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STUDI NENCIONI Se il Boiardo, nonostante la sua crudezza linguistica, non raggiunge mai il "buffonesco", il Berni, al contrario, mentre insiste a raffinare ed erudire certe parti del testo, non esita ad abbassare il "tono" in altre; è il caso "del duello fra Grandonio e Astolfo di I iii 1-6, che nel Rifacimento (I iii 4-8) condensa le provocazioni verbali e l'urto dei duellanti, per amplificare con paragoni grotteschi la fragorosa sconfitta del Saracino" (p. XVIII). Oppure risulta interessante il dialogo fra Orlando e Agricane (I xviii 41-43 e I xix12-13; Berni I xviii 46-48 e I xix 15-16): "se nel Boiardo c'è una sosta meditativa, il Berni la ristucca con un belletto devozionale e catechistico che preannuncia la crociata controriformistica" (p. XVIII). Ed infine il confronto di I xviii 55 con I xviii 60 del Berni: il Boiardo termina l'ottava con un unico verso di congedo, in modo da gonfiare temporalmente la scena narrata; l'altro, al contrario, la taglia utilizzando tre versi per il congedo del canto. Il "Berni non credeva più, non sentiva più l'epicità cavalleresca del Boiardo, che doveva apparire dissolta, oltre tutto, dall'ironia dell'Ariosto" (pp. XXI-XXII) "L'intervento del Berni risulta sempre più tangenziale
al cerchio poetico del Boiardo [...]. Donde continui salti di tono [...]
e, cosa ben più importante, un effetto d'insieme non persuasivo
e un malessere, un dissenso nell'intimo dello stesso 'artifex additum'.
Insieme al burlesco (fino al colmo dell''andava combattendo
ed era morto' di II xxiv 60) s'insinua
e si affianca una tetraggine amara e puritana [...]. La castigazione di
episodi erotici [...]; [...] ambigue moralità proemiali [...]; l'eliminazione
dei congedi e 'ouvertures' allocutivi alla 'bella brigata' degli ascoltatori;
la trasformazione della corte [...] (cfr. II xix 1-2; Berni II
xix 1-6); l'irrompere nella festosa favola di accenti tragici e devoti
(come il ricordo del sacco di Roma, I xiv 23-28)
o di umoresche esibizioni dell'io (come la descrizione del Berni prigioniero
delle Naiadi [...], III vii 36-56): tutto
ciò contraddice il mondo del Boiardo [...]. Non per nulla, mentre
il Boiardo si appella ad una corte effettiva, immersa nei miti cavallereschi,
il Berni petrarchista 'malgré lui', dichiarava di narrare per un
astratto pubblico di anime petrarchescamente elette e innamorate (si confronti
la protasi del Boiardo con la bernesca)" (pp. XXII-XXIII)
ROMEI Orlando "Il Berni interviene sul testo con grande libertà. È vero che ne altera in modo radicale la veste linguistica ed espressiva, secondo modelli alternativi; ma quello che più conta è che non ha nessuno scrupolo ad alterarne la sostanza. [...] Il rifacimento appare illuminato da un progetto, guidato da una strategia lungimirante" (p. 4) "Berni espianta [...] la moralità laica e cortese del Boiardo [...]; al suo posto impianta, con ben più meditata larghezza, una siepe folta di esordi, retti da una moralità conformista e devozionale, catechistica persino. È un predicatore, talvolta arguto, più spesso accigliato e pedante, che prende per primo la parola a ogni apertura di canto e mette in riga il lettore, ricreandolo e ammaestrandolo a una lezione di ortodossa dottrina e di saggia moralità: [...] il proemio del benpensante, dell'uomo 'dabbene'" (p. 9) Analizzando gli "esordi portatori di ideologia cortese" (il II xviii del Boiardo, per esempio) notiamo che l'amore 'che dà la gloria' diventa esecrabile 'amor proprio', detestabile appetito delle 'mondane vanità'. Non porta a imprese belle ed onorate, ma fa uscire dalla 'dritta via', porta all''errore', al 'vizio', al 'peccato', alla 'dannazione'" (pp. 4-5) "Non solo è svanito il nostalgico vagheggiamento della mitica età degli 'antiqui cavallier pregiati', ma è svanito soprattutto il mito dell'amor cortese. [...] C'è nel Berni un accanimento così continuo, incessante, martellante contro l'amore da diventare persino sospetto" (p. 6) Per quanto riguarda, poi, la cortesia – la virtù
essenziale della corte – leggiamo che l'"eletta schiera di gentili cavalieri
e di dame aggraziate, che il Boiardo convoca come degna corona (anzi l'unica
possibile) al suo canto, si è tramutata in una torma di esseri mostruosi,
tra l'orrido e il grottesco, presenze disgustose ed inquietanti che squilibrano
il canto e le sue ragioni. È un motivo che inasprisce l'acredine
di amare esperienze personali (di un magro 'servidore' in corte) [...].
Ma non è questione di vicende e sconfitte personali: è tutta
la moralità laica dell'originale che viene sradicata come erbaccia.
VIRGILI Esaminando episodi che coinvolgono soprattutto Orlando, Astolfo, Rinaldo, Angelica, Brunello, Origille e confrontando il testo boiardesco con quello del Berni, ci accorgiamo subito quanta parte ci sia nel primo di comico. Arriviamo quindi alla conclusione che il rifacimento non ha voluto assolutamente ridicolizzare l'originale. Il Boiardo spesso fa "parlare ai suoi eroi ed eroine un linguaggio da taverna e da trivio; pone in bocca bestemmie perfino alle donne [...]; usa immagini e parole sconce e indecenti [...]. In tutto ciò [vediamo] il Berni gastigarlo e correggerlo" (pp. 286-287). Con questo non si vuol dire che il testo del Boiardo sia burlesco, ma che "il burlesco ed il comico" hanno in esso comunque una loro parte, che non si può imputare al Berni di aver piegato al ridicolo. E si aggiunge "che invece di togliere al Boiardo gravità e serietà, il Berni anzi gliela infonde e gliela presta sovente" (pp. 286-289) Molti nella storia della critica hanno voluto vedere del Berni solo la vena che ispirò i "cardi" e le "anguille" ed in base a questa hanno voluto giudicare le altre opere sue ed anche il rifacimento. Ma proprio l'autore dei "cardi" e delle "anguille" ci ha lasciato nel rifacimento dei consigli come questo:
Accade spesso al Boiardo di cadere nel lascivo, usando espressioni "grossolane" o "compiacendosi e dilungandosi in certi racconti e pitture troppo particolari e minute. Le espressioni grossolane [...]" sono il più delle volte cambiate dal Berni; quanto poi a certe pitture egli cerca "di attenuarne le tinte" e di chiuderle con poche parole (è l'esempio del canto XIX). Ma l'elemento più caratteristico sta nel "non trovare in tutto il lungo Poema un tratto, aggiunto o rifatto, che veramente offenda la decenza o il pudore". È istruttivo il fatto che il Berni simili scrupoli non li abbia mai avuti nella sua poesia giocosa (che non avrebbe mai voluto vedere stampata), mentre li abbia avuti nel poema (l'unico che evrebbe voluto dare alla stampa). Tutto questo è di non poca importanza per entrare nell'animo dell'autore e per capire le sue intenzioni segrete "d'uomo e d'artista" (pp. 330-331) La fondamentale importanza dei proemi sta soprattutto nel
fatto che in essi scopriamo rappresentata la vita dell'autore, espresso
il suo animo e il suo carattere. I tratti che maggiormente si distinguono
sono: la pietà per i deboli e gli oppressi e l'isofferenza per i
prepotenti e gli oppressori; "un sentimento dell'inferiorità dell'uomo
nel creato e dell'umana miseria [IX 2]"; un
odio profondo per l'ipocrisia, per l'ingratitudine dei padroni fedelmente
serviti, per i "millantatori di stemmi e di titoli, cui manchi la miglior
gentilezza, cioè dei costumi e dell'animo [XX,
XXI, LXV, XLVIII];
ed infine una sentita compassione ed indulgenza per le follie umane. E
"sotto quella sua ingenuità quasi infantile, [si cela], il più
delle volte, un'ironia sottilissima, [...] una conoscenza profonda dell'umana
natura, un senso di osservazione acutissimo di quello che succede nel mondo,
una facoltà portentosa di scrutarne e rivelarne la cause: e tutto
ciò detto alla buona, senza la [minima] ombra di pretensione, come
non gli costasse nulla di saperlo e di dirlo. [...] l'arte [...] di spender
gaio e sereno quello che non senza lacrime si lascia acquistare, cioè
l'esperienza dei casi della vita e degli uomini" (p. 332)
WEAVER I criteri che hanno dominato la riscrittura dell'Orlando innamorato sono, secondo la Weaver, molteplici ed incostanti. I "critici che cercavano regole fisse [...] trovavano invece incongruenze [...]. Il Berni fa sentire la sua personalità ribellandosi contro le sue stesse norme, tanto che si può spesso in verità parlare di uno sdoppiamento del narratore, di due approcci al racconto, quello formale e 'positivo' della nuova presentazione elegante, intesa a valorizzare l'opera del Boiardo, e un altro sovversivo che reagisce, resiste di fronte a materia ed atteggiamenti che non accetta. [...] [Il Berni] è un narratore che partecipa sì e no secondo i momenti, seguendo non tanto la logica del racconto quanto la psicologia di un rifacitore spesso disaffezionato. Questo narratore ostile ha molti tratti, anche se un po' smorzati, dell'urbano, irriverente e giocoso narratore delle rime berniane" (p. 136) |