pruni e con l'ortica,
perché si duri a trovarlo fatica;
3
e che della fatica il premio sia,
che così vuol la ragione e 'l dovere.
Io non m'intendo di filosofia,
e non vo' fare il dotto né 'l messere,
ma che non sia nascosta allegoria
sotto queste fantastiche chimere,
non mel farebbe creder tutto 'l mondo,
e che non abbian senso alto e profondo.
4
Considerate un poco in coscienzia
se quella donna che 'l libretto porse
al conte, potesse esser la Prudenzia
che salvo pel giardin sempre lo scòrse,
cioè pel mondo; e se con riverenzia
quell'asino e quel toro e drago forse
e quel gigante esser potessin mai
i vari vizi e le fatiche e' guai
5
che vi son dentro; e se quella catena
posta sotto le mense apparecchiate
volesse, verbi grazia, dir la pena
delle genti ch'al ventre si son date;
e quella Fauna, e quell'altra Serena,
mille altri van piacer, ch'alle brigate
mostran bel viso, ed hanno poi la coda
di velen piena, e di puzza e di broda.
6
Intendale chi può, ché non è stretto
alcuno a creder più di quel che vuole.
               (XXXIV [II v] 1-6, 2)

E ancora:

1
Di giardin in giardin, di ponte in ponte,
di lago in lago, e d'un in altro affanno
ora è condotto il prencipe, ora il conte;
e come voi vedete, allegri vanno:
non so se forse avessimo sì pronte
le voglie e l'opre noi, sì come essi hanno;
noi che nel grado nostro abbiam da fare
non men di lor, se vi vogliam pensare.
2
Essi avevan centauri e dragoni,
asini armati e simili altri mostri,
che si dóman con l'arme e con bastoni,
pur che le mani e 'l viso lor si mostri;
noi abbiamo ire, invidie, ambizioni:
questi sono i giardini e ponti nostri,
le fiere c'hanno l'artiglio sì crudo,
che contra lor non vale elmo né scudo;
3
ma vi vale umiltà, piacevolezza,
modestia e conoscenza di noi stessi:
questa fra l'altre è quell'arme che sprezza
punte, fendenti e colpi duri e spessi.
Ma che tante parole? A dir la sezza,
acciò che tutto dì non vi tenessi,
la vera e natural difesa fora
Virtù, ch'oggi fra noi più non dimora.
4
E però sono i miseri mortali
parte uccisi in battaglia e parte presi,
parte mangiati da questi animali;
non aspettan le due, che sono arresi [...].
              (XXXIX [II x] 1-4)

     La decrittazione simbolica ed esemplare si fa acuta e particolareggiata soprattutto in occasione del biasimo della corte (XLVIII [II xix] 1-6) [...]: l'aspetto mostruoso dei Lestrigoni ricalca le fattezze crudeli dei signori:

Significa la testa...

il piè vuol dir...

vuol dir le braccia...

che vuol dir...

gli unghioni aguzzi vuol dir...

le ciglie tese vuol dir...

il naso lungo vuol dir...

i denti... voglion dire...

     E ancora si potrebbe citare LXIII [III iii] 1-5, per non tornare a XLVII [II xviii] 1-3 (i 'piacer vani e fallaci / di questo mondo, che son figurati / in quelle donne' [XLVII 1 5-7]).
     E bisogna badare alle puntuali e gravose implicazioni che queste dichiarazioni sottintendono. La prima che ho citato:

ma voi ch'avete gl'intelletti sani,
mirate la dottrina che s'asconde
sotto queste coperte alte e profonde
            (XXV [I xxv] 1 6-8)" (pp. 9-13)

     Cita, infatti, "Dante: l'archetipo di quella figura di poeta-teologo – autore di opere che sotto il velo suadente di una bella favola commerciano un'alta e ardua 'dottrina' –, di cui si facevano schermo gli apologeti della poesia [...] contro le accuse dei rigoristi".
     E in chiusura (XXV [I xxv] 6) troviamo citato Petrarca. Il "Petrarca contro la letteratura cavalleresca, sintetizzata in versi famosi proprio nei Trionfi:

Ecco quei che le carte empion di sogni,
Lancillotto, Tristano e gli altri erranti,
ove conven che 'l vulgo errante agogni.
              (T.C. III 69-71)

     I 'sogni' dei cavalieri 'erranti' sono degno pasto del 'vulgo' ignorante: la cultura è ben altra cosa. E non si dimentichi che la polemica viene fatta propria e sviluppata dalla schiera dei commentatori dei Trionfi e custodita [...] dall'umanesimo, che persevera nel disdegno di questa materia da cantimbanchi. E non si dimentichi che il Berni nasce umanista. Umanista – beninteso – in pieno sfascio" (p. 13)